Idroelettrico in Bosnia: tra moratoria e abusi da lockdown

Per difendere i fiumi dei Balcani è stato innanzitutto necessario rendere la gente consapevole che erano in pericolo. Un’intervista a Ulrich Eichelmann, fondatore della ong RiverWatch e tra i coordinatori della campagna Save the Blue Heart of Europe

22/07/2020, Marco Ranocchiari -

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Nel parco nazionale del fiume Una, Bosnia Erzegovina (Hans Debruyne/Shutterstock)

Cos’hanno di speciale i fiumi dei Balcani?

È presto detto. Sono intatti e scorrono liberi, in una misura che non si trova da nessun’altra parte in Europa. In rapporto alla lunghezza complessiva, hanno pochissime dighe, sbarramenti e canalizzazioni. È così che dovevano apparire anche in Europa occidentale, alcuni secoli fa.

Nell’ex-Jugoslavia e in Albania non sono stati distrutti per mancanza di soldi e adesso scopriamo che è stata una fortuna. Sono esattamente nella condizione che la Direttiva Acque dell’Unione europea si è data come obiettivo per le sue acque dolci: un buono stato ecologico per le sue acque in tutto il continente. Un’impresa, purtroppo, irrealizzabile.

Ma ci sono altre due ragioni che li rendono speciali. Una è l’incredibile biodiversità. Fermandosi ai pesci, ci sono 69 specie endemiche. È l’ultimo rifugio per pesci come Hucho hucho, il Salmone del Danubio.

Ma la terza ragione, fondamentale, è la stretta relazione sociale tra i fiumi e la popolazione. Molti nei Balcani vivono con i fiumi. Ne hanno bisogno per bere, per l’irrigazione, per abbeverare gli animali. Ma per molti i fiumi fanno parte della loro identità. Sono la loro "casa".

Io sono tedesco e vivo in Austria. Qui quando la gente pensa ai fiumi pensa alle catastrofi, alle alluvioni: altrimenti non fanno notizia. Abbiamo una relazione completamente disturbata. Siamo spaventati dai fiumi più di quanto li amiamo.

Una recente decisione del parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina ha bloccato la costruzione dei nuovi impianti idroelettrici, come chiesto da anni dagli ambientalisti. Perché proprio adesso?

È una buona domanda, ma è impossibile dare una risposta soddisfacente.

Per prima cosa, la Bosnia è un paese estremamente complicato, con la sua divisione in tre entità, la Federazione di Bosnia Erzegovina, la Republika Srpska e il distretto di Brčko. La moratoria è stata approvata dalla Federazione. Se è successo proprio ora dipende in gran parte dalle lotte ambientaliste delle ultime settimane. Ci sono stati blocchi stradali e proteste, anche in periodo di lockdown. Queste notizie hanno fatto scalpore nei media e tra la gente.

Non sarebbe stato possibile, però, se alle spalle non ci fosse stata una battaglia che dura da anni. In Bosnia è una questione sentita. La gente crede che il problema sia tutto nella corruzione. Le ultime proteste hanno fatto breccia in un contesto in cui questa percezione era già radicata.

E poi forse, c’è stata qualche coincidenza. C’erano parlamentari che sono entrati in Parlamento con questa idea. Non sono sicuro che nessuno abbia un quadro d’insieme più completo.

Due, tre settimane fa il parlamento ha deciso all’improvviso per una moratoria, dandosi tre mesi di tempo per controllare tutte le concessioni: vedere quali leggi devono essere cambiate, in modo da avere una legislazione migliore e ostacolare gli abusi.

È una vittoria definitiva?

A dire il vero, sono ancora scettico. La gente che ha approvato la moratoria è la stessa che ha lasciato arrivare la corsa al mini idroelettrico al punto in cui ci troviamo adesso. Non è che prima c’erano i diavoli e ora gli angeli.

Ma è vero che adesso c’è un certo slancio. Secondo i nostri avvocati, comunque, tre mesi per controllare tutte le concessioni sono pochi. È quasi impossibile, c’è una quantità di materiale enorme da analizzare.

In Republika Srpska, una decina di giorni fa, i parlamentari hanno presentato un altro disegno di legge molto forte, simile a quello della Federazione. I mesi che si erano dati per controllare le concessioni, erano sei: un intervallo molto più realistico. Alla fine, però, la proposta non è stata discussa in Parlamento. Una brutta sorpresa. Se il governo e l’opposizione erano d’accordo nel cambiare tutto, perché la proposta è stata ritirata?

