Volano i Letu Štuke

Da ragazzi suonavano insieme, poi la guerra li ha divisi. Ritrovatisi, Dino, Šaran e Đani Pervan, frontman e batterista dei Letu Štuke, con il loro punk malinconico riscuotono successo a Sarajevo così come a Zagabria e a Belgrado

18/09/2008, Redazione -

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Di Francesca Rolandi, Monika Piekarz e Andrea (Paco) Mariani

Qual è la storia della vostra band?

Dino: Noi due ci conosciamo da quando eravamo bambini e abbiamo iniziato a suonare insieme 5 anni prima dell’inizio della guerra.

Đani: Quando eravamo dei ragazzini suonavamo in una band post-punk e il nostro sogno era registrare un album. Poi siamo partiti per il servizio militare e, una volta tornati, Dino è ripartito per alcuni mesi; non siamo riusciti a riunirci in tempo perché è scoppiata la guerra e ci è venuta letteralmente a mancare la terra da sotto i piedi. Io ho vissuto in Francia, Dino a Zagabria, e gli altri membri del gruppo in altri paesi… Dopo anni ci siamo ritrovati, e gli unici della band ad essere rimasti in campo musicale eravamo Dino ed io, lui come autore di testi per altri artisti, io come musicista con altre band (tra cui Darko Rundek & Cargo Orkestar) e produttore. Abbiamo capito che riprovarci sarebbe stato fantastico. Dino aveva un mucchio di canzoni che non avrebbero mai visto la luce se non avessimo intrapreso questo progetto, e dunque abbiamo iniziato.

Dino: Abbiamo ripreso a suonare insieme nel 2005. Abbiamo preparato il nostro primo album, prodotto dall’etichetta croata Menart, che è stato ben accolto sia da parte del pubblico che da parte della critica in tutto il territorio dell’ex Jugoslavia. All’inizio di quest’anno, in aprile, è uscito il nostro secondo album che si chiama "Proteini i ugljikohidrati"proteine e carboidrati, ndt.. Đani è batterista e produttore, io sono cantante e autore, e nella band ci sono altri 3 membri.

Come descrivereste la vostra musica?

Dino: Non so. Un giornalista sarajevese, caporedattore di "Slobodna Bosna", l’ha definita "punk malinconico", che forse potrebbe calzare… Ma io credo che esista solo buona e cattiva musica. Non so davvero dare definizioni.

Che influenze hanno ispirato la vostra musica?

Dino: Le prime, mie e di Đani, sono state il rock anni ’70 e il punk. Tutto ciò che ha portato nuove sonorità e ha abbattuto delle barriere.

Avete ricevuto delle influenze anche dal rock jugoslavo?

Dino: Certo, Azra, Haustor…

Đani: Disciplina Kičme, Šarlo Akrobata, Ekatarina Velika….

Dino: E la scena sarajevese: New Primitives, Zabranjeno Pušenje, e il primo Elvis Kurtović.

Come vi sembra l’attuale scena musicale a Sarajevo?

Dino: Penso che da un punto di vista culturale questa scena non sia mai stata migliore. Nonostante la situazione oggi sia difficile, essa è molto forte e creativa. Negli anni ottanta la Jugoslavia era un paese che dava delle opportunità in campo musicale, quel sistema appoggiava una "scena urbana" perché gli conveniva. Oggi invece vivere di musica rock è un’impresa eroica. Per cui, complimenti a chiunque faccia qualcosa.

Cosa pensate dell’attuale situazione politico-sociale? In molte canzoni, come "Minimalizam", descrivete molto bene queste problematiche….

Dino: Mi sembra sintomatico che la politica contamini tutto, insistendo sulla nazionalizzazione: ciò è indice del fatto che molti elementi nella società sono fuori posto. Questa canzone parla della situazione politica e sociale non solo nella regione, ma in tutto il mondo. C’è sempre una causa per ogni effetto. Ciò significa che l’attuale situazione in Bosnia non è tale solo per dei fattori intrinseci, perché noi "siamo fatti così", ma anche perché degli altri elementi in Europa e nel resto del mondo la condizionano. EDITARE A MANO IL CONTENUTO HTML

Đani: Le divisioni e il settarismo provocano sempre la paura, che diventa il principio di una certa politica. Servono dei nemici. E questo non accade solo in Bosnia.

