La scomparsa della politica

Interesse nazionale, politica, scomparsa dell’organizzazione sociale radicata nel vecchio regime e basata su legami personali, primi segni di una nuova e più vitale società civile. La Bulgaria alle porte delle prime elezioni europee in una nostra intervista

26/04/2007, Francesco Martino - Sofia

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Ivaylo Dichev - foto di Francesco Martino

Ivaylo Dichev è professore di antropologia culturale presso l’Università "Sv. Kliment Ohridski" di Sofia. Autore di numerose pubblicazioni, ha concentrato il suo interesse sull’impatto dell’allargamento dell’Ue su politica e cultura bulgare. E’ uno dei commentatori più autorevoli del quotidiano "Sega".

Recentemente ha scritto della "scomparsa della politica" in Bulgaria. Può spiegarci che cosa intende dire?

Negli ultimi mesi abbiamo assistito alle ripetute proteste di alcune corporazioni o sezioni della società, come tassisti, insegnati o pensionati, che sono scesi in piazza per difendere esclusivamente il proprio interesse immediato, senza che le proprie rivendicazioni avessero una ricaduta sulla società in senso più ampio. Ad esempio, la protesta messa in scena recentemente dai tassisti, partita dall’omicidio di un collega, e iniziata con la richiesta generale di maggiore sicurezza, è sfociata nella pretesa di poter guidare senza cinture di sicurezza. Questo fenomeno, in Bulgaria, è nuovo, soprattutto se si fa riferimento al tipo di lotta politica degli anni ’90, imperniato su grandi visioni generali, su interessi collettivi. Il processo di avvicinamento all’Ue sembra però essere stato l’ultimo tema interpretato come "interesse nazionale", e oggi la società sembra smembrarsi in sezioni che, più che una rappresentanza politica, ne cercano una corporativa.

Al tempo stesso la politica, che dovrebbe fornire visioni generali sugli interessi collettivi, sembra incapace di interpretare questo ruolo…

La classe politica bulgara soffre, innanzitutto, di una cronica mancanza di legittimità. Gli uomini oggi al potere, provenienti dai più diversi settori della società, si sono arrampicati sulla scala sociale con velocità vertiginosa, accumulando spesso al contempo grandi fortune, fattori che hanno alimentato dubbi sulla reale natura del loro potere. Questa mancanza di legittimità è stata sottolineata ripetutamente dai risultati delle varie elezioni tenute dall’inizio degli anni ’90, che hanno regolarmente punito chi si trovava al governo. Questo spiega perché la classe politica bulgara, per cercare di mantenere il potere, sia scivolata sempre più lontano dalla politica, raggiungendo, secondo me, il massimo grado di populismo in tutta l’Europa orientale.

Lei sostiene che, il carattere "apolitico" della società bulgara sia stato, in gran parte, ereditato dal regime comunista…

Il regime di Zhivkov si è caratterizzato innanzitutto come un regime moderato. A differenza di altri regimi comunisti, quello bulgaro ha goduto di un forte consenso interno, rafforzato anche dalla vicinanza culturale alla Russia, e non ha avuto bisogno di pesanti misure repressive. Questo ha fatto sì che mancasse quella serie di lotte ideologiche e quindi politiche, ad esempio tra regime e dissidenti, che ha caratterizzato lunghi decenni in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, ad esempio. Zhivkov ha sempre tenuto al consenso, che ha mantenuto concedendo agli scontenti beni e privilegi piccoli e grandi. Questo sistema, durato decenni, ha fatto maturare nei bulgari l’idea che la politica non è il luogo di confronto tra posizioni diverse, ma una fonte che distribuisce risorse.

Al momento, però, si ha la sensazione che la classe politica e i cittadini, in Bulgaria, non sappiano comunicare tra loro…

Anche qui bisogna fare un passo indietro. Il regime comunista era costruito come una grande corporazione, e la comunicazione tra i vari livelli, almeno in Bulgaria, un paese piccolo in cui tutti si conoscono, era assicurata soprattutto da un sistema di relazioni personali, fatte di parenti, amici, compaesani. Con il crollo del regime, e soprattutto con l’inizio delle privatizzazioni, questo sistema è entrato in tilt. Voglio dire che i sistemi tradizionali di comunicazione interpersonale, nel momento in cui al segretario di partito si è sostituito il padrone, hanno smesso di funzionare. E’ stato uno shock profondo, dal quale è nato un grande paradosso: al tempo del regime, per definizione un sistema repressivo, l’"uomo della strada" si sentiva più vicino al potere di quanto non succede oggi con la democrazia.

