Georgia: l’accordo mediato dall’UE, un’occasione mancata
La scorsa primavera le istituzioni europee sono state molto attive per mediare nella crisi politica in Georgia. Una vicinanza che non ha sortito gli effetti auspicati. Un commento
(Originariamente pubblicato da OC Media, il 2 settembre 2021)
Lo scorso 9 agosto Davit Zalkaliani, ministro degli Esteri della Georgia, ha presentato, con grande audacia, un’agenda molto ambiziosa di politica estera georgiana, secondo cui il paese dovrebbe ottenere lo status di candidato all’adesione all’Unione europea entro il 2030.
Ciò che rende l’agenda di Zalkaliani così audace è il fatto che è stata presentata solo un mese dopo che il governo georgiano è stato duramente criticato dai paesi occidentali per non aver fermato le violenze contro i giornalisti e gli attivisti LGBT, e solo undici giorni dopo che il principale partito di governo, Sogno georgiano, ha deciso di ritirarsi da un accordo raggiunto con l’opposizione a seguito dei negoziati mediati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
Sembra che la Georgia, un tempo lodata dall’UE come front-runner nell’ambito del Partenariato orientale, sia talmente sprofondata nei dissidi politici interni da non riuscire nemmeno a sentire le aspre critiche che arrivano dai suoi partner europei.
Le numerose visite in Georgia e l’attenzione, senza precedenti, dedicata dal presidente del Consiglio europeo ai negoziati, poi sfociati nell’accordo [tra governo e opposizione georgiana] firmato lo scorso 19 aprile, avrebbero potuto portare ad una situazione win-win per la Georgia e per l’UE. La Georgia avrebbe potuto superare lo stallo politico e mantenere lo status di partner esemplare dell’UE, e quest’ultima sarebbe stata lodata per il suo intervento efficace in una regione instabile, dimostrando così che vale la pena investire risorse in Georgia.
Le cose però sono andate diversamente e ora l’UE suona il campanello d’allarme. I parlamentari europei hanno messo in guardia sul fatto che la Georgia sta abbandonando il percorso democratico intrapreso, sottolineando che, qualora tale tendenza dovesse proseguire, ogni eventuale futuro sostegno alla Georgia [da parte dell’UE] sarà condizionato. Tale scenario comporterebbe gravi conseguenze economiche e politiche per la Georgia che già fatica a far fronte alla crisi economica e dipende fortemente dal sostegno dei suoi partner occidentali nel tenere testa alla politica aggressiva della Russia.
Intanto il governo georgiano continua a invocare il sostegno dell’UE, ignorando il caos che regna nel paese. Viene però da chiedersi se Bruxelles sia disposta a ignorare questa situazione.
Messaggi da Bruxelles: “Non vogliamo essere strumentalizzati”
Nonostante il primo ministro georgiano Irakli Gharibashvili non abbia voluto assumersi alcuna responsabilità per aver incitato alla violenza contro i giornalisti e attivisti LGBT, nonché contro l’opposizione, il suo contributo agli incidenti violenti verificatisi [a Tbilisi] lo scorso 5 luglio non è passato inosservato a Bruxelles.
Interpellate da OC Media dopo le violenze che hanno portato alla cancellazione del Pride di Tbilisi, due eurodeputate hanno espresso la loro preoccupazione in merito al comportamento dalla leadership politica georgiana e alla possibilità che il paese possa allontanarsi dall’UE.
“Non siamo disposti ad essere strumentalizzati. Vedremo quali impegni [assunti dalla Georgia] non sono stati rispettati e quindi decideremo quali aiuti tagliare”, ha affermato a OC Media Markéta Gregorová, eurodeputata ceca del Partito pirata europeo (PPEU). “Sembrava quasi che [il primo ministro georgiano] stesse istigano una guerra civile, sostenendo che quegli eventi [a sostegno della popolazione LGBT] fossero antidemocratici e contro lo stato, e che l’intera opposizione fosse anticlericale. A me queste affermazioni sembrano pericolose, e sono simili a quelle che spesso arrivano dalla Russia e dallo stesso Putin. Quindi, trovo l’atteggiamento [del premier georgiano] molto deludente e temo che possa incidere negativamente sulle relazioni tra l’UE e la Georgia”, ha dichiarato Gregorová.
Dopo gli incidenti dello scorso 5 luglio, durante i quali sono stati aggrediti circa sessanta giornalisti e operatori dell’informazione – tra cui anche Lekso Lashkarava, cameraman dell’emittente televisiva Pireli, deceduto una settimana dopo l’aggressione subita – in molti hanno chiesto le dimissioni di Gharibashvili, richieste definite dal premier come parte integrante di una congiura contro lo stato, orchestrata e portata avanti da “forze che agiscono contro lo stato e contro la Chiesa”.
