E’ il primo presidente comunista (non pentito) dell’Unione europea. Dal quartiere generale del suo partito, l’Akel, non sono mai spariti le bandiere rosse e i busti di Lenin. Eppure, nonostante l’allarme rosso lanciato dalla chiesa ortodossa locale e nonostante una campagna condotta dall’avversario conservatore Ioannis Kossulidis anche a colpi di sms e di email che riproducevano le immagini di soldati sovietici e la scritta "Non vorrete essere rappresentati da loro a Bruxelles? Votate Kassulidis", Dimitris Christofias, 62 anni, ex borsista a Mosca in epoca sovietica, dove ha studiato Scienze politiche, ha vinto domenica 24 febbraio le elezioni per il nuovo capo dello Stato nella Repubblica di Cipro, a maggioranza greco cipriota, l’unica riconosciuta dall’Onu e dall’euroclub di cui fa parte dal 2004.
L’hanno preferito il 53,36 percento del mezzo milione di elettori, contro solo il 46,64 percento che hanno votato l’avversario Kossulidis, l’altro leader arrivato al ballottaggio dopo il primo turno del 17 febbraio, che aveva eliminato, a sorpresa, l’ex presidente Thassos Papadopulos.
"A partire da domani, uniremo le nostre forze per arrivare alla riunificazione della nostra patria", è stato il suo saluto alla folla festante nelle strade di Nicosia. Christofias si è subito pronunciato per l’apertura dei negoziati con la controparte turcocipriota sotto l’egida dell’Onu. "Lancio un messaggio di amicizia ai turco-ciprioti. Li chiamo a una battaglia comune per riunificare la nostra terra e per gestire i nostri problemi senza interventi stranieri" ha dichiarato, con chiaro riferimento all’onnipresente ingerenza di Ankara.
Cipro è infatti divisa dopo l’invasione di un terzo dell’isola da parte dei militari turchi nel 1974, in seguito a un tentativo di golpe dell’allora dittatura dei colonnelli di Atene: il piccolo lembo di terra nell’estremo Mediterraneo orientale, al largo delle coste turche e libanesi, rischia infatti ora di incamminarsi verso una spartizione definitiva fra l’autoproclamata Cipro nord, a maggioranza turco-cipriota e riconosciuta solo da Ankara, e la Repubblica di Cipro. "Ma io voglio andare avanti per trovare un accordo e delle regole giuste: è una necessità assoluta" ha ribadito Christofias, che sale al potere proprio una settimana dopo la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, che ha aperto la strada a un preoccupante precedente. Non a caso, la diplomazia di Belgrado ha parlato dell’apertura di un "vaso di Pandora" da parte dei leader di Pristina: l’effetto Kosovo potrebbe estendersi dai Balcani a Cipro fino al Caucaso.
Insomma nell’isola di Afrodite bisogna trovare in fretta un accordo con gli scomodi vicini al di là della linea verde, pattugliata dai caschi blu, che ancora taglia in due da 33 anni l’isola e la sua capitale Nicosia. In questo l’avversario politico di Christofias, Kassulidis, ha già promesso pieno appoggio: "Assicuro al neopresidente di essere al suo fianco nel tentativo di trovare una soluzione alla nostra questione nazionale".
Anche i turco-ciprioti, e il loro premier Talat, hanno accolto con favore i risultati delle urne dall’altra parte dell’"ultimo muro d’Europa" che attraversa con tratti di filo spinato il pieno centro di Nicosia. "Consideriamo questo cambio della guardia al vertice come un’opportunità. Ci auguriamo che i negoziati comincino subito, senza inutili preliminari". Più tiepida la reazione di Ankara: "Siamo prudenti, aspettiamo a esprimere un giudizio" dicono al ministero degli Affari Esteri turco, "dobbiamo vedere se Chistofias ha promesso una contropartita al premier uscente Papadopulos, in cambio del suo appoggio al ballottaggio".
Dopo la prima tornata del 17 febbraio, infatti, Papadopulos è stato messo fuori gara di misura, dopo avere ottenuto circa il 30 per cento dei voti. Era stato lui, nel 2004, a suggerire ai suoi compatrioti di bocciare il referendum sulla riunificazione dell’isola basata sul piano Onu presentato da Kofi Annan, referendum approvato invece dai turco-ciprioti. Un piano che, a parere di Papadopulos e di molti analisti, prevedeva un ritiro troppo lento e graduale (minimo tre anni) dei 30mila militari anatolici che sono ancora di stanza a Cipro nord con il pretesto di proteggere la comunità turcocipriota, che prima del 1974 contava il 12 per cento del totale della popolazione e che da allora è stata concentrata nelle zone occupate. Altro punto dolente, nel piano Kofi Annan, era la mancata presa in dovuta considerazione della presenza, aumentata negli anni, di oltre 100mila immigrati dall’Anatolia, che nulla avevano a che fare con i nativi turcociprioti.
Lo stesso Christofias, nel 2004, aveva appoggiato la politica del "no" al referendum, ma l’anno scorso si è ritirato dall’alleanza con il partito democratico di Papadopulos al potere denunciando, come del resto ha sempre fatto il conservatore Kassulidis, le lungaggini della tattica di Papadopulos, troppo adagiata sullo status quo.
Ora lo status quo è troppo traballante e a rischio. A marzo arriveranno a Cipro i mediatori internazionali. Christofias, nato nel 1946 a Kyrenia, di fronte alla Turchia, nella zona poi occupata dai militari di Ankara, è pronto ad accoglierli.