Politica di coesione europea: chiaroscuri

L’ottava relazione sulle politiche di coesione, pubblicata dalla Commissione europea, dipinge un bilancio poliedrico, caratterizzato dalla convergenza di alcune regioni arretrate con gli standard europei e dall’arretramento di altre

24/02/2022, Nicola Zordan -

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© Hatcha/Shutterstock

Con cadenza triennale, la Commissione europea divulga la relazione sulla coesione , un report dettagliato sull’evoluzione delle differenze interne all’UE e sull’efficacia delle politiche di coesione. L’ultima relazione, di recente diffusione, ha evidenziato un quadro sfaccettato, composto da miglioramenti significativi in alcuni settori e da arretramenti in altri.

Crescita del PIL pro-capite

Non c’è dubbio che la politica di coesione stia investendo ingenti risorse per appianare le divergenze all’interno dell’UE, tanto è vero che i fondi di coesione sono arrivati a rappresentare il 52% del totale degli investimenti pubblici europei tra il 2014 ed il 2020. I dati a disposizione in effetti dimostrano che il PIL pro capite del decile meno sviluppato ha ridotto il divario con il decile più sviluppato del 3,5%, riducendo la distanza che li separa. Ma l’andamento del fenomeno è tutt’altro che unilaterale.

Come mostrato dalla mappa 1, dal 2001 al 2019 il divario in termini di PIL pro capite tra l’UE e l’Europa orientale è andato effettivamente assottigliandosi. Un simile miglioramento è stato reso possibile da investimenti strutturali, sviluppo delle infrastrutture e un costo del lavoro relativamente basso, oltre che da un sensibile passaggio di manodopera dal settore agricolo al settore industriale e dei servizi – dal maggiore valore aggiunto. Un andamento che non dovrebbe stupire più di tanto, se si tiene in considerazione la spinta propulsiva che queste economie hanno ricevuto dall’integrazione al mercato unico a seguito dell’ingresso nell’UE e al loro potenziale inespresso per decenni. La vera sfida per questi paesi sarà mantenersi fuori dalla cosiddetta "trappola dello sviluppo" – caratterizzata da un basso livello di PIL pro capite, una bassa produttività e un basso livello di occupazione per un lungo periodo di tempo – che altri membri dell’UE stanno invece sperimentando.

Quello che invece balza all’occhio, è – nello stesso arco temporale – la contrazione del PIL pro capite dell’Europa meridionale. Paesi come la Grecia e l’Italia mostrano di non essersi ancora ripresi a seguito della crisi economica del 2008. L’intera Grecia, l’Italia meridionale e alcune aree rurali o ex industriali della Francia sono cadute nella trappola dello sviluppo nonostante il sostegno ricevuto dalle politiche di coesione e un iniziale vantaggio competitivo. La maglia nera spetta a ben quattro regioni greche (rispettivamente Dytiki Ellada, Ipeiros, Thraki e Analotiki Makedonia) e una italiana (Calabria), dove il PIL pro capite da più di 15 anni è inferiore al 75% della media europea (mappa 2).

Questi dati stanno a dimostrare che se per quanto riguarda i paesi dell’est Europa le politiche di coesione sembrano effettivamente funzionare, con l’Europa meridionale qualcosa si è inceppato.

Numero di anni di "trappola dello sviluppo"

Un’altra faglia degna di nota riguarda la frattura tra aree metropolitane ed aree rurali: se per l’UE nord-occidentale il PIL pro capite è sostanzialmente cresciuto di pari passo nelle diverse regioni, fatta eccezione per le aree metropolitane delle capitali – che hanno dimostrato un tasso di crescita leggermente superiore – per l’UE sud-orientale il gap tra campagna e città è stato più marcato, determinando una concentrazione maggiore delle attività economiche nelle aree metropolitane. Questa tendenza nel lungo termine conduce ad uno sviluppo regionale disomogeneo, anche all’interno degli stessi stati, come dimostrato per esempio dall’accesso alla connessione veloce: disponibile per due residenti su tre nelle aree urbane e solo per un cittadino su sei delle zone rurali.

Le differenze nei tassi di occupazione regionali riflettono la situazione economica: sebbene la disoccupazione tra il 2008 ed il 2019 sia risultata in calo in tutta l’UE, il divario tra regioni sviluppate e regioni meno sviluppate rimane superiore al periodo pre-crisi, con una netta differenziazione tra Europa settentrionale e meridionale (mappa 3). Allo stesso modo, il divario di genere nel mondo del lavoro risulta marcatamente più accentuato nelle regioni meno sviluppate (17%) rispetto a quelle più sviluppate (9%).

L’inversione di questo trend è fondamentale, in quanto le regioni meno sviluppate rischiano di avvitarsi in un circolo vizioso costituito dalla presenza di meno competenze, risorse e livello educativo più basso, e di conseguenza meno possibilità di smarcarsi da una situazione di arretratezza. Esemplare, da questo punto di vista, la difficoltà dei paesi dell’Europa orientale (ma anche di alcune regioni degli stati membri più sviluppati) nel colmare il divario esistente con altre zone dell’UE in termini di innovazione, che infatti è aumentato (mappa 2). Le regioni più sviluppate vantano in percentuale più del doppio dei cittadini impegnati in attività formative ed educative rispetto alle altre regioni.

La pandemia in corso, ovviamente, ha alterato questo quadro complessivo, con ricadute ancora da definire. Sicuramente ha messo a nudo la fragilità dei sistemi sanitari delle regioni meno sviluppate, dove la mortalità è aumentata del 17%, a discapito di una media europea del 13%. Nel decennio precedente il divario est/ovest riguardo l’aspettativa di vita era andato via via assottigliandosi, sebbene fosse rimasto di rilievo.

Un altro elemento che emerge con prepotenza, ancora una volta, è la necessità di rafforzare la cooperazione interregionale. In una situazione di crisi pandemica come quella che stiamo vivendo, infatti, le zone transfrontaliere si rivelano essere tra le più fragili, in quanto la permeabilità dei confini nazionali viene meno, mettendo a rischio intere economie locali.

Tasso di occupazione

In conclusione, se da un lato la politica di coesione ha contribuito a diminuire il gap tra l’UE e l’Europa orientale, d’altro canto ampie regioni dell’Europa meridionale e sud-occidentale stanno vivendo una fase di stagnazione, se non di aperta recessione. Anche tra gli stati che hanno dato dimostrazione di una rapida convergenza, poi, sono aumentate significativamente le disparità interne tra singole regioni.

Per far fronte alla crisi sanitaria, dal 2020 si è assistito ad un parziale mutamento nell’utilizzo del fondo di coesione, che è servito come strumento per canalizzare rapidamente fondi supplementari in risposta all’emergenza in corso.

"La pandemia ha aumentato il rischio di disuguaglianze nell’UE", ha asserito Nicolas Schmit, commissario per il Lavoro e i Diritti sociali, e a maggior ragione in questo contesto "la politica di coesione è uno dei nostri strumenti principali per combattere questa tendenza".

Una volta svolto questo ruolo emergenziale, tuttavia, il fondo dovrebbe tornare al più presto a dedicarsi completamente alle missioni per le quali è stato ideato: la promozione di uno sviluppo armonioso tra le regioni europee, il livellamento delle disparità.

"La relazione ci permette di trarre insegnamenti dal passato per essere meglio preparati ad affrontare le sfide del futuro", ha chiosato Elisa Ferreira, commissaria per la Coesione e le Riforme.

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