Sembra che il governo di Tbilisi, guidato da Sogno georgiano, si aspetti che l’UE si lasci convincere da quella stessa retorica con cui la leadership georgiana ormai da anni cerca di ingannare gli elettori. La tendenza a screditare gli oppositori politici con l’unico obiettivo di rimanere al potere è diventata il segno distintivo del governo targato Sogno georgiano, ormai al suo terzo mandato, ed è chiaro che lo sforzo del primo ministro di rappresentare l’opposizione come burattinaio che muoveva i fili dell’organizzazione del Pride di Tbilisi è parte integrante di tale strategia.
Si tratta di una retorica principalmente destinata all’opinione pubblica interna, mentre nelle sue interazioni con partner occidentali il governo georgiano tende a ricorrere ad una narrazione completamente diversa in cui non si fa alcun cenno all’instabilità politica interna, sottolineando invece riforme e aspirazioni euro-atlantiche della Georgia. Ultimamente però la discrepanza tra le due retoriche è diventata talmente evidente che anche i funzionari di Bruxelles fanno fatica a ignorarla.
“Tenendo conto degli ultimi eventi e dell’atteggiamento del governo [georgiano], sono sempre più propensa a credere che l’ambizione della Georgia ad aderire all’Unione europea esista solo sulla carta”, ha dichiarato Markéta Gregorová.
Gregorová ha inoltre affermato di comprendere le ragioni che hanno spinto molti giornalisti georgiani a chiedere le dimissioni del primo ministro, aggiungendo che le dimissioni sarebbero un gesto appropriato di assunzione di responsabilità.
“Abbiamo contribuito ai negoziati per far uscire la Georgia dalla crisi politica, ma ora ci rendiamo conto che non c’è volontà [da parte del governo di Tbilisi] di dare seguito alle parole. Non vogliamo essere usati e abusati. Abbiamo bisogno di vedere i risultati, la volontà politica, e al momento non ne vediamo alcuna”, ha affermato Gregorová.
Anche Rasa Juknevičienė, eurodeputata lituana ed ex ministra della Difesa, si è detta preoccupata per le violenze verificatesi recentemente in Georgia. Interpellata da OC Media, Juknevičienė ha affermato di ritenere preoccupante la retorica utilizzata dal primo ministro Gharibashvili perché alcuni cittadini l’hanno interpretata come un invito alla persecuzione delle minoranze. Ha inoltre aggiunto che l’introduzione delle sanzioni contro la Georgia sarebbe l’ultima risorsa, senza però escludere tale opzione.
“Le sanzioni recherebbero gravi danni [alla Georgia], ma se dovesse dimostrarsi necessario, ossia se i leader del partito al potere non dovessero dare retta ai nostri avvertimenti, se dovessero dimostrarsi incapaci di fermare le violenze contro i giornalisti, che sono un attacco alla democrazia, allora si potrebbe decidere di ricorrere a sanzioni”, ha dichiarato Rasa Juknevičienė.
Secondo Juknevičienė, le violenze a cui si è assistito a Tbilisi rappresentano innanzitutto un atto “contro l’adesione della Georgia all’UE, contro il suo futuro all’interno dell’UE”. L’eurodeputata lituana ha poi aggiunto che non basta che i funzionari del governo georgiano promettano ai cittadini di voler presentare la candidatura per l’adesione della Georgia all’UE, ma che devono anche comportarsi “come europei”.
“Certo che sono rimasta sconvolta, ma mi rendo conto, come tanti altri, che le persone aggressive, come quelle che hanno tolto la bandiera dell’UE [dall’edificio del parlamento georgiano], rappresentano una minoranza. Mi creda, non è un fenomeno circoscritto alla Georgia. Tuttavia, per la Georgia si tratta di una questione molto pericolosa e complessa perché, lo dico francamente, non tutti a Bruxelles credono che la Georgia debba avvicinarsi all’UE. Gli eventi come quelli a cui si è assistito recentemente di certo non aiutano la Georgia ad avvicinarsi all’UE”, ha spiegato Juknevičienė.
Accordo mediato da Charles Michel, un’opportunità mancata
Parlando con OC Media prima della decisione di Sogno georgiano di uscire dall’accordo mediato da Charles Michel, Rasa Juknevičienė ha affermato che quell’accordo faceva sperare che la Georgia potesse ritornare sulla strada pro-europea per garantire un futuro migliore ai suoi cittadini.
