Kraljević, l’uomo mite di Buje

Drago Kraljević, ex ambasciatore della Croazia a Roma, racconta la sua esperienza quinquennale in Italia nel libro “Italija, naš najveći i najmoćniji susjed” (Italia, il nostro maggiore e potente vicino), presentato il 25 marzo scorso a Trieste nella sede della Comunità croata. La nostra intervista all’autore

15/04/2010, Daniele Scarpa -

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Drago Kraljević

Il libro di Drago Kraljević è un resoconto, suddiviso in 14 capitoli, dei cinque anni trascorsi in Italia a capo del corpo diplomatico croato, dall’inizio del 2001 all’ottobre 2005. "Italija, naš najveći i najmoćniji susjed" è uscito in Croazia alla fine del 2009 a cura della casa editrice Adamić di Fiume. Tre le prefazioni all’opera, quella dello scrittore e accademico Predrag Matvejević, dello scrittore Diego Zandel e dell’ex ministro degli Esteri croato Tonino Picula, che soprannomina l’autore mirni čovjek iz Buja, “l’uomo mite di Buje”.

Che cosa l’ha spinta a scrivere un libro sulla sua esperienza in Italia?

Dopo essere ripartito dall’Italia nell’ottobre 2005, a dire il vero non pensavo di scrivere un libro sui rapporti tra Italia e Croazia. L’idea del libro è nata più tardi, nella primavera del 2007, dopo aver riflettuto su quello che era accaduto durante quegli anni di intensi rapporti. Ne parlavo spesso con i miei amici, che mi dicevano: “Dai, scrivilo, sei stato anche il primo ambasciatore istriano a Roma!” e così ho cominciato a riportare almeno gli eventi più importanti di quel quinquennio, quando la Croazia si è aperta al mondo e al nostro maggior vicino. Sentivo il bisogno di raccontare la mia esperienza.

Penso spesso a dieci anni fa, quando per la seconda volta venni eletto al Parlamento croato. La Croazia allora si trovava in una situazione difficile, eravamo isolati dal mondo. Ma le elezioni del 2000, con la vittoria del centro-sinistra, segnarono una svolta per il Paese e per la sua politica estera.

Il nuovo governo decise di inviarmi come ambasciatore a Roma, e fu un grande onore ma al contempo anche una grande sfida.

Ci può fare una breve panoramica delle relazioni tra Italia e Croazia?

Durante la mia carica di ambasciatore in Italia, il governo di Ivica Račan, il primo dopo Tuđman, ha risvegliato un grande interesse per i cambiamenti politici in Croazia. Quando sono arrivato a Roma, la stampa italiana ha reagito in maniera positiva. Alcuni media sottolineavano il fatto che stava per arrivare una persona fidata, un socialdemocratico, deputato del Parlamento croato e che si sarebbe conclusa l’era tuđmaniana. In seguito i media italiani più volte si sono espressi sui rapporti italo-croati; ad esempio su “Il Gazzettino” del gennaio 2005, quando si ipotizzava su chi sarebbe stato il prossimo ambasciatore, è apparso un articolo che metteva in luce quanto il mio soggiorno a Roma, per l’Istria e l’intera Croazia, avesse rappresentato un grande successo grazie agli ottimi rapporti politici ed economici tra i due Paesi. Comunque, la soddisfazione maggiore è arrivata dopo il mio ritorno in Croazia, quando il presidente Ciampi mi conferì una grande onorificenza, l’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana – Grande Ufficiale, come riconoscimento del servizio svolto a Roma.

Secondo la sua esperienza, in che modo l’Italia è importante per la Croazia e viceversa?

La Croazia e l’Italia condividono buona parte della loro storia. Prendo come esempio molti croati che in passato soggiornarono in Italia come Fausto Vrančić, Juraj Klović e Ruđer Bošković. E oggi nelle università italiane è presente un grande numero di studenti croati. In passato c’erano anche diversi intellettuali italiani originari della Croazia, come Nicolò Tommaseo, Leo Valiani, Fulvio Tomizza.

Quando abbiamo sottoscritto il nostro primo accordo con l’UE sulla cooperazione adriatica e transfrontaliera, sui rapporti di buon vicinato e la politica sulla pesca (ASA), i due Paesi sedevano quasi sempre allo stesso tavolo. Quasi tutti gli accordi sull’Adriatico sono prevalentemente frutto delle relazioni italo-croate.

Inoltre, l’Italia ha assorbito le nostre due banche principali, Zagrebačka banka e Privredna banka, controllando così oltre il 50% del mercato finanziario croato. Di conseguenza anche gli investimenti italiani in Croazia sono e saranno anche in futuro condizionati da questo fatto.

In che modo ha potuto crescere professionalmente durante il soggiorno a Roma?

Diciamo che ho avuto un incarico importante e delicato. In quanto diplomatico ero sempre in contatto con la Farnesina, il governo italiano, i vari ministeri, le regioni e le camere di commercio, con cui abbiamo promosso anche numerosi progetti a livello locale e regionale.

Inoltre, abbiamo organizzato interessanti tavole rotonde sull’Europa, i Balcani e l’Italia; tutto questo mi ha aiutato ad acquisire nuove esperienze e competenze.