Dino: Io penso che i cosiddetti "artisti" debbano in qualche modo descrivere il luogo e il tempo in cui vivono e rivolgere la loro attenzione alle eventuali ingiustizie della società. Per quanto possiamo, noi cerchiamo di farlo. Non siamo gli unici, forse noi abbiamo un nostro modo specifico.

Come artisti, qual è la vostra relazione con la Bosnia e con la città di Sarajevo?

Dino: Siamo nati e cresciuti qui e io penso che, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, Sarajevo sia un posto dove ancora si riconosce il vero valore delle persone e dove si conta più sui valori morali che su quelli materiali. Anche se, con l’avvento del capitalismo e nel tentativo di entrare nell’Unione Europa, sono arrivati nuovi valori, molto più consumistici.

Prima avete menzionato l’espressione "scena urbana". Che cosa significa?

Đani: Quel tipo di musica che è "cittadina" per diritto di nascita.

Dino: Anche se forse non è l’espressione giusta….

Qui a Sarajevo si sente molto spesso questa espressione, "urbana kultura"…..

Dino: Oggi quest’espressione è stata "profanata" e si è trasformata nel suo opposto. Dopo la guerra, in città è approdata una grossa fetta di popolazione dalle campagne. Da allora si è iniziato ad utilizzare spesso questo aggettivo, "urbano", e in special modo coloro che venivano da fuori ne hanno abusato, così che alla fine è diventata paradossalmente un’espressione tipica dei provinciali, che hanno bisogno di sottolineare in ogni modo un legame con la città. Chi invece proviene dalla città non sente la necessità di ripeterlo ad ogni momento.

Secondo voi queste persone hanno in qualche modo cambiato lo spirito della città?

Dino: Sì, e per questo motivo durante e dopo la guerra sono arrivati il turbofolk e il kitsch.

Quindi il turbofolk è legato alla campagna?

Đani: In un certo senso sì. Un divertimento provinciale presentato in un modo moderno.

In una delle vostre canzoni, "Pero Papacoder", si menziona un "selo s trolejbusom", " villaggio con il filobus". Si tratta di Sarajevo?

Dino: Sì, anche se non è una mia espressione; ricordo che in un’intervista qualcuno ha detto che Sarajevo è diventato un "villaggio con il filobus". Quella canzone, che parla di profittatori di guerra, vuole essere una parodia, ma porta in sé un fondo di verità.

Sia nella grafica del vostro cd che nei vostri spot, ci sono dei simboli che ricordano l’iconografia comunista, come per esempio la stella….

Đani: È opera del gruppo di designer – "Ideologija" – che si è occupato della grafica e di alcuni video, e che utilizza questi simboli per creare dei contrasti con la situazione odierna. Per noi il logo, la stella, è una citazione di quella dei Clash, e ci rimanda a un’idea di "kombat rock" , rock militante, vicina alla nostra poetica.

Che cosa significa Letu Štuke?

Đani: Štuke erano gli aerei bombardieri tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

Dino: È venuto fuori casualmente, non ci abbiamo riflettuto. Si riferisce a una citazione tratta da un film del periodo socialista sulla resistenza, dove c’è una canzone che dice: "Letu Štuke / letu avioni" ("Volano gli Stuke / volano gli aerei").

Đani: Nel film, "Sutjeska", degli zingari cantano "Volano gli Stuke / volano gli aerei / per distruggere le case degli zingari"; l’espressione "Letu Štuke" è grammaticalmente scorretta, ma è diventata popolare in questa forma perché era una sorta di leitmotiv del film. Allora era conosciuta da tutti, ora chi se la ricorda?

Prima avete menzionato il fatto che avete avuto successo nella regione. Come vi sembrano i rapporti tra le repubbliche della ex Jugoslavia da un punto di vista musicale?

DinoLe canzoni sono abbastanza dirette. Noi raccontiamo una situazione che è comune a tutta la regione e in cui i diversi pubblici possono riconoscersi, a Zagabria, come a Belgrado. Fino ad ora il pubblico ha reagito bene e posso dire che siamo molto soddisfatti di questo aspetto.

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