Tuttavia, il ritiro di Sogno georgiano dall’accordo con l’opposizione ha inflitto un duro colpo alle speranze che lo stallo politico in Georgia potesse essere superato, dimostrando che il principale partito di governo è pronto a tutto pur di rimanere al potere.
“È una decisione molto pericolosa per lo sviluppo del paese, per il suo futuro e, soprattutto, per la stabilità”, ha dichiarato a OC Media Kornely Kakachia, direttore dell’Istituto georgiano di politica. “Considerando che Charles Michel aveva mobilitato cospicue risorse [per raggiungere quell’accordo], è chiaro che [l’UE] non è rimasta indifferente di fronte al ritiro di Sogno georgiano”, ha sottolineato Kakachia.
Stando alle sue parole, un coinvolgimento così intenso di Michel nei negoziati tra governo e opposizione georgiana potrebbe essere interpretato come un tentativo di evitare che la Georgia venga isolata all’interno di una regione già instabile, consentendole così di mantenere lo status di front-runner nell’implementazione delle riforme.
“Tuttavia, gli ultimi eventi sostanzialmente dimostrano che gli sforzi dell’UE sono stati vani. Decidendo di uscire dall’accordo, il governo ha praticamente abbandonato un modello di sviluppo democratico del paese, sviluppo che poteva essere facilitato e garantito dal coinvolgimento dell’UE”, ha affermato Kakachia.
A suo avviso la Georgia ha perso un’occasione importante, tanto più importante se si tiene conto del fatto che i partiti politici georgiani si sono sempre dimostrati incapaci di trovare un accordo che fosse nell’interesse del paese.
Viene però da chiedersi cosa significhi il fallimento dell’accordo mediato da Charles Michel per il governo georgiano.
“Credo che a Sogno georgiano non importi nulla dell’intera vicenda. Sono talmente preoccupati di come mantenere il potere che hanno finito per assumere un atteggiamento del tutto inadeguato riguardo alle questioni di politica estera”, ha precisato Kakachia, aggiungendo che Sogno georgiano probabilmente teme che, se dovesse perdere il potere, potrebbe diventare vittima di una sorta di vendetta politica, riferendosi ad una spregevole tradizione politica georgiana che consiste nel perseguitare gli ex funzionari statali.
Tuttavia, gli esponenti di Sogno georgiano non hanno una posizione univoca sulla vicenda. Maka Bochorishvili, presidente della Commissione del parlamento georgiano per l’integrazione europea, ha affermato a OC Media che l’intera situazione è “strana”, aggiungendo però che le aspirazioni strategiche della Georgia non sono direttamente legate all’accordo mediato da Charles Michel, perché si tratta di un accordo raggiunto tra i partiti politici georgiani, e non tra Georgia e UE.
“Non dobbiamo legare direttamente questa vicenda ai nostri obiettivi politici, né tanto meno dobbiamo pensare che l’accordo in questione possa garantire il raggiungimento di tali obiettivi”, ha dichiarato Bochorishvili, sottolineando che la Georgia continua a lavorare all’implementazione delle riforme nell’ambito dei preparativi per la presentazione della candidatura per aderire all’UE, prevista per il 2024.
Bochorishvili ha poi precisato che le violenze verificatesi a Tbilisi lo scorso 5 luglio non hanno messo in discussione lo sviluppo democratico della Georgia perché tali eventi, pur essendo “assolutamente negativi”, sono parte integrante dello sviluppo democratico di un paese.
“Tali situazioni, in cui la libertà di espressione supera il limite della legalità, si verificano spesso anche negli stati membri dell’UE. Ma ciò non significa che questi paesi non siano democratici, giusto? Non possiamo definire la Francia come un paese non democratico solo perché gli antivax rompono vetrine, giusto?”, ha chiesto polemicamente Bochorishvili.
Il tentativo di Maka Bochorishvili di minimizzare le violenze, senza precedenti, commesse contro i giornalisti e gli attivisti LGBT georgiani rivela quella discrepanza tra la politica interna e gli obiettivi della politica estera georgiana a cui si è accennato prima. A quanto pare, la leadership georgiana spera che l’UE possa abbassare l’asticella dei requisiti per l’adesione della Georgia, tenendo conto solo dei progressi compiuti da Tbilisi nell’adempimento degli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di associazione UE-Georgia.
Meno per meno?