Vuole parlarci dei suoi sentimenti verso l’Italia e la sua terra di origine, l’Istria e la Croazia?

È stato proprio il mio soggiorno a Roma a permettermi di conoscere meglio e amare questo Paese. L’Italia è una terra che, per il suo patrimonio culturale, occupa un posto importante nel mondo.

Durante la mia carica di ambasciatore, ho allacciato diversi rapporti con l’Italia che durano tuttora.

In particolare, la mia famiglia in passato visse l’esperienza di due esodi; ciò mi ha permesso di collaborare con le più importanti associazioni di esuli proprio perché conosco bene la problematica.

Per quanto riguarda l’Istria, è la mia terra nativa in cui ho i ricordi più piacevoli. Al contempo vedo l’entrata della Croazia nell’UE anche come un’opportunità di affermazione delle identità regionali, molto sentite nella regione istriana. E si tratta di un’identità che non esclude altre realtà. Perciò vivo l’istrianità come un’appartenenza alla mia terra, uno stile particolare di vita e convivenza tra persone di lingue, culture, dialetti e nazionalità diverse, che si riconoscono attraverso la comunicazione e i legami con le tradizioni.

E vivo la Croazia come la terra che potrebbe svolgere un ruolo essenziale per l’Europa in questa regione. In questo periodo di forte crisi, mi auguro che i cittadini croati vedano ancora l’UE come una “terra promessa”. Con l’entrata nell’Unione, i cittadini faranno parte di uno spazio più ampio, che porterà a nuove collaborazioni sul piano professionale e culturale.

Ci può raccontare l’Istria di Drago Kraljević?

Io vivo a Buje, città a due passi dall’Italia, dove ho sempre convissuto con italiani e croati.

A Roma mi sentivo come a casa, e questo è stato un vantaggio che mi ha permesso di trasmettere la mia esperienza anche a Zagabria. Come croato-istriano, conosco molto bene la questione degli esuli, dei beni nazionalizzati e la storia del dopoguerra. Questi sono temi molto vicini agli istriani, che sicuramente mi hanno aiutato a costruire un ponte tra Croazia e Italia.

Durante il suo mandato, qual è stato l’episodio più positivo e gratificante?

Mi ritengo particolarmente soddisfatto per i rapporti commerciali tra i due Paesi, essendo l’Italia il primo partner. In quel periodo abbiamo più che raddoppiato gli scambi commerciali con l’Italia e promosso l’economia croata. L’apertura verso l’occidente ha fatto aumentare gli investimenti nel nostro Paese. E sono molto soddisfatto dei risultati conseguiti anche nella promozione della cultura e letteratura croata grazie anche al contributo delle associazioni croate e degli istituti di cultura.

Per quanto riguarda il tema delle minoranze, quali sono stati i traguardi più importanti?

Durante il mio mandato sono stati aperti 5 consolati onorari della Repubblica di Croazia in Italia, tra cui uno anche a Montemitro/Mundimitar, uno dei tre comuni molisani abitati dalla popolazione autoctona croata; nell’aprile 2002, abbiamo fondato la Federazione delle Comunità Croate che ingloba tutte le comunità croate d’Italia. Inoltre, grazie alla rivista bilingue “Insieme”, le singole comunità hanno rafforzato la collaborazione tra loro.

Ci sono stati momenti critici tra i due Paesi durante il quinquennio a Roma?

Sì, quando il quotidiano triestino “Il Piccolo” nel settembre 2001 ha riportato la notizia della decisione del presidente Ciampi di conferire la medaglia d’oro (poi non consegnata) all’ultima amministrazione italiana a Zara (1943) per onorare “l’uccisione di massa durante i bombardamenti degli alleati”, scatenando così un incidente diplomatico con la Croazia. Mi ricordo che in quei giorni anche gli ambasciatori dei Paesi dell’UE manifestarono la propria preoccupazione.

Ma, dopo l’incontro con l’allora ministro degli Esteri Ruggiero, c’è stata una riappacificazione e i toni si sono pian piano affievoliti.

Lei ha rappresentato in Italia una Croazia ben diversa da quella degli anni ’90

Con le elezioni del 2000, la Croazia ha vissuto una svolta nei rapporti con l’Unione europea e il mondo intero. La firma del primo accordo di stabilizzazione e associazione con l’UE, nel 2001, ha permesso alla Croazia di avanzare verso la società moderna e di entrare nella NATO. Ora spetta alla Croazia attuare le riforme necessarie per non entrarvi impreparata.

Perché impreparata?

Con l’accettazione degli standard europei, si creano i presupposti per il cambiamento della nostra società. Una cosa è certa: per poter funzionare bene in una comunità di 500 milioni di persone, dobbiamo prima risolvere alcuni problemi della nostra economia, purtroppo sempre meno competitiva. Per fare ciò, è necessario consolidare la produzione industriale e agricola, promuovere l’esportazione e ridurre la disoccupazione. Se la Croazia entrasse nell’UE con un tale debito estero e con un PIL insufficiente a colmarlo, temo che avremmo grossi problemi nell’Unione europea.

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