Esistono segni di una nuova forma di comunicazione tra i cittadini e la classe dirigente?

Credo di sì. Seppur lentamente sta nascendo una vera società civile. Da un paio di anni ad esempio, si è fatto sempre più vivo il movimento ecologista, formato soprattutto da giovani, e portatore di istanze di interesse generale. Questo movimento è profondamente diverso da quello, fittizio e lontano dalla gente, alimentato negli anni ’90, soprattutto da Ong finanziate dall’estero che avevano creato un’ "aristocrazia della società civile", che ha fatto non pochi danni sul lungo periodo. Oggi c’è un maggior grado di maturità, e i giovani sembrano più consapevoli del fatto che la cittadinanza significa avere diritti. Anche il business sta svolgendo un ruolo positivo, e se negli anni ’90 era o veniva percepito come sostanzialmente criminale, oggi inizia a mostrare, seppur timidamente, anche aspetti di responsabilità sociale.

Ma cosa deve cambiare perché si torni a parlare di politica, di interessi comuni?

Bisogna fare in modo che il processo di crescita della società civile si consolidi. E qui veniamo ad un altro paradosso: durante il regime comunista esistevano dei "rituali della cittadinanza", come gli incontri del "komsomol" e dei sindacati che, per quanto ingessati, erano un esercizio di espressione pubblica di sé. Oggi tali occasioni non esistono più, e non sono state rimpiazzate da qualcosa di nuovo. Un passo importante sarebbe la realizzazione, negli spazi urbani, di luoghi deputati all’incontro e al confronto pubblico. Questi luoghi, già pochi sotto il regime, che di una vera discussione ha sempre avuto timore, sono diminuiti ancora di più col fiorire di interessi privati indiscriminati. Basti dire che, negli ultimi anni, qui a Sofia, non c’è stata la costruzione o la progettazione di alcuno spazio pubblico significativo.

Nel frattempo però, lei sostiene, la politica scompare, e viene rimpiazzata da quelle che ha definito "fantasmagorie nazionali", cioè segni veri o presunti di identità…

Innanzitutto bisogna dire che questo è un fenomeno generale e non esclusivo della Bulgaria. Basti pensare alla proposta del candidato alla presidenza francese Sarkozy di creare un "ministero dell’Identità e dell’Integrazione", proposta che fa riflettere. In generale direi che, in una società che perde le proprie sicurezze sociali, i cittadini le rimpiazzano o le vedono rimpiazzate da riformulazioni del concetto di identità. In Europa orientale il processo è evidente, e se in Polonia ha assunto carattere principalmente religioso, in paesi come Ungheria e Bulgaria si presenta soprattutto sul piano dell’ identità nazionale o nazionalista. A livello generale sembra esserci un legame molto forte tra politiche liberiste e voglia di identità.

A breve si terranno le prime elezioni europee in Bulgaria. La classe dirigente di Sofia è sembrata particolarmente passiva nel partecipare e contribuire col proprio punto di vista alla discussione sui grandi temi generali che sta scuotendo l’Unione Europea in questo periodo. Crede che le cose cambieranno dopo il voto?

E’ interessante notare che tra i politici bulgari non esiste una chiara percezione di interesse nazionale nell’Unione Europea. L’unico tema affrontato, peraltro più simbolico che sostanziale, riguarda la chiusura della centrale nucleare di Kozloduy. Questo dipende, innanzitutto, semplicemente dalla loro impreparazione. Basti pensare che la maggior parte dei politici non parla lingue straniere e in genere segue distrattamente gli avvenimenti oltre confine. Ma anche le condizioni in cui la Bulgaria è entrata in Ue, dalla porta di servizio e come il paese più sconosciuto e povero, forse il più marginale nell’intero processo di allargamento, hanno consigliato alla nostra classe politica di tenere un basso profilo, senza rischiare di entrare in conflitto con membri o movimenti politici dell’Unione. Credo che ora, dopo il nostro ingresso ufficiale, la classe dirigente bulgara si senta più legittimata ad esprimere il proprio parere. Su alcuni temi, come l’eliminazione delle limitazioni al mercato del lavoro o all’esportazione di prodotti alimentari bulgari verso altri paesi membri, penso che si batterà con una certa decisione.

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