L’annuncio del governo georgiano di voler presentare la candidatura per l’adesione all’UE nel 2024 era parte integrante della sua campagna elettorale per le elezioni del 2020, una promessa imperniata sull’idea che la Georgia storicamente appartiene all’Europa. Ciò che sembra sfuggire agli esponenti di Sogno georgiano è il fatto che l’ingresso nell’UE non dipende dalla loro visione della storia, bensì dall’adempimento dei criteri di Copenaghen, incentrati sullo stato di diritto e il rispetto del diritti umani come principali requisiti per l’adesione all’UE. Lo ha confermato anche il presidente del Consiglio europeo Charles Michel durante la sua ultima visita in Georgia lo scorso 19 luglio.
“La riforma della giustizia è il fulcro dell’accordo raggiunto lo scorso 19 aprile e una precondizione necessaria per l’erogazione dell’aiuto macro-finanziario dell’UE alla Georgia”, ha dichiarato Michel, sottolineando che la recente conferma dei giudici della Corte suprema da parte del governo georgiano non è in piena sintonia con quanto concordato durante le consultazioni con vari stakeholder internazionali e nazionali.
Tenendo conte delle affermazioni del presidente del Consiglio europeo e delle massicce violazioni dei diritti umani a cui si è recentemente assistito a Tbilisi, viene da chiedersi se in futuro il sostegno dell’UE alla Georgia possa essere vincolato all’introduzione di riforme.
Lo scorso 31 agosto il primo ministro georgiano Irakli Gharibashvili ha annunciato l’intenzione del governo di rifiutare un prestito di 75 milioni di euro concesso dall’UE alla Georgia, ovvero la seconda tranche di quel pacchetto di aiuti macro-finanziari menzionato dal presidente del Consiglio europeo durante la sua recente visita a Tbilisi. Sembra che tale decisione del governo sia motivata dal desiderio di evitare di trovarsi in una situazione imbarazzante, sapendo che l’UE intende sospendere temporaneamente l’erogazione degli aiuti alla Georgia. La mossa del governo di Tbilisi rivela anche la sua riluttanza ad assicurare l’indipendenza della magistratura. In altre parole, l’esecutivo non è disposto a rinunciare nemmeno ad una briciola del potere.
“Se questa non è una situazione sufficientemente seria da provocare una forte reazione, allora non so cosa debba accadere affinché la Commissione e il Consiglio europeo reagiscano con maggiore risolutezza. Ripeto, non si tratta di sanzionare semplici cittadini, bensì coloro che hanno lasciato che si verificassero tali violenze”, ha affermato l’eurodeputata Markéta Gregorová.
Stando alle sue parole, l’UE può reagire in tre modi. Primo, introducendo sanzioni mirate che però si teme possano spingere il governo georgiano ad avvicinarsi alla Russia. Secondo, sospendendo l’erogazione di aiuti finanziari alla Georgia se il governo non dovesse adempiere pienamente agli impegni assunti nell’ambito dell’accordo di associazione. E terzo, intensificando il suo sostegno alla società civile georgiana che, secondo Gregorová, è un’opzione da promuovere con maggiore insistenza.
Secondo Kornely Kakachia, l’UE sembra più propensa a vincolare l’erogazione degli aiuti alla Georgia, anziché a imporre sanzioni.
“È del tutto possibile che l’UE decida di applicare il principio di condizionalità, sospendendo l’erogazione dei finanziamenti [alla Georgia]. L’UE aveva già applicato questo meccanismo nei confronti della Moldavia e Bielorussia. Tale misura comporterebbe gravi conseguenza per la Georgia, ma se la situazione non dovesse cambiare, non sarà possibile evitarla”, ha spiegato Kakachia.
Va però sottolineato che l’UE fa fatica ad applicare il meccanismo di condizionalità anche al suo interno, come dimostra il caso dei governi illiberali in Polonia e Ungheria che sono sempre riusciti ad aggirare tali misure con varie scappatoie. La Georgia invece non ha alcuna scappatoia e l’UE sta perdendo la pazienza di fronte al comportamento dei suoi partner disobbedienti.
Dopo la decisione del premier georgiano Irakli Gharibashvili di rifiutare gli aiuti europei, Julien Crampes, capo ad interim della delegazione dell’UE in Georgia ha dichiarato che “la Georgia non ha affrontato in modo adeguato le sfide il cui superamento costituisce una precondizione per l’accesso all’assistenza macro-finanziaria, in particolare quella di rafforzare l’indipendenza, la responsabilità e la qualità del sistema giudiziario”.
Questa affermazione suggerisce che l’UE aveva già preso in considerazione la possibilità di applicare il meccanismo di condizionalità, e ormai è solo questione di tempo prima che decida di avviarlo.