In un certo senso mi sono detto ok, era pazzesco, troppo bello per essere vero. La Republika Srpska è infatti in questo momento l’epicentro della distruzione dei fiumi nei Balcani, ed è stata a un passo dal fermare tutti i cantieri. Poi il ministro dell’Energia deve aver parlato con i membri del parlamento dicendo "non possiamo farlo davvero, l’idroelettrico è troppo redditizio, gli investitori sono in regola, eccetera eccetera". Ma ad oggi non ho una idea precisa della dinamica, forse ci saranno altre sorprese.

Ci sono le elezioni a ottobre…

Sicuramente le elezioni influiscono. Ma non c’era un grande bisogno di fare la moratoria proprio ora. Hanno fatto come volevano per anni, e le critiche erano sempre le stesse. Ma è come domandarsi perché cade una valanga. Magari un cervo che camminando da qualche parte provoca un piccolo rumore… una piccola spinta e proprio in quel momento viene giù tutto.

Comunque andrà, è una buona notizia. Non è poco in questo periodo di lockdown, dove si moltiplicano le notizie di abusi ambientali. Nel Sud-est europeo, la Slovenia sembra aver fatto marcia indietro in tema di protezione ambientale…

In Slovenia, a differenza degli altri paesi della regione, non ci sono nuovi impianti in costruzione. Il governo però è cambiato. Il nuovo ministro dell’Ambiente, Vizjak, lo conosco personalmente da quando occupava la sua posizione precedente: era direttore della principale azienda idroelettrica nazionale. È un tecnocrate assoluto, e vuole una sola cosa: costruire dighe. Fare lui ministro dell’Ambiente è come assumere una capra come giardiniere.

Hanno adottato una legislazione d’emergenza per il Covid-19, che ha cancellato tutte le regole fondamentali che abbiamo in Europa per dare voce alla società civile. E ha reso più facile per gli investitori andare avanti anche quando non ci sono ancora i permessi o si aspettano ulteriori valutazioni.

In Slovenia, però, la società civile è sempre stata forte. E poi sono membri dell’Unione europea: sono sicuro che alla fine sarà possibile contrapporsi legalmente a queste decisioni, se non altro a livello comunitario.

Il cuore degli abusi favoriti dal coronavirus è la Bosnia Erzegovina, non la Slovenia. Dopotutto sta succedendo in tutta Europa. A Malta è aumentata drammaticamente la caccia illegale agli uccelli, in Bulgaria la pesca agli storioni… e in Romania il disboscamento illegale.

E pensare che la crisi del Covid è stata percepita da molti come una sorta di rivincita della natura…

La gente pensa che grazie al lockdown "la natura può respirare" – gli aerei che non volano più, l’acqua tornata trasparente a Venezia, e così via, ma è vero il contrario.

È un altro esempio di come la percezione comune sia sbagliata. In ogni posto dove lo sfruttamento della natura era in atto gli abusi sono cresciuti, perché sono venuti a mancare gli strumenti di controllo.

In Bosnia Erzegovina hanno preso avvio molti lavori, a volte senza alcun permesso. E le istituzioni che dovevano controllare che tutto fosse in regola hanno dichiarato che non potevano recarsi sul cantiere a causa del confinamento. Gli investitori potevano distruggere le foreste per fare le strade di accesso ai cantieri e le istituzioni non controllavano. La giustificazione era "seguiamo il consiglio del governo, stay at home". In realtà si chiama corruzione.

Dove si sono verificati i principali abusi in Bosnia Erzegovina?

Il 1° giugno volevano iniziare i lavori su due delle quindici centrali progettate sulla Neretvica, un affluente della Neretva. Ma sono accorse 250 persone che hanno bloccato i cantieri. Grazie alla moratoria, adesso il fiume dovrebbe essere al sicuro. Adesso occorre concentrarsi su questioni legali, trovare i vuoti legislativi. In Bosnia Erzegovina siamo impegnati in 17 cause.

L’opinione pubblica ha un ruolo importante sulle decisioni finali. Il corso della giustizia è delicato in questi paesi. Se la legge sembra dare torto all’investitore, che magari non ha ancora ottenuto tutte le autorizzazioni, in Austria il caso sarebbe già chiuso in partenza. Ma non in Bosnia. La battaglia legale è un tassello fondamentale della nostra strategia.

Nei Balcani ci sono problemi percepiti come molto più urgenti. Qual è il grado di consapevolezza tra la popolazione sulla difesa dei fiumi?

C’è consapevolezza. Non dico che tutti sono a conoscenza del problema, ma molti sì. L’azione fisica che è accaduta nelle ultime quattro settimane, in piena pandemia, ha raggiunto tanta gente. A differenza di altri paesi, nei Balcani la gente sa essere più appassionata e più determinata. Vanno per strada e bloccano, occupano. Combattono per i loro paesaggi, mettiamola così. Dubito che in Austria, dove vivo, la gente arriverebbe così lontano.

Esiste un idroelettrico "buono"?

