Col cuore e con la testa

Membro della Nato e nell’Ue, la Bulgaria intrattiene rapporti privilegiati con Mosca, rafforzati da eredità culturale e storica. Per il politologo Vlado Shopov, però, più che di "cavallo di Troia" russo in Ue, Sofia rischia diventare alleato di Mosca con la propria inattività sul piano regionale

26/03/2008, Francesco Martino - Sofia

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Putin e Parvanov

Vlado Shopov, è politologo ed analista per l’agenzia di ricerca "Alpha Research". Diplomato alla "London School of Economics and Political Science" è professore a contratto di Politologia all’università "Sv.Kliment Ohridski" di Sofia. E’ uno dei più autorevoli analisti ospitati sulle pagine del quotidiano "Dnevnik".

Ad inizio marzo, in Russia, abbiamo assistito al passaggio di poteri tra Putin e Medvedev attraverso una tornata elettorale dai risultati scontati. Che tipo di interesse c’è stato in Bulgaria verso queste elezioni?

Rispetto alle presidenziali russe, ci sono stati in Bulgaria diversi tipi di interesse, anche se parlando del livello più generale, quello legato all’opinione pubblica, non direi che ci sia stata un’attenzione particolare. Politica ed economia hanno però seguito molto da vicino quanto è accaduto a Mosca. In Bulgaria, alcuni settori dell’élite economica sono strettamente legati al capitale russo. In questi ambienti, l’interesse è stato volto a capire quale sia il prossimo stadio di sviluppo del modello politico russo, e se e come verrà ridistribuito il potere decisionale all’interno delle lobby interne al Cremlino. A livello politico, poi, a seguire con interesse il passaggio guidato tra Putin e Medvedev da una parte ci sono state le forze politiche che mostrano affinità verso quel modello politico, innanzitutto il partito socialista e il presidente Parvanov, dall’altra i settori, raccolti intorno all’attuale opposizione, preoccupati non tanto dal tradizionale carattere autoritario del regime russo, ma dalla possibilità che elementi di questo regime possano essere applicati in Bulgaria. Ultimamente ha preso forza la teoria di una possibile "putinizzazione" del paese. A questo riguardo, però, rimango piuttosto scettico.

Quali sono le reali possibilità di introdurre oggi un sistema simile a quello russo in una Bulgaria membro della Nato e dell’Unione Europea?

Questo rischio non è del tutto assente, ma per analizzarlo bisogna prima analizzare la sua natura. Di solito per farlo si individuano alcune caratteristiche salienti di un caso modello, in questo caso la Russia di Putin, per poi vedere quanti di questi caratteri sono presenti in un contesto diverso. Credo che in questo caso questo modo di procedere, peraltro sensato, ci porti però su una strada sbagliata. E’ evidente che una mera replica del "modello Putin" a Sofia sia impossibile. Non si può escludere però che dal modello russo possano essere prese in prestito strategie che, utilizzate nell’ambiente politico e culturale bulgaro, possano introdurre seri ostacoli allo sviluppo della Bulgaria, ed al suo ruolo di membro dell’Ue e della Nato.

Quali sono più in concreto i settori in cui questo rischio è più forte?

Si è molto parlato del settore energetico, soprattutto dopo la recente firma dell’accordo sul progetto "South Stream". In questo caso, il fattore preso a prestito dalla Russia, è il modello di sviluppo monopolistico, che non permette la nascita di un mercato aperto a più concorrenti. In questo caso, i sostenitori di questo approccio utilizzano a proprio favore i numerosi vuoti presenti nella legislazione europea, e la mancanza di una strategia complessiva dell’Ue in questo settore strategico. Non a caso, uno degli argomenti principali utilizzati dall’attuale governo socialista per sostenere l’accordo su "South Stream" è stata la mancanza di intese sul progetto alternativo, il "Nabucco", considerato prioritario da Bruxelles. Il convergere di interessi russi e della cosiddetta "lobby energetica" in Bulgaria, che fa capo a politici come l’ex ministro dell’Energia Rumen Ovcharov, è evidente anche in passaggi politici comunemente sottovalutati. Di recente il governo bulgaro ha rigettato la proposta europea di quote energetiche da fonti rinnovabili da raggiungere entro qualche anno. Il motivo ufficiale è la difficoltà di cambiare in tempi rapidi il sistema di produzione e distribuzione, quello reale, e la volontà di fermare la differenziazione del mercato. Anche perché, per sviluppare fonti alternative, capitali e soprattutto know-how non arriverebbero certo dalla Russia.