Il futuro della Georgia nell’UE
“Un percorso di democratizzazione intrapreso con l’unico obiettivo di ottenere una ‘carota’ dall’estero non può che sfociare in riforme meramente cosmetiche e quindi risulta problematico”, spiega Ketevan Bolkvadze, professoressa associata di Scienze politiche all’Università di Lund in Svezia, aggiungendo che “le sanzioni dovrebbero essere l’ultima risorsa, considerando che l’UE tiene conto non solo dell’andamento della situazione interna della Georgia, ma anche di quella della regione. “La Bielorussia è uscita dal Partenariato orientale, la situazione in Azerbaijan non è per nulla rosea, e la Russia continua ad esercitare una forte influenza sull’Armenia. Un’eventuale decisione di imporre sanzioni alla Georgia potrebbe portare al suo isolamento e credo che l’UE non sia pronta ad un tale scenario considerando le risorse investite nel Partenariato orientale”, afferma Bolkvadze.
“È ancora molto presto per parlare dall’ingresso [della Georgia] nell’UE. È chiaro che la Georgia non è ancora pronta a diventare membro dell’UE. È altrettanto chiaro che questa iniziativa [della Georgia di presentare la candidatura nel 2024] non è stata accolta positivamente da tutti gli stati membri, in particolare quelli occidentali. Con questo non voglio dire che la Georgia non debba candidarsi all’adesione all’UE, bensì che sia meglio che lo faccia dopo aver portato a termine tutti i preparativi, riformando le istituzioni statali tuttora politicizzate".
Nel 2017, mentre la Georgia si vantava del suo status di front-runner tra i paesi coinvolti nel Partenariato orientale, il ricorso da parte dell’UE ad una strategia di condizionalità positiva culminò nella liberalizzazione dei visti per i cittadini georgiani all’interno dell’area Schengen.
Recentemente il governo di Tbilisi, nel tentativo di convincere Bruxelles di non aver rinunciato al suo obiettivo di entrare a far parte dell’UE, si è impegnato a collaborare con l’Ucraina e la Moldavia nell’ambito di un’iniziativa trilaterale denominata “Trio associato”. I tre paesi hanno affermato di essere pronti ad adottare riforme per velocizzare il processo di adesione all’UE.
Tuttavia, dopo la recente dimostrazione dell’insofferenza del governo georgiano nei confronti dei diritti umani e dello stato di diritto, la Georgia sembra aver perso la sua posizione di superiorità all’interno del Partenariato orientale.
“Personalmente, credo che l’impegno [del governo georgiano di presentare la candidatura per l’adesione all’UE nel 2024] sia meramente declaratorio. Una retorica utilizzata dal governo per tranquillizzare l’UE, senza realmente aspirare a raggiungere tale obiettivo. Per me, non si tratta solo di riforme, ma anche della necessità di dimostrare la volontà di compiere azioni concrete, e al momento credo non ci sia tale volontà”, spiega Markéta Gregorová.
L’eurodeputata Rasa Juknevičienė ritiene che i politici georgiani debbano essere più attivi, cercando di convincere l’UE che la Georgia sia pronta a continuare a perseguire i suoi obiettivi.
“Dovete comprendere che anche i cittadini dei Paesi Bassi, del Belgio, della Germania e di altri paesi hanno i loro problemi e non pensano ogni giorno alla situazione in Georgia. I politici georgiani devono attivarsi facendo del loro meglio per convincere le cancellerie europee della sincerità dei loro intenti”, afferma Juknevičienė. E aggiunge: “Il mio consiglio è: se volete adottare riforme, fatelo per cambiare il vostro paese, per il vostro popolo, e non per sfoggiare tali riforme di fronte ai leader europei”.
Finora la leadership politica georgiana ha dimostrato scarso interesse per l’introduzione delle riforme, come dimostra una recente affermazione del primo ministro Gharibashvili secondo cui “il sistema giudiziario georgiano è di gran lunga migliore rispetto a quelli dei paesi membri [dell’UE]”.
Gharibashvili ha anche replicato alle critiche avanzate da alcuni membri del Parlamento europeo, affermando di non dover rispondere del suo operato agli eurodeputati, bensì al popolo georgiano. Tali commenti potrebbero aiutare il premier a conquistare la simpatia di alcuni segmenti dell’elettorato conservatore, ma di certo non possono costituire una scorciatoia verso l’adesione all’UE. Nonostante il governo georgiano auspichi di raggiungere entrambi gli obiettivi, il paese si trova ad un crocevia e deve decidere le sue priorità.