Sead e il documentario

La produzione documentaristica in Bosnia Erzegovina. Gli autori, i produttori e il mercato. Dalla centralità dei temi di memoria e identità ai tabù nazionali. Intervista a Sead Kreševljaković, autore di "Ti ricordi Sarajevo?"

18/01/2010, Andrea Oskari Rossini -

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(Foto inthesitymad, Flickr)

Quest’intervista è un estratto della ricerca "Indagine sul settore del documentario nel Mediterraneo" realizzata per la Direzione Marketing della RAI, che ringraziamo per la gentile concessione.

Quali sono le principali case di produzione per documentari in Bosnia Erzegovina?

Ce ne sono circa una decina, e nessuna di queste si occupa specificamente di documentari. Tra le più importanti vi sono Deblokada, Flash, Refresh, F.I.S.T., Pro.ba, Dokument, Uzfilm e XY Films. Queste sono tutte case di produzione indipendenti, con profili diversi.

Pro.ba ha iniziato come Centro per l’arte contemporanea, sostenuto dalla Fondazione Soros. All’interno avevano creato un dipartimento video che poi è diventato una casa di produzione. Ora fanno programmi che vendono alla televisione, non solo documentari, ma anche programmi musicali o per i giovani. Resistono da 10-15 anni, sia lavorando per altre aziende che producendo documentari artistici.

Refresh e Deblokada hanno un’esperienza internazionale. Refresh è molto famosa perché creata da Ademir Kenović, autore de "Il cerchio perfetto" e forse del film più caro nella storia del cinema europeo, "Secret Passage", girato a Venezia, che dal punto di vista commerciale è stato un disastro totale. Lui è un ottimo regista, ma soprattutto un ottimo produttore con buoni legami, ben introdotto anche nei ministeri bosniaci e tra i produttori internazionali. Adesso registi come Pjer Žalica e Srđan Vuletić lavorano per la sua casa, che produce lavori di ottima qualità (ad esempio "Benvenuto Mr. President", "Estate nella valle dorata") e anche documentari di tipo commerciale o destinati alla promozione del turismo in Bosnia Erzegovina. Deblokada di Jasmila Žbanić invece ha una struttura più piccola, ha prodotto 5 o 6 documentari prima di cominciare a fare film.

F.I.S.T. beneficia dei buoni rapporti con l’ex direttore della televisione federale FTV e ha quindi lavorato molto per il piccolo schermo, realizzando documentari basati su storie raccolte in Bosnia.

Flash fa dei prodotti televisivi veramente commerciali, quiz e commedie, non ricordo di aver visto dei documentari particolarmente originali prodotti da loro.

Qual è il pubblico di un documentario in Bosnia Erzegovina?

Di solito si cerca di vendere i documentari migliori alla televisione, ma raramente con successo. I documentari prodotti in Bosnia per lo più vengono proposti nei festival internazionali, distribuiti tramite DVD e finanziati con diversi programmi sostenuti da organizzazioni internazionali o locali. Parte delle spese sono coperte da donazioni. Utilizzerò come esempio Pro.ba, perché probabilmente loro sono quelli che hanno prodotto il maggior numero di documentari qui in Bosnia. Hanno fatto dei lavori veramente importanti, uno dei loro documentari ha vinto il Sarajevo Film Festival, premio speciale per i documentari, e sono sempre andati molto bene anche nei festival internazionali. Eppure, mi sembra importante sottolinearlo, non ho ancora visto nessuno dei loro lavori sulla televisione bosniaca. Probabilmente chiedono quello che sarebbe un prezzo normale per la messa in onda, diciamo tra i 5.000 e i 10.000 euro, ma nessuna delle nostre televisioni è disposta a pagare una cifra simile.

È difficile vendere un documentario a un canale televisivo?