Ma la Bulgaria ha reali alternative per quanto riguarda il passaggio di risorse energetiche sul suo territorio?

Nessuno è contro la realizzazione di infrastrutture energetiche. La Bulgaria ha però alternative riguardo ai termini degli accordi che sottoscrive, e al fatto che la sua politica energetica è totalmente sbilanciata nei confronti della Russia, tanto da renderla di fatto del tutto dipendente dalle forniture di Mosca.

Il presidente Parvanov ha sostenuto più volte che la Bulgaria può giocare attivamente il ruolo di ponte tra l’Unione Europea e la Russia. E’ questa una prospettiva reale?

Credo che si tratti quasi esclusivamente di una pretesa retorica. Anche perché per giocare il ruolo di "ponte", c’è bisogno che le varie parti in causa ti riconoscano come tale, e non mi sembra che ci siano attualmente elementi che portino in questa direzione. Tra l’altro la Bulgaria si è proposta come intermediario privilegiato anche verso altre situazioni delicate, come ad esempio quella del Kosovo. Per anni la diplomazia bulgara ha tentato di presentarsi agli occhi dell’Ue come portatrice di una speciale conoscenza dell’area e della sensibilità dei popoli vicini. Quando però si è arrivati al momento decisivo, si è limitata a scivolare timidamente nell’ombra.

Proprio con la questione kosovara la Russia sembra voler riaffermare il suo ruolo di grande potenza nell’area. Alcuni media hanno parlato della Bulgaria come possibile "cavallo di Troia" di Mosca all’interno dell’Ue. Può diventarlo davvero?

Sinceramente non sono sicuro che oggi la Bulgaria abbia le capacità diplomatiche per fare il "doppio gioco", anche se lo volesse. Escluderei anche che Sofia possa divenire un promotore attivo degli interessi russi a Bruxelles. Il rischio, piuttosto, è un altro, e cioè che la Bulgaria si trasformi in un fattore problematico per l’Ue attraverso la sua passività e ritrosia ad impegnarsi sul piano regionale a contribuire alla politica comune europea. Questo atteggiamento è già percepibile: durante la recente visita di Putin, la controparte bulgara non gli ha posto nemmeno una delle questioni dell’ordine del giorno comune europeo nei confronti di Mosca.

Quanto pesa ancora l’eredità storica del ruolo della Russia quale liberatore della Bulgaria, con la guerra russo-turca del 1878 che portò alla rinascita della statualità bulgara dopo cinque secoli di dominazione ottomana, sugli attuali rapporti tra i due stati?

E’ un’eredità che continua ad esercitare influenza, ma non tanto diretta, quanto più contestuale. Molti bulgari continuano ad avere un legame emotivo più forte verso la Russia che verso il resto d’Europa. Per usare una metafora, i bulgari usano il cuore per ascoltare i messaggi di Mosca, e la testa per quelli di Bruxelles. Questa cornice culturale rende possibile la promozione di determinati interessi. Il fenomeno nuovo, negli ultimi anni, è che col rinascere della sensazione di potenza russa, è cresciuta proporzionalmente la sicurezza e l’autostima di chi in Bulgaria si sente vicino ai modelli di sviluppo che vengono dalla Russia.

Esiste ancora in Bulgaria una divisione della società secondo la linea "russofili"-"russofobi", che tante volte è emersa nella storia moderna del paese?

Sul piano politico e culturale questa divisione continua ad esistere, ma non si attiva in modo costante. Direi, inoltre, che pur essendo una linea di frattura importante, non è quella principale nella definizione dei gruppi socio-politici che si contrappongono oggi in Bulgaria. La divisione "russofili"-"russofobi" ha assunto oggi un carattere più razionale che strettamente emotivo. Chi guarda con sospetto alla Russia lo fa soprattutto perché non ritiene che lì vadano cercati i modelli di sviluppo per il paese. Rimane anche una parte di "russofobi" veri e propri, ma è limitata ad elementi dell’élite urbana che vive nelle città più grandi del paese. Ecco perché, se messi a confronto dal punto di vista numerico, i "russofili" continuano a rappresentare in Bulgaria una maggioranza preponderante.

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