Ue: coesione e spettro demografico
Nell’intero sud-est Europa i dati sullo spopolamento sono drammatici e impongono urgenti riflessioni. Nel resto d’Europa la tendenza è meno negativa, ma resta allarmante
Nell’ottavo rapporto redatto dall’Ue sul tema della coesione territoriale europea ci si concentra anche sulle disparità demografiche nell’ultimo decennio e su come le politiche comunitarie e nazionali hanno influito (il rapporto completo è disponibile qui ).
Un dato ben descrive l’andamento generale: un cittadino europeo su tre abita in una regione che tra il 2010 e il 2020 ha subito un calo demografico. Questo nonostante, negli stessi anni, la popolazione dell’Unione europea sia cresciuta di 1,9 per 1000 abitanti ogni anno. Il tasso di crescita più elevato si è registrato nelle regioni UE nord-occidentali (4 per 1000 abitanti all’anno). La crescita della popolazione nell’Europa meridionale è stata inferiore (1 ogni 1000 abitanti), mentre la popolazione nelle regioni orientali dell’UE è diminuita (-2 ogni 1000 abitanti). La riduzione della popolazione nelle regioni orientali dell’Ue hanno avuto come conseguenza che due cittadini su tre di queste aree vivono in una regione che ha perso popolazione nell’ultimo decennio. Lo stesso vale per una persona su tre nell’UE meridionale e solo una su cinque nell’UE nord-occidentale.
Le proiezioni indicano che entro il 2040 metà della popolazione dell’UE vivrà in una regione in contrazione demografica. Ciò interesserà maggiormente le regioni orientali rispetto a quelle nord-occidentali. Le proiezioni indicano che nel 2040 l’85% della popolazione delle regioni orientali vivrà in una regione che sta perdendo popolazione, rispetto al 37% delle regioni nord-occidentali.
Le regioni rurali anemiche
Tra il 2010 e il 2020, la popolazione delle regioni rurali e di quelle non metropolitane si è lentamente ridotta (rispettivamente -1,6 e -1,0 ogni 1000 abitanti all’anno). Al contrario, la crescita della popolazione è stata positiva nelle regioni urbane e nelle regioni metropolitane (rispettivamente 4,5 e 6,2 per 1000 abitanti all’anno).
In questo contesto gli studiosi individuano il concetto di “riduzioni demografiche rapide”. Sono considerate tali quelle che vedono una riduzione di più di 7,5 cittadini ogni mille abitanti all’anno. Sono queste ultime spesso a causare una riduzione significativa della domanda di servizi ed infrastrutture e, ad esempio, a impattare tra le altre cose sul valore degli immobili. Nel decennio 2010-2020 si riscontra un’alta probabilità che queste riduzioni si verifichino in zone rurali piuttosto che urbane. L’11% della popolazione rurale vive in regioni a rapida contrazione rispetto all’1% della popolazione urbana. Le riduzioni rapide sono inoltre più comuni nell’UE orientale, dove il 14% della popolazione vive in una regione di questo tipo rispetto al 2% dell’UE nord-occidentale.
Principale causa della contrazione demografica: l’evoluzione naturale della popolazione
A livello europeo, l’immigrazione netta positiva (2,2 per 1000 abitanti) è stata un fondamentale elemento per compensare il cambiamento naturale della popolazione fisso da anni sul segno negativo (-0,3 ogni 1000 abitanti nell’ultimo decennio).
Un’analisi per tipologia regionale mostra che il cambiamento naturale della popolazione è stato negativo o vicino allo zero in tutti i tipi di regioni, ad eccezione delle regioni urbane nord-occidentali.
La migrazione netta è stata positiva in tutti i tipi di regioni, ad eccezione delle regioni rurali e intermedie orientali.
Ciò evidenzia che la principale fonte di riduzione della popolazione regionale è il cambiamento naturale negativo, molto più comune della migrazione netta negativa: tre regioni su quattro registrano un cambiamento naturale negativo rispetto a una su quattro per la migrazione netta negativa.
Piramidi di popolazione
Quando nel 1874 fu pubblicata la prima “piramide della popolazione”, gli alti tassi di natalità e mortalità la facevano assomigliare a una piramide: larga in basso e stretta in alto. L’aumento dell’aspettativa di vita e i bassi tassi di fertilità nell’UE hanno portato a una struttura per età radicalmente diversa. Oggi la "piramide" demografica dell’UE assomiglia più a una lampadina: stretta in basso, larga al centro, prima di tornare stretta in alto.
L’ampiezza della parte centrale è dovuta al maggior numero di nascite del passato, spesso definito “baby boom”. La popolazione dell’UE di età compresa tra 0 e 29 anni è inferiore del 24% rispetto a quella di età compresa tra 30 e 59 anni. Questo divario generazionale equivale al 10% della popolazione totale dell’UE ed è significativamente maggiore dell’attuale numero di persone che risiedono nell’Ue ma sono nate al di fuori dell’UE (44 milioni contro 36 milioni). Sebbene l’immigrazione futura possa colmare una parte di questo divario, è improbabile che lo colmi interamente. Di conseguenza, la popolazione dell’UE inizierà a ridursi nei prossimi anni e decenni.
Le regioni urbane tendono ad avere una quota maggiore di giovani adulti, mentre le regioni intermedie tendono ad avere più persone di mezza età e le regioni rurali hanno più persone di 65 anni e oltre. Ciò è dovuto in parte agli spostamenti tra regioni. I giovani adulti sono più propensi a trasferirsi in una regione urbana per studiare e trovare il loro primo lavoro. Le persone di mezza età sono più propense a spostarsi dalle regioni urbane a quelle intermedie per trovare un alloggio più grande e meno costoso per loro (e per i loro figli). Nonostante le differenze nella struttura dell’età odierna, tutti e tre i tipi di regioni dovranno far fronte a una riduzione dei giovani e delle persone in età lavorativa e a un forte aumento delle persone di 65 anni e oltre, come mostrano le piramidi demografiche qui sotto.
Spariscono i giovani
Secondo le proiezioni, nel prossimo decennio il numero di giovani (di età compresa tra 0 e 19 anni) si ridurrà del 5% nell’UE, con molte regioni meridionali e orientali che subiranno riduzioni superiori al 10% . In controtendenza si prevede una crescita del numero di giovani a Cipro, Malta e in diverse regioni della Germania e della Svezia. Le forti riduzioni del numero di giovani porteranno probabilmente a una riduzione del numero di scuole, con il rischio di allungare le distanze dalla scuola più vicina, soprattutto nelle aree rurali dove le distanze sono già significative.
Si prevede che la popolazione in età lavorativa nell’Ue (definita come quella di età compresa tra i 20 e i 64 anni) si ridurrà del 4% nel prossimo decennio. È probabile che questo fenomeno interessi la maggior parte delle regioni, con alcune che rischiano di subire riduzioni superiori al 10%.
Quasi tutte le regioni dell’UE registreranno per contro un aumento della popolazione di età superiore ai 65 anni. Solo in alcune regioni di Bulgaria, Grecia, Portogallo e Romania si prevede una diminuzione di questa fascia d’età ma non è un dato da interpretare in modo positivo, perché potrebbe rappresentare l’ultima fase dello spopolamento di intere zone. Al contrario, in molte regioni dell’Austria, dell’Irlanda, dei Paesi Bassi, della Polonia, della Spagna e della Slovacchia si prevede una crescita di oltre il 25% di questa fascia d’età nel prossimo decennio.