La televisione nazionale ha un budget per acquistare produzioni bosniache, e quindi è possibile a volte vedere dei documentari prodotti nel Paese. La situazione dei canali indipendenti, tuttavia, è molto peggiore di quella delle televisioni pubbliche. I canali privati che vanno bene economicamente basano la propria programmazione su serie come "Il grande fratello". Hayat, ad esempio, una televisione che alla gente piace sin dai tempi della guerra, adesso è diventata una delle peggiori, con moltissimi sceneggiati di quel tipo. Non ho mai visto su Hayat dei documentari. Ci avevano chiesto il nostro "Do you remember Sarajevo", ma quel documentario lo avevamo già venduto alla televisione federale (FTV) per un prezzo piuttosto buono, 5.000 euro per due messe in onda. Diciamo che avevamo beneficiato di un momento particolare, la televisione pubblica voleva qualcosa di nuovo per il 6 aprile, nel decimo anniversario dell’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, e noi avevamo proposto quel lavoro. Quando abbiamo fatto "Searching for the land of freedom", il nostro documentario su San Marino, l’abbiamo venduto alla televisione nazionale bosniaca per 1.500 euro. Loro hanno fatto questa offerta e noi l’abbiamo accettata perché volevamo che andasse in onda, ma obiettivamente non credo sia una cifra ragionevole per un lavoro di 51 minuti. È un documentario girato interamente a San Marino, ovviamente è costato molto più di quello che siamo riusciti a ottenere dalla televisione bosniaca.

Può accadere che una televisione commissioni un documentario a un autore indipendente? Quali sono i principali canali di finanziamento per gli autori di documentari?

Devi essere davvero in ottimi rapporti con i direttori delle televisioni perché possa accadere una cosa del genere… Un’istituzione per noi molto importante è la Fondazione per la cinematografia: ogni anno il ministero federale per la Cultura ha a disposizione circa 500.000 euro per progetti e può assegnare fino a 100.000 euro per ogni film di finzione. Questo è un canale di finanziamento fondamentale.

I ministeri delle Entità sotto questo profilo sono più importanti di quelli nazionali?

Sì.

Per quanto riguarda invece i documentari al cinema?

La nostra esperienza con i cinema, sempre con "Do you remember Sarajevo", è stata molto buona. Noi di Videoarhiv, insieme a Deblokada, avevamo investito molto sulla promozione, stampando migliaia di poster. Abbiamo organizzato anche delle proiezioni nelle scuole con il ministero della Cultura e dell’Educazione. Alla fine si è verificato una specie di miracolo, perché sono venute a vederlo al cinema 25-30.000 persone solo qui a Sarajevo, al Meeting Point e al BKC (Centro culturale bosniaco). Ricordo che in quel periodo c’era nelle sale anche "Monsters & co.", il famoso film a cartoni animati, ma veniva molta più gente a vedere il nostro documentario. Credo che quello sia stato un evento eccezionale, legato all’argomento e al periodo in cui quel documentario è uscito. Il Meeting Point ci aveva offerto la sala per 3 giorni gratuitamente. Alla fine, quando hanno visto il successo, l’hanno tenuto per tutto il mese.

Con che tipo di accordo?

Il biglietto di ingresso era di un euro e mezzo, due, e il cinema si teneva il 30% degli incassi mi sembra, adesso non ricordo la percentuale esatta, in ogni caso era una percentuale sugli ingressi. Questa è la politica del Meeting Point, che è uno dei cinema più importanti di Sarajevo ed è collegato con il Sarajevo Film Festival. Solitamente offrono la sala gratis per produzioni nazionali almeno per un giorno o due. In generale però non ricordo il caso di nessun documentario che abbia resistito più di tre giorni nelle sale.

Qual è l’identikit del documentarista medio in Bosnia?

Sono sia uomini che donne, direi al 50%, prevalentemente persone nate nella seconda metà degli anni ’70. La maggior parte degli autori ha studiato all’Accademia per il cinema e il teatro negli anni della guerra, e fa sia produzioni teatrali che cinematografiche e documentari. Io e Nihad il fratello regista, ndr siamo forse gli unici della nuova generazione che non vengono dall’Accademia. C’è poi una generazione più vecchia, legata alla ex televisione bosniaca, a TV Sarajevo (di quando esisteva la Jugoslavia), ma quella in un certo senso non esiste più.

Esiste un carattere nazionale del documentario in BiH?

Tutto è basato su un approccio di tipo personale. C’è ovviamente una certa influenza dello spirito del luogo, dell’esperienza della guerra, di un ambiente multiculturale che fornisce una buona sorgente di ispirazione creativa. Poi c’è un altro aspetto da tenere in considerazione. Qui ad esempio i migliori montatori sono gli stessi che lavorano con tutti noi, i migliori operatori lo stesso, per cui c’è una certa influenza che deriva naturalmente dal fatto di appartenere ad una stessa comunità.

