Avrebbe potuto essere diverso

Il 9 aprile 1989 le truppe sovietiche dispersero i manifestanti a Tbilisi, uccidendo venti persone. Fu un evento che cambiò il dibattito politico in Georgia. Un’intervista a Marina Muskhelishvili

25/08/2009, Giorgio Comai - Tbilisi

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Rivoluzione delle Rose (ritingon/flickr)

Marina Muskhelishvili è senior researcher presso il Centre for Social Studies (Centro per gli Studi Sociali, CSS) di Tbilisi, Georgia. È stata una dei fondatori del CSS, un’organizzazione indipendente non governativa dedita allo studio dei problemi relativi allo sviluppo della democrazia e alla trasformazione post-sovietica

Il 9 aprile 1989 le truppe sovietiche dispersero i manifestanti anti-sovietici che protestavano davanti al Parlamento di Tbilisi. Venti persone furono uccise, centinaia ferite. Che cos’hanno rappresentato questi eventi per la Georgia?

Penso che sia stato l’evento più importante degli ultimi vent’anni per la Georgia, perché l’impegno profuso in queste proteste e il modo in cui andarono le cose influenzarono in un certo senso gli sviluppi successivi. Il dibattito politico si fece molto radicale ed estremizzato e dopo questi eventi sembrava impossibile avere un approccio pragmatico e razionale.

Se non fosse stato per questi eventi, la storia recente della Georgia sarebbe stata meno violenta, meno rivoluzionaria, meno orientata al conflitto e alla guerra. Forse le cose si sarebbero sviluppate nella stessa direzione, ma con risultati meno dolorosi.

Quello del 9 aprile fu un evento terribile. Fu, in un certo senso, uno spartiacque che separò il passato dal futuro e che non avrebbe mai permesso uno sviluppo evolutivo.

Lei era a Tbilisi in quei giorni? Che sentimenti e che aspettative c’erano?

Sì, ero a Tbilisi. Eravamo tutti spaventati, ed era molto doloroso. È difficile spiegare quali aspettative avessimo veramente. Eravamo tutti molto contenti della perestroika, di tutti quei progressi che per noi erano molto importanti e sicuramente speravamo in un futuro migliore. Di certo era un periodo di grandi speranze e di grandi aspettative.

Fu come se queste aspettative fossero state però spazzate via dagli eventi sanguinosi dell’aprile 1989, e in quel giorno ebbi davvero paura che le cose sarebbero andate nella direzione sbagliata, non verso la democrazia e la libertà ma verso qualcosa di molto brutto. E di fatto accaddero molte cose brutte: la guerra civile, la guerra in Abkhazia, instabilità politica, ecc.

A quel punto l’Unione Sovietica stava crollando e il presidente nazionalista Zviad Gamsakhurdia salì al potere…

Quando Zviad Gamsakhurdia salì al potere si scontrò non poco con le aspettative della perestroika. Non era un politico esperto e aveva un approccio molto semplicistico e unilaterale nei confronti della politica. Era molto radicale coi suoi oppositori, non era disponibile a negoziare con le diverse parti della società e non accettava di avere un dialogo con la nomenclatura sovietica, che in Georgia era molto influente. E tutto ciò portò alla guerra civile.

Dopodiché salì al potere Shevardnadze. Direi che fin dall’inizio il mandato di Shevardnadze fu un vero successo. Era partito dal nulla, da zero, ma ciononostante riuscì a stabilizzare la situazione, a riportare in qualche modo la Georgia all’ordine costituzionale e a produrre una nuova costituzione nel 1995, che non era affatto male. Le elezioni parlamentari del 1992 e del 1995 furono abbastanza libere, anche se molti partiti rimasero tagliati fuori dal parlamento a causa dello sbarramento al 5 percento.

Vorrebbe dire che in qualche modo Shevardnadze stava cercando di riportare in auge lo spirito della perestroika?

Sì, penso che ci abbia provato, in una certa misura. Quando divenne presidente non aveva in mano niente, tutto il potere era controllato dai leader dei gruppi paramilitari. Passo dopo passo, riuscì a superare questa situazione e a conferire potere effettivo alle istituzioni e alle strutture statali. Dal 1995 poi ci fu qualche segnale di sviluppo economico e poco alla volta cominciarono a prendere il via il processo di privatizzazione e altre riforme.

Da un certo punto di vista direi che furono gli anni migliori per la Georgia. Ovviamente la situazione non era così positiva, ma almeno negli anni Novanta alcune cose stavano andando per il verso giusto.

Tuttavia sembra che Shevardnadze non fosse così popolare alla fine del suo mandato, nel 2003

Sì, la situazione politica stava progressivamente peggiorando e Shevardnadze era molto anziano.

La sua amministrazione era estremamente corrotta e le sue politiche sempre meno riformiste. Dopo le elezioni presidenziali del 2000, il suo stesso partito politico si rese conto che il mandato di Shevardnadze sarebbe terminato da lì a cinque anni, e tutti cominciarono a chiedersi chi avrebbe preso il suo posto.

Il governo e il parlamento erano in una situazione di stallo, mettendo Shevardnadze in una situazione di impasse ancora peggiore, perché nel paese non stava succedendo niente. È a questo punto che i giovani leader che successivamente avrebbero guidato la "Rivoluzione delle rose" cominciarono a diventare sempre più popolari, perché spingevano per le riforme quando il governo non stava facendo niente.

