Un tetto di radici
È ora in libreria "Un tetto di radici" a firma di Gianna Mazzieri-Sanković e Corinna Gerbaz, un libro che – sottolinea Diego Zandel – rappresenta una pietra miliare critica della letteratura fiumana
Un verso del grande scrittore fiumano “rimasto”, Osvaldo Ramous, dà il titolo al libro, il primo in assoluto, che analizza ampiamente la letteratura esclusivamente fiumana di lingua italiana del dopoguerra, come espresso anche dallo stesso sottotitolo “Lettere italiane: il secondo Novecento a Fiume”, edito dalle edizioni Gammarò.
Il merito va a due autrici molto note al pubblico fiumano. Parliamo di Gianna Mazzieri-Sanković, capodipartimento e docente del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Fiume (Rijeka), e Corinna Gerbaz Giuliano, docente della stessa cattedra di letteratura italiana presso lo stesso Dipartimento. Va aggiunto che le due autrici sono state anche cofondatrici dello stesso, conseguendo nel 2012 il Premio della Regione Litoranea-Montana per la sua istituzione e promozione.
Dicevamo che “Un tetto di radici” è il primo testo che affronta in maniera così vasta e organica una materia complessa che vede nella città di Fiume svolgersi sotto gli occhi della storia, dal 1945 in poi, un cambiamento così radicale da sottrarre nel volgere di pochi anni, con l’esodo di gran parte della sua popolazione originaria e la sostituzione di questa con gente proveniente dai paesi limitrofi e anche dai diversi paesi di quella che era la Jugoslavia, le ataviche tradizioni culturali, linguistiche e popolari che la caratterizzavano. Innanzitutto la sua vocazione cosmopolita, favorita dalla sua posizione di frontiera, che conteneva popolazioni diverse, da quella maggioritaria italiana a quelle croata, da quella ungherese, slovena, austriaca, financo greca ed altre, che avevano trovato nell’italiano la loro lingua franca, di uso comune che, al pari dell’asburgica Trieste, veniva usato, in maggioranza, anche nelle lettere come testimoniano le grandi opere di Italo Svevo, Umberto Saba, Scipio Slataper, Gianni Stuparich, Pier Antonio Quarantotti Gambini.
Dopo il 1945 – in ragione soprattutto della volontà del potere monocratico comunista jugoslavo, per un percorso politico che, come scrive Alessandro Vitale nel suo libro “L’unificazione impossibile”, puntava a “scolorire le identità etniche della Jugoslavia, sostituendovi l’omogeneità forzata della classe operaia come padrona dello stato multietnico attraverso il Partito comunista” e una lingua comune che doveva essere il serbo-croato – anche Fiume vide la sua popolazione di lingua italiana diventare minoranza.
Ciò non impedì la permanenza di una cultura e, nello specifico, una letteratura italiana, oltre che per gli autori nati a Fiume prima e dopo la guerra, poi rimasti come Osvaldo Ramous, Ezio Mestrovich, o esuli come Enrico Morovich, Paolo Santarcangeli, Franco Vegliani e, successivamente, anche per l’arrivo e permanenza in città, in ragione della loro adesione all’ideologia comunista, di scrittori provenienti dalla penisola italiana come Giacomo Scotti (da Saviano), Lucifero Martini (da Firenze), Alessandro Damiani (da Sant’andrea Apostolo dello Ionio), Mario Schiavato (da Quinto di Treviso), contribuendo al mantenimento della lingua con opere legate alla città di Fiume. Lo stesso dicasi per gli autori nati e cresciuti nella Fiume del dopoguerra come Laura Marchig.
Ma “Un tetto di radici” ha uno sguardo lungo e prende in esame anche quegli autori nati a Fiume ma partiti esuli ancora imberbi al seguito della famiglia, come Marisa Madieri, che esule a Trieste sposerà il grande Claudio Magris, o il poeta Valentino Zeichen o, addirittura, nati in esilio come Diego Bastianutti o il sottoscritto che coglie l’occasione qui per ringraziare le due autrici per la grande attenzione che è stata posta alla sua opera letteraria, con un’acutezza critica che rivela non solo la loro grande preparazione accademica, ma anche la passione che hanno messo nel loro lavoro e nella materia di non certo facile trattazione che, per gli aspetti controversi della storia, necessitava anche di un equilibrio e sapienza politica di cui hanno dato grande mostra.
Va aggiunto che il libro, seppur concentrato sulla letteratura del secondo dopoguerra, non trascura, prima di addentrarsi in questa, di raccontarne le origini, dal medioevo al neoclassicismo, da romanticismo al risveglio nazionale e, ancora la convenzione/tradizione anteica fiumana e la produzione in vernacolo fino alla letteratura a cavallo tra Otto e Novecento.
Insomma, un libro che – va detto – rappresenta una pietra miliare critica della letteratura fiumana.