Quali sono le tematiche più affrontate dai documentaristi in BiH?

La maggior parte dei documentari è legata alla nostra storia recente e al periodo della guerra. Tutti i documentari prodotti da Pro.ba ad esempio sono nati all’interno di uno stesso concept, la ricerca dell’identità. In uno ad esempio, "Interrogation", le persone parlano dell’esperienza della guerra. In "Volkswagen Golf", che era la macchina più diffusa in Bosnia al tempo, si parla ancora di quel periodo. In un altro infine si parla della lingua, e del rapporto tra il serbo-croato e il bosniaco, tra il serbo e il croato… Sono tutte tematiche legate alla questione dell’identità, dei problemi che affrontiamo oggi, che sono legati direttamente o indirettamente all’esperienza della guerra.

Quanto è importante la questione della memoria, individuale e collettiva, nei documentari in BiH?

Credo che i registi più importanti concorderanno sul fatto che la memoria rappresenta la parte più importante del loro lavoro. L’esempio migliore è Jasmila Žbanić, che insiste nel parlare di determinati temi, nel mantenere all’interno dei propri lavori l’attenzione sulla memoria. Non ha fatto film sulla guerra, ma al centro del suo lavoro c’è la memoria, un elemento che direi ci accomuna tutti.

Quali sono le tematiche meno affrontate o che potrebbero essere meglio raccontate?

Tutte, se consideriamo quanti pochi documentari produciamo. Personalmente trovo assurdo che non ci sia nessuna produzione sulla storia bosniaca, e in particolare sul Medioevo bosniaco.

Ci sono questioni che non si possono affrontare, dei tabù?

La tematica omosessuale è forse tra le più sensibili, ma credo dipenda da come affronti il tema. Certamente se fai un documentario esplicitamente omosessuale non sarai accolto molto bene, basta vedere quello che è successo quest’anno al Queer Festival. In teoria potrebbe essere tabù fare un film blasfemo, ma non credo ci siano tematiche importanti che non possano essere affrontate e che la gente non sarebbe interessata a vedere, non credo ci siano limiti. Ad esempio, durante il comunismo, per noi era chiaro che era meglio non fare film che criticassero Tito o schernissero il partito comunista… Adesso in un certo senso è il contrario, meglio non toccare la religione, la comunità islamica ad esempio è molto forte. Se li attacchi probabilmente certi media ti ignoreranno, altri ti accoglieranno bene, ma se racconti una storia importante, e bene, non credo ci siano tabù. Ci sono però limiti determinati dalla storia recente. Ad esempio abbiamo cercato di far vedere nostri documentari a Belgrado e Banja Luka e non li hanno accettati, possono accadere dei casi del genere, sì.

Quanto è libero un autore di documentari in BiH?

Completamente libero. Anche quelli che lavorano con le televisioni nazionali sono del tutto liberi, nessuno ha mai avuto problemi. L’assegnazione dei fondi da parte della Commissione federale può essere soggetta a meccanismi di lobby, che però non hanno niente a che vedere con i temi trattati o con il modo di trattarli. E poi non ci sono nemmeno registi, come dire, di regime, perché qui non abbiamo un regime, non abbiamo neanche uno Stato, insomma non abbiamo niente.

Che influenza hanno i documentari nel dibattito pubblico in Bosnia?

La maggioranza delle persone è più influenzata dagli sceneggiati, però in generale direi che tutti i documentari hanno un qualche effetto almeno sul resto dei media. Dopo una proiezione c’è sempre una reazione sui giornali, in televisione o nelle radio. In parte credo derivi dal fatto che la Bosnia ha avuto un enorme successo con alcuni film a livello internazionale, e quindi tutto quello che viene prodotto e che passa nelle sale produce una qualche forma di dibattito. I media seguono molto le produzioni nazionali, spingono gli autori, seguono i festival, e questo credo sia un elemento molto importante. L’ultimo documentario che abbiamo realizzato ad esempio, "Accadde oggi", è stato discusso su tutte le televisioni, e questa è una cosa abbastanza comune.

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