La "Rivoluzione delle rose" del dicembre 2003 apportò cambiamenti significativi per il paese e per il suo reale sviluppo democratico?

Penso che con la "Rivoluzione delle rose" perdemmo l’opportunità di avere una democrazia. Cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la "Rivoluzione delle rose" e se Shevardnadze fosse rimasto al potere per i due anni seguenti? Il parlamento eletto era già nelle mani dell’opposizione, ed era anche abbastanza pluralistico. Probabilmente lo scontro fra il governo e il parlamento sarebbe andato avanti, ma avrebbe dato la possibilità di un cambio democratico ai vertici, e l’opportunità a Shevardnadze di modificare la costituzione e di far diventare la Georgia una repubblica parlamentare.

Questo è quanto dissi il giorno precedente alle dimissioni di Shevardnadze. Ero in televisione quel giorno, pur essendo molto difficile comparire in TV quando non sostieni chiaramente né il governo né l’opposizione, avevo due minuti circa e dissi "gente, voi siete matti, non fatelo. Così non otterrete mai la democrazia. Qualunque fazione vincerà, non otterrete la democrazia. Quello che dovete fare ora è iniziare immediatamente un processo di riforme costituzionali. Modificare la costituzione per avere una repubblica democratica, cambiare i poteri del presidente, dopodiché Shevardnadze potrà dare le dimissioni, voi potrete avere elezioni adeguate e potrete eleggere Saakashvili o chi per lui."

Ma le cose andarono in modo diversi, Saakashvili divenne presidente sull’onda di questa protesta, e ora è possibile scorgere delle tendenze non democratiche e persino autoritaristiche nel suo stile di governo.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica è stato fatto molto in Georgia per lasciarsi alle spalle il passato sovietico e cancellare tutti i simboli di quel periodo. Lei crede che ci sia nostalgia per il periodo sovietico? Quanto sovietismo c’è ancora nella Georgia contemporanea?

No, non c’è nessuna nostalgia per il periodo sovietico. Certo, non è possibile tornare indietro. Però la mentalità sovietica ha lasciato tracce profonde, soprattutto nel fatto che il governo debba essere responsabile di tutto. C’è poca spinta per un’azione spontanea collettiva, soprattutto al di fuori di Tbilisi.

Anche per quanto riguarda la nostra comunità finanziaria, gli insegnamenti e l’educazione del periodo sovietico hanno lasciato un marchio profondo, a partire dagli anni Novanta. La gente pensa di essere orientata verso l’occidente, ma l’immagine che hanno dell’occidente è stata disegnata dal marxismo-leninismo. L’educazione marxista-leninista ha insegnato loro che fare affari è un esercizio di cinismo assoluto, che devi sfruttare i lavoratori, eliminare i tuoi concorrenti e così via, perché è così che l’occidente è stato descritto nel periodo sovietico. Ed è così che pensano di dover fare, ora che la Georgia deve essere "occidentale".

Pertanto, malgrado tutto l’impegno profuso a sbarazzarsi dei simboli sovietici e a lasciarsi alle spalle il passato sovietico, la mentalità e gli insegnamenti di quel periodo sono ancora predominanti?

La mentalità dogmatica sovietica c’è ancora. È uno stile di pensiero che io riassumo in tre punti: dogmatismo, determinismo e ideologia dello sviluppo, ovvero il pensiero teleologico, l’andare verso un "futuro luminoso", come dicevano nel periodo sovietico. La leadership attuale della Georgia ha ancora lo stesso tipo di mentalità sovietica, ma il discorso, la propaganda e i valori sono cambiati. Ora non parliamo più di "comunismo" perché stiamo andando verso la "democrazia", ma fondamentalmente è la stessa cosa.

Mi ha raccontato una storia di opportunità mancate. Guardando al futuro, pensa che ci saranno delle reali opportunità di cambiamento, o un modo per recuperare le aspettative e le speranze del periodo della perestroika, per realizzarle in qualche maniera?

Direi che durante il periodo della perestroika non ci aspettavamo che il cambiamento fosse così doloroso, così difficile, e che sarebbe costato così tante vite umane. Quindi se tornassi indietro non comprerei la mia libertà col sacrificio della vita di altre persone, perché ora mi sento responsabile. Sono molto meglio ora di quanto non fossi vent’anni fa. Sono libera, in un certo senso faccio quello che voglio, ottengo le informazioni che voglio, ho una vita migliore e sono fra coloro che hanno beneficiato di questi cambiamenti.

Ma tante persone, specialmente anziane, sono morte di fame, di miseria e di malattia, non avendo più gli stessi livelli di protezione sociale che avevano avuto sotto il regime sovietico. E non ci accorgemmo che sarebbe costato troppo, che tante persone sarebbero morte nelle guerre civili, che avrebbero perso le loro case e così via. In un certo senso mi sento responsabile di quanto è accaduto.

Se fossimo stati più razionali e più pragmatici sarebbe stato sicuramente meglio, e meno doloroso per la società. Non dico che l’obiettivo fosse sbagliato, ma la scelta dei leader, delle strategie e delle priorità avrebbe potuto essere diversa e tutte queste trasformazioni avrebbero potuto essere meno traumatiche per la società.

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