Un’Europa più forte a Sarajevo

La crisi politica in Bosnia Erzegovina e il percorso europeo del Paese. I tentativi di riforma del quadro costituzionale, il delicato scenario post elettorale. Nostra intervista a Paola Pampaloni, responsabile dell’Unità per la Bosnia Erzegovina della Direzione Allargamento della Commissione Europea

20/04/2011, Andrea Oskari Rossini - Dijon

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Sarajevo (Foto Scoobay , Flickr)

Si è tenuto dal 10 al 12 aprile scorsi a Dijon il workshop “Allargamento dell’UE e state-building nei Balcani: un’analisi comparata. Quale futuro per Bosnia Erzegovina e Kosovo?”, organizzato dall’associazione francese Bourgogne Balkans Express. L’incontro ha riunito nella cittadina francese rappresentanti delle istituzioni europee, studenti, esperti e ricercatori appartenenti ad alcuni dei più importanti media e centri studi che in Europa lavorano sul tema dei Balcani e dell’allargamento. I risultati della due giorni verranno raccolti in un documento che sarà presentato alla Commissione Europea. L’edizione di quest’anno, cui ha partecipato anche Osservatorio Balcani e Caucaso, si è focalizzata in particolare sul ruolo di Bruxelles in Bosnia Erzegovina e Kosovo. A margine degli incontri abbiamo incontrato Paola Pampaloni, che dirige l’Unità per la Bosnia Erzegovina della Direzione Allargamento della Commissione Europea.

In questi giorni si è discusso molto della multiformità dell’intervento internazionale in Bosnia Erzegovina. Molti ritengono che Bruxelles dovrebbe assumere un ruolo guida a livello internazionale nel Paese. L’Unione Europea è pronta?

L’Unione non solo è pronta, ma ha già assunto un ruolo determinante in Bosnia Erzegovina dopo la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione nel 2008. In questo momento l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) continua a occuparsi della supervisione sull’applicazione degli Accordi di Dayton, mentre la Commissione si occupa soprattutto della parte riguardante il percorso di integrazione europea. Le conclusioni del Consiglio dei ministri degli Affari Esteri di marzo hanno indicato qual è la strategia futura che l’Unione intende seguire: rafforzare la nostra presenza attraverso un Capo delegazione a Sarajevo che assuma anche il ruolo di Rappresentante Speciale dell’Unione Europea.

Quando verrà nominato il nuovo Capo delegazione?

La procedura di selezione è in corso, si concluderà entro qualche settimana. Speriamo che per l’estate, forse prima, avremo la possibilità di creare [a Sarajevo] un ufficio dell’Unione Europea rafforzato, con ulteriori compiti rispetto a quelli che abbiamo avuto sino a questo momento.

Quando l’attuale Alto Rappresentante perderà il ruolo di Rappresentante Speciale dell’Unione Europea, le funzioni dell’OHR risulteranno ridimensionate?

La nostra idea è che si dovrà assicurare una chiara divisione dei ruoli. Il nostro ufficio rafforzato a Sarajevo dovrà occuparsi di tutti quei settori che sono considerati essenziali per l’integrazione europea. L’idea è che ci sarà una fase di transizione e che l’OHR lascerà questi settori sotto la guida e il monitoraggio dell’Unione Europea.

Il rafforzato ruolo dell’Unione a Sarajevo prevede il mantenimento di una qualche forma di poteri esecutivi sui politici locali, paragonabili ai cosiddetti “poteri di Bonn” dell’Alto Rappresentante?

Assolutamente no. L’Unione Europea non avrà poteri esecutivi, non avrà i poteri di Bonn. La politica dell’Unione, e in particolare la politica di allargamento che intendiamo seguire in Bosnia Erzegovina, si basa sulla completa titolarità [ownership] da parte del Paese sull’adozione di leggi e programmi. Quello che intendiamo fare è accompagnare questo processo, attraverso l’assistenza tecnica e il nostro programma finanziario. In particolare, attraverso l’aiuto di altre Direzioni Generali e degli esperti nei diversi settori dell’”acquis communautaire”, intendiamo sostenere i vari ministeri e le agenzie del Paese ad adottare una legislazione che sia in linea con quella europea.

L’Unione ha avuto un ruolo molto importante, insieme agli Stati Uniti, nei cosiddetti colloqui di Butmir, un tentativo di riforma del quadro costituzionale bosniaco fallito per l’opposizione dei politici locali. L’Unione sta considerando la possibilità di negoziare un secondo round di colloqui, una sorta di Dayton 2, per rilanciare un processo di riforma in Bosnia Erzegovina?

Da parte dell’Unione Europea non c’è alcuna intenzione di ripetere il processo di Butmir. Quei colloqui hanno prodotto un testo che rimane sul tavolo dei politici locali, un testo di Costituzione, che secondo noi e secondo gli americani poteva essere un ottimo compromesso per tutte le forze politiche. La nostra richiesta è quella di continuare il dialogo anche – ma non necessariamente – partendo da questo testo. Ma si tratta di un dialogo che a questo punto deve avere i connotati di un processo domestico, svolto attraverso le istituzioni locali. Noi continuiamo a dare i nostri consigli e a sostenere il processo dall’esterno, ma il ruolo è lasciato alle autorità locali.

Quali sono gli ostacoli maggiori che ancora separano la Bosnia Erzegovina dal presentare la propria candidatura a membro dell’UE?

Il Consiglio dei ministri degli Affari Esteri di marzo ha indicato chiaramente quali sono le condizioni perché la Bosnia Erzegovina presenti una candidatura che possa essere considerata credibile dall’UE. La Bosnia deve in primo luogo allinearsi alla sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Sejdić-Finci, modificando i necessari articoli della Costituzione. In secondo luogo adottare la legge sugli aiuti di Stato, uno degli obblighi contenuti nell’accordo di interim [firmato contestualmente all’Accordo di Associazione e Stabilizzazione, ndr], che è stato violato. Quando queste due condizioni saranno rispettate, la domanda della Bosnia potrà essere considerata credibile da parte degli Stati membri.

I cittadini bosniaci non hanno più bisogno del visto per recarsi nei Paesi dell’Unione. Possiamo ritenere questa misura come definitiva?

Per il momento non ci sono motivi di preoccupazione. È importante tuttavia che le autorità della Bosnia Erzegovina continuino a rispettare gli accordi che sono stati presi nel momento in cui la Commissione ha proposto la liberalizzazione dei visti. Ci sono molte azioni che devono essere eseguite nel corso del 2011. Comprendiamo che ci siano dei ritardi per il fatto che alcune istituzioni non sono ancora state costituite. Spetta in primo luogo alle autorità bosniache, tuttavia, fare in modo che la decisione presa sulla liberalizzazione dei visti non venga modificata. Il primo rapporto della Commissione agli Stati membri sull’andamento della cosiddetta road map sui visti sarà a giugno.

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