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Sono 139 i deputati in carica dal 1989 ad aver collaborato, con diverse mansioni e responsabilità, con i servizi segreti del regime comunista, la Darzhavna Sigurnost. Non si placa in Bulgaria il dibattito su un passato che continua a tornare periodicamente di stringente attualità

12/09/2007, Tanya Mangalakova - Sofia

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Sono 139 i deputati in carica dal 1989 ad aver collaborato, con diverse mansioni e responsabilità, coi servizi segreti del regime comunista, la Darzhavna Sigurnost. Lo ha reso noto il 4 settembre la Commissione sui Dossier, dopo aver controllato il passato dei membri delle sei legislature seguite al crollo del regime. La lista degli ex collaboratori dei servizi di sicurezza diventa sempre più ampia, e comprende anche l’attuale presidente in carica Georgi Parvanov, il cui passato rapporto con la Darzhavna Sigurnost è stato reso noto un mese fa, così come l’ex premier socialista Zhan Videnov, Ahmed Dogan leader del Movimento per le Libertà e i Diritti (DPS), partito di governo che rappresenta la minoranza turca, ma anche il vescovo Galaktion, il popolare attore Todor Kolev, il violinista Dimo Dimov e la diplomatica di lungo corso Elena Kircheva.

Sono 19 gli "sbirri" nell’attuale parlamento

Nell’attuale parlamento sono 19 gli ex "chengeta", o sbirri, come nel linguaggio gergale vengono definiti in Bulgaria i collaboratori dei servizi segreti di regime. "Continuano a saltare fuori ex agenti tra le fila del parlamento", ha commentato il quotidiano Dnevnik, che ha poi sottolineato come un deputato su tre del movimento nazionalista Ataka, che nelle elezioni di due anni fa riuscì a conquistare 21 seggi, abbia collaborato a vario titolo coi servizi. Nella lista figura anche Petar Beron, che al momento è vice presidente del parlamento, e il cui dossier, dove figura con lo pseudonimo di "Bonchev" era stato portato alla luce nei primi anni della democrazia. Sei sono i parlamentari di sinistra coinvolti, tra i quali Evgeni Kirilov, poi eletto eurodeputato. Segue il gruppo del DPS, all’interno del quale già da anni si fanno i nomi del leader Ahmed Dogan, e di parte del gruppo dirigente: Yunal Lyufti, Lyufti Mestan, Ramadan Atalay. Si tratta senza dubbio di un grave colpo per il partito, i cui dirigenti rivendicano di aver lottato contro il processo di nazionalizzazione, con tanto di cambiamento forzato dei nomi, portato avanti dal regime comunista nei confronti della comunità turca, e di cui oggi si rivelano però collaboratori. Anche il movimento nazionalista VMRO è guidato da "chengeta" come il suo leader Krasimir Karakachanov e il deputato Boyko Vatev. Molti nomi dei politici coinvolti erano nell’aria da molto tempo. Tra le sorprese c’è il dossier che fa riferimento a Zhan Videnov, che ha guidato il governo nel periodo 1995-96, proprio quando il sistema bancario crollò causando super-inflazione nel paese, che permise tra l’altro a un circolo ristretto di nuovi milionari di restituire allo stato cifre enormemente inferiori a quelle prese in prestito. Videnov, noto ai servizi con lo pseudonimo "Dunav" era uno dei gestori di un appartamento utilizzato dalla Darzhavna Sigurnost per attività di spionaggio. Insieme a lui sono venuti alla luce i nomi di uno dei suoi vice, Rumen Gechev, e di uno dei vicepremier del governo guidato da Lyuben Berov, rimasto alla storia per la frase "Che razza di paese, la Bulgaria…Se qui anche uno come me è stato vice primo ministro!". Anche l’ex giudice costituzionale Georgi Markov è stato collegato ai servizi, nonostante le sue smentite nel corso degli anni, così come Brigadir Asparuhov, candidato al comune di Sofia alle prossime elezioni amministrative dal il Partito Socialista Bulgaro (BSP).

Molti dei politici coinvolti hanno smentito ogni rapporto con la Darzhavna Sigurnost, c’è anche chi, però, ha amesso la collaborazione, aggiungendo di sentirsi orgogliosi di quanto fatto. L’attuale premier socialista Sergey Stanishev ha sminuito l’importanza dell’emersione dei nomi di chi ha collaborato con i servizi comunisti, sostenendo che questa ha valore soprattutto di memoria storica, e che nessuno, se non nei circoli della politica, gli dà molta importanza. Sempre secondo Stanishev, aver portato alla luce i nomi avrà l’effetto positivo di disinnescare ogni tentativo di ricatto e manipolazione.

