Georgia, l’alleato militare
Quasi mille soldati di Tbilisi partecipano alla missione internazionale in Afghanistan (Isaf). E a settembre si è registrata la prima vittima. Dietro le quinte di un impegno decennale sui fronti esteri, dal Kosovo all’Iraq. Percepito oggi dal governo Saakashvili anche come assicurazione sulla vita
La partecipazione georgiana alle operazioni militari internazionali in Afghanistan compie dieci anni. Era proprio stata questa del resto la motivazione che aveva portato all’avvio del programma di addestramento delle truppe da parte di istruttori statunitensi. Così tra il 2001 e il 2002, circa 2000 soldati, l’ossatura delle forze armate georgiane, avevano partecipato al “Programma di formazione e aggiornamento” finanziato dal Pentagono.
Il primo precedente di partecipazione di truppe georgiane a missioni di pace internazionali era stato il Kosovo.Tuttavia, in quegli anni il complesso del contigente georgiano inviato nei punti caldi della scacchiera mondiale non era molto significativo: ad esempio, in Kosovo erano dispiegati meno di 100 militari, inclusi nelle fila del contingente tedesco. Con l’inizio delle guerre in Afghanistan e Iraq, anche il ruolo della Georgia si è fatto più attivo, ma al tempo del governo Shevardnadze le divisioni georgiane in Afghanistan e Iraq non superavano comunque le 100-150 unità.
Con l’ascesa al potere di Saakashvili, la situazione è cambiata radicalmente. I contingenti georgiani, prima in Iraq fino al ritiro e poi in Afghanistan, hanno assunto dimensioni di tutto rispetto, arrivando a mille unità.
Contigenti all’estero e realpolitik di Tbilisi
La Georgia sembrerebbe non avere alcun motivo per andare a guerreggiare nel lontano Afghanistan, tanto meno nell’ancora più distante Iraq. Ma in questo caso, è la politica a fare la differenza.
La prima ragioni che spinge la Georgia a partecipare attivamente alle guerre altrui è la volontà di mostrare ai partners occidentali che il Paese può ricambiare. Negli ultimi vent’anni Tbilisi ha avuto costantemente bisogno del sostegno dei Paesi occidentali. Afghanistan e Iraq possono essere luoghi dove la Georgia non chiede aiuto, ma si dimostra alleato utile e volenteroso. Fino a poco tempo fa, i politici georgiani spiegavano la necessità di questa presenza con il desiderio di accelerare l’ingresso del Paese nella NATO ma, ora che l’ingresso nell’Alleanza è diventata un’eventualità meramente teorica, questo argomento non regge più.
La seconda spiegazione è ancora di natura politica: una partecipazione militare attiva, prima in Iraq e poi in Afghanistan, aumenta infatti notevolmente il “rating” delle élites al potere agli occhi degli alleati occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Barack Obama ha espresso più di una volta gratitudine per il sostegno in Afghanistan e di questo ha parlato ripetutamente anche il segretario di Stato Hillary Clinton durante la visita a Tbilisi. Ovviamente apprezzamenti di questo tipo sono dedicati al Paese nel suo complesso piuttosto che all’attuale governo. Ma le truppe georgiane potrebbero benissimo stare in Afghanistan con cento unità, se non fosse per la posizione netta di Saakashvili e della sua squadra.
La società non gioisce particolarmente del fatto che mille soldati georgiani stiano combattendo non si sa bene dove e non si sa bene perché, ma poiché lo fanno su base volontaria nessuno esprime particolare irritazione al riguardo. Inoltre, la partecipazione delle truppe georgiane in Iraq e in Afghanistan non avviene a spese del governo di Tbilisi, ma è sostenuta finanziariamente dagli Stati Uniti.
Lo scorso 13 settembre, il presidente Saakashvili ha cercato di spiegare esplicitamente perché le truppe georgiane debbano stare in Afghanistan. “La Georgia non è la Norvegia, la Danimarca o l’Australia -ha dichiarato il presidente- -“Guardate la nostra posizione, la nostra situazione, le nostre sfide, le nostre minacce: possiamo forse fare a meno delle forze armate o della formazione militare? La partecipazione alle operazioni in Afghanistan è un’opportunità di integrazione con l’élite mondiale, di contatto con la tecnologia militare più all’avanguardia e infine di apprendimento e acquisizione di conoscenze che a lungo termine potremo utilizzare per i nostri ufficiali e soldati, per la creazione di una scuola e tradizione militare”.
E l’opposizione?
La maggior parte dei partiti d’opposizione non dimostra particolare entusiasmo per la partecipazione alle missioni internazionali, ma evita di protestare troppo in considerazione delle esigenze della real-politik. La loro sola preoccupazione è che, in cambio della partecipazione alla guerra in Afghanistan, gli alleati occidentali non perdonino al governo georgiano la violazione delle regole democratiche.
In particolare, il leader del partito repubblicano Davit Usupashvili ha dichiarato di sostenere la partecipazione di truppe georgiane in Afghanistan, ma ha precisato “per noi è molto importante che le autorità georgiane non sfruttino questa situazione per ricattare l’occidente. Gli Stati Uniti e gli alleati non devono chiudere gli occhi di fronte alle violazioni della democrazia in Georgia solo per la partecipazione dei nostri soldati alla loro guerra”.
Iraq
Tra il 2007 e il 2008, in Iraq erano dislocati addirittura oltre 2000 soldati georgiani, rendendo il contingente di Tbilisi uno dei più numericamente importanti dell’intera coalizione.
Dall’Iraq le truppe georgiane si ritirarono con urgenza il 9 agosto 2008, mentre la Georgia combatteva con la Russia, ma arrivarono in patria quando ormai era praticamente tutto finito e non riuscirono ad avere alcun ruolo nel conflitto. Dopodiché, le truppe non furono rimandate nel Golfo Persico, tanto più che a quel punto era già chiaro che Barack Obama avrebbe vinto le elezioni e la politica della nuova amministrazione avrebbe puntato a ridimensionare la presenza militare in Iraq.
Afghanistan
Nel periodo in cui l’esercito georgiano era più attivo nella guerra in Iraq, in Afghanistan si trovavano meno di cento soldati georgiani. Nel 2009, quando gli Stati Uniti ridefinirono le proprie priorità, il governo di Tbilisi annunciò l’intenzione di aumentare il contingente fino a 900 uomini. Attualmente, in Afghanistan combattono 925 soldati georgiani: una cifra che rende quello georgiano il secondo contingente dopo quello statunitense in proporzione alla popolazione, e il primo in relazione al PIL nazionale.
Qui la Georgia ha già subito perdite: il 5 settembre, nella provincia di Helmand, un soldato è morto e due sono rimasti feriti, uno dei quali perdendo entrambe le gambe.
Prospettive
A giudicare dallo stato d’animo del governo e delle principali forze d’opposizione, la Georgia non si prepara a ridimensionare la presenza militare in Afghanistan. Il motivo è sempre lo stesso: la partecipazione alle operazioni internazionali è l’unico contesto in cui il Paese si sente alla pari con le controparti occidentali.
Piuttosto rimane aperta un’altra domanda: quando e in quali circostanze la Georgia potrà servirsi dell’esperienza militare acquisita in Afghanistan e Iraq?