Tamara

Negli anni ’80, Tamara era un’insegnante di lingua e letteratura russa in Cecenia. Negli anni 2000, ha dovuto affrontare la sparizione del marito e un cancro al seno, una malattia che dopo le recenti guerre ha un’incidenza particolarmente alta in Cecenia

29/09/2010, Majnat Kurbanova -

Tamara

In treno per Rostov (foto G. Comai)

Tamara ci insegnava storia, russo e letteratura. Fu lei a farci conoscere Blok ed Esenin, a dirci che tutti i classici del realismo socialista sovietico non valevano un verso di Pasternak. Ricordo ancora il modo in cui leggeva le poesie mentre noi piangevamo, vergognandoci un po’ del nostro sentimentalismo. Era la fine degli anni ottanta del secolo scorso e le nostre anime adolescenti si inebriavano al pensiero della perestrojka e della trasparenza annunciate da Michail Gorbačëv. Tamara ci raccontava dei grandi scrittori e filosofi russi, di Sacharov e Solženicyn, dei gulag, del dissidente ceceno Abdurachman Avtorchanov e del suo libro “Tecnologia del potere” in cui aveva denunciato Stalin. L’Unione Sovietica era già in agonia, ma per noi la guerra era ancora solo una cosa che si vedeva nei film o si leggeva nei manuali di storia.

Un giorno Tamara stava leggendo un brano dal racconto di Gogol in cui si descrive l’eroica morte di Taras Bul’ba, protagonista del noto romanzo pubblicato nel 1835. Ed ecco che, finito di leggere l’ultimo episodio sul supplizio del cosacco, dal silenzio raggelato che era sceso sulla classe si levò una voce tremante per l’emozione. Aslan Dadaev, (che era soprannominato “El’cin” e sarebbe morto proprio all’inizio della prima guerra cecena), chiese: “Tamara Abuevna, ma questo Taras Bul’ba è vivo oggi?”.

Quasi quindici anni dopo, per qualche motivo, questo buffo episodio mi tornava in mente di continuo quando mi proponevo, senza mai decidermi, di andare dalla maestra e dirle qualche parola di sostegno o compassione. Nel 2003, dei soldati mascherati erano entrati di notte a casa di Tamara e avevano sequestrato suo marito. Questo era successo pochi giorni prima del referendum indetto dalle autorità russe per l’approvazione della nuova costituzione cecena.

Il presidente russo Putin, rivolgendosi al popolo ceceno in un discorso pronunciato alla vigilia del referendum, annunciò che, con la partecipazione al voto, nelle case cecene non sarebbero più entrate “ignote figure in maschera” a sequestrare persone. “Non si dovrà più temere il bussare alla porta nel mezzo della notte”, disse il garante della Costituzione. Ma nel destino di Tamara le parole del presidente, comunque rivelatesi vane, non potevano più cambiare nulla.

I soldati russi arrivarono a casa di Tamara a tarda notte. In realtà non bussarono, come diceva Putin, allora ancora presidente della Federazione Russa. Semplicemente saltarono il recinto, sfondarono la porta d’ingresso e fecero irruzione in camera da letto. Legarono lei e i tre bambini ai radiatori, dopo aver tappato loro la bocca con lo scotch perché non gridassero. Il marito di Tamara, Aslan, se lo portarono via. Aslan era invalido, zoppicava da una gamba, e di rapporti con la resistenza armata non ne aveva. Forse il suo sequestro serviva a spaventare gli abitanti del luogo. Oppure, semplicemente, la casa si trovava poco lontano dalla base delle truppe russe e lui costituiva un obiettivo facile per i soldati che andavano a compiere i raid mirati tristemente noti come “začistki”.

Non si ebbero più notizie di Aslan. Nessuno riuscì a trovarlo, né fra i vivi né fra i morti.

Ancora oggi non so quali parole bisogna tirar fuori in questi casi. Ai funerali è più semplice, almeno sai cosa bisogna dire. Ma così, che cosa si può fare, inventare un nuovo genere di condoglianze? Compassione con una punta di ottimismo?

Tamara, che sta crescendo tre figli, ha da poco arricchito le file dell’esercito delle pazienti della clinica oncologica di Rostov, dove donne cecene costituiscono oltre il 70 per cento dei malati. Il tumore al seno è una diagnosi molto diffusa fra le donne cecene, tanto che il riscontare questa malattia non sorprende più di un’epidemia d’influenza. In tutta la repubblica non c’è né un centro diagnostico né un medico specializzato che possa individuare la malattia al suo stadio iniziale. Quando la paziente sospetta di cancro arriva al centro più vicino, che si trova appunto a Rostov, ovvero a quasi 1000 chilometri da Grozny, la malattia è spesso già ad uno stadio troppo avanzato. Lo stress, i lunghi anni passati in condizioni estreme e l’assenza dei servizi sanitari di base non sono passati senza lasciare traccia su migliaia di donne cecene. Nemmeno Tamara è stata risparmiata: alcuni mesi fa le è stato asportato il seno per evitare la diffusione di metastasi.

“La cosa che desidero di più al mondo è prendere i miei figli e andare via” dice Tamara. “Ma non potrò farlo finché non avrò trovato e seppellito mio marito”.

Tamara non insegna più letteratura russa. Da quella notte di marzo del 2003 non ha più parlato in quella lingua.

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