Ci vuole la "lustracija"

Ivan Kostov, leader dei Democratici per una Forte Bulgaria (DSB), partito di opposizione di destra, ha sottolineato la presenza di molti ex agenti in partiti come DSP, Ataka e VMRO, movimenti politici in grado di controllare i rapporti tra le varie componenti etniche in Bulgaria. Secondo Kostov i "chengeta" si trovano nei punti nevralgici in grado di controllare tensioni e conflitti interetnici, e di manipolare così la società. "Sono tipiche operazioni da Darzhavna Sigurnost" ha dichiarato Kostov, chiedendo poi che si proceda a una qualche forma di epurazione o "lustracija". Secondo Asparuh Panov, capo della prima delegazione all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, non è ancora arrivato il momento di chiudere il capitolo sui dossier dei servizi comunisti, ma è anzi adesso che bisognerebbe arrivare a risultati concreti sul tema. Panov è però scettico sulla possibilità che vengano votate leggi per l’epurazione, aggiungendo che è inaccettabile per la Bulgaria di oggi, membro di Ue e Nato, vedere ancora personaggi dei servizi di sicurezza comunisti definire la propria linea politica. Ivan Kolchakov, deputato dell’Unione delle Forze Democratiche (SDS) e candidato a sindaco di Pazardzhik, sostiene che la rete dei vecchi servizi ha impedito il normale sviluppo del processo democratico nel paese. Secondo Kolchakov "sono riusciti, attraverso i meccanismi della Darzhavna Sigurnost, a controllare i processi dello spazio democratico, e così facendo a monopolizzare il potere, e il loro marchio d’infamia durerà ancora decenni". Molti osservatori hanno commentato che la Bulgaria è l’unico paese post-comunista che affronta il problema dei dossier a ben 18 anni dalla fine del regime, e che il dibattito pubblico su questo argomento arriva con troppo ritardo. "L’apertura degli archivi arriva troppo tardi. In tutti questi anni molte persone hanno avuto accesso ai dossier, e rimarrà sempre il sospetto che il processo sia stato manipolato", ha detto Emil Koshlukov, segretario del partito "Novoto Vreme" e uno dei leader del movimento giovanile nei primi anni della transizione.

Teorie cospirative

Ma esistono davvero "agenti buoni" e "agenti cattivi"? Il dilemma è morale. La maggioranza degli agenti della Darzhavna Sigurnost sono convinti di aver lavorato per la sicurezza nazionale, e ne fanno un punto d’onore. Sulle pagine del quotidiano Trud, lo stesso Koshlukov ironizza su questo discusso punto di vista, "Hanno forse scoperto che Reagan o la Thatcher avevano organizzato attentati in Bulgaria? Stupidaggini! Hanno represso l’emigrazione politica e addestrato t[]isti palestinesi. Nessuno degli agenti è pulito. Cosa ha fatto la Darzhavna Sigurnost per noi? Era a guardia di un lager, recintato da filo spinato, chiamato Bulgaria". Intanto la commissione per i dossier continua il proprio lavoro, e la lista degli ex agenti si allunga. Adesso è atteso il controllo dei candidati a sindaco nelle prossime amministrative del 28 ottobre, dei membri del governo e di altre figure pubbliche di primo piano. In Bulgaria non esiste una legge che costringa chi ha lavorato per i servizi segreti comunisti ad abbandonare la propria carica politica o amministrativa. Anche se negli anni è venuto alla luce il passato compromettente di molti politici e imprenditori, le conseguenze sono state solo morali. Di tutti i paesi ex alleati del Cremlino, la Bulgaria è stata anche l’ultimo a creare una commissione ad hoc che si occupasse della materia. Tutto questo ha portato molti bulgari a credere in una grande teoria cospirativa, secondo la quale il comunismo è crollato secondo un copione preparato dai servizi segreti, e che agenti della Darzhavna Sigurnost erano infiltrati tra i dissidenti e tra l’opposizione, per far si che, attraverso una processo morbido e senza spargimento di sangue, l’élite politica comunista potesse trasformarsi in un’oligarchia economica.

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