L’idroelettrico ha effetti negativi su vari livelli. Non c’è un idroelettrico "buono". La cosa importante, però, sono le quantità. In Europa ci sono tantissime dighe, e pochi fiumi rimasti allo stato naturale: l’unica scelta responsabile è quella di difenderli. È come un malato che deve prendere un medicinale: se ne prende troppo, muore. È questo che abbiamo in molti parti d’Europa: un’overdose. Ufficialmente in Europa abbiamo 23000 centrali, ma in realtà sono molte di più, forse il doppio.

Tutti i fiumi sono frammentati, deviati, non trasportano più sedimenti, le piane alluvionali sono riempite dagli invasi artificiali. Sui fiumi, quando hai un impatto su un punto puoi riconoscerne le tracce su tutto il corso. Quello che conta, però, è la quantità.

Se guardi le mappe sull’integrità dei corsi d’acqua in Europa, vedrai che quasi tutte le zone sono compromesse. Ci sono qua e là fiumi in buona salute, ma un reticolo idrografico più grande, che connette più fiumi intatti, c’è solo nei Balcani.

Come è possibile che centrali così piccole, che coinvolgono investimenti minimi, siano così difficile da fermare?

La ragione principale è il sistema dei sussidi. E questo ha a che fare con le istanze del riscaldamento globale. Quando il problema è stato riconosciuto ci si è detti che bisognava insistere sulle "nuove" rinnovabili, che non erano ancora competitive sul mercato. Ma l’idroelettrico non è il solare o l’eolico: è la più vecchia sorgente di produzione energetica. Anche i romani costruivano mulini. La lobby dell’idroelettrico, però, è molto più forte di quella delle altre rinnovabili, o almeno lo era venti anni fa.

Sono riusciti a inserirsi nel sistema di sussidi a tutti i livelli. A Bruxelles, prima di tutto. I paesi hanno integrato le norme sui sussidi nei loro ordinamenti. Non solo i paesi membri come Austria o Slovenia, ma anche la Bosnia Erzegovina, o l’Albania.

Grazie ai sussidi un investitore ottiene molti più soldi per kilowattora, oltre il triplo del prezzo di mercato. Pagato dal consumatore.

Le donne di Krušćica (che hanno occupato per 500 giorni un cantiere finché il tribunale non ha dato loro ragione, ndr), in tutto il periodo in cui bloccavano il cantiere, pagavano il loro avversario con le bollette.

Eppure le leggi a difesa dell’ambiente ci sono…

La verità è che finché potrai guadagnare tanto distruggendo la natura, la natura verrà distrutta. Ti dicono che le leggi sono rigide, che servono valutazioni di impatto ambientale, clausole sulla partecipazione al processo decisionale, eccetera. Ma nella mia esperienza ormai trentennale nell’idroelettrico non è mai successo che questi meccanismi bloccassero i progetti. I soldi, se sono abbastanza, trovano sempre la strada.

Si va sempre avanti, magari con misure di compensazione, come qui in Austria.

Inoltre nei Balcani la corruzione è diffusa. Non è tutto il sistema, ma c’è sempre qualcuno che conosce qualcuno che in qualche modo ti farà avere l’autorizzazione. Può arrivare dopo che i lavori sono iniziati, è lo stesso.

La Bosnia Erzegovina e altri paesi balcanici si affidano soprattutto al carbone. Questo può rendere più difficile sostenere che il problema principale sia l’idroelettrico?

Messa in questi termini, è una domanda sbagliata. Non stiamo producendo troppo poco, stiamo consumando troppo. La Bosnia Erzegovina è un esportatore di elettricità, nonostante le grandi perdite sulla rete elettrica. Il carbone è orribile, deve scomparire, ma ci sono altre rinnovabili come sole e vento che non sono state prese in considerazione.

E soprattutto nessuno sosterrebbe seriamente che il mini idroelettrico possa dare un reale contributo energetico al paese. Anche a Bruxelles, ormai, sanno che il mini idroelettrico fa più male che bene.

Ma la tua domanda, ha a che fare con una questione ancora più centrale. Esiste un modo di non uccidere tutto quello che c’è sulla terra con la scusa di contrastare il riscaldamento globale?

Nessuna luce all’orizzonte?

Il Green Deal europeo contiene sia misure contro il cambiamento climatico che piani per il ripristino della biodiversità. Finalmente questi due pilastri sono messi sullo stesso piano.

Se parliamo di ambiente, però, quasi tutti guarderebbero all’aria pensando in termini di CO2 equivalente. L’argomento riscaldamento globale è sistematicamente abusato, usato come strumento per distruggere la natura più velocemente che mai.

È difficile rendersi conto dell’importanza dei fiumi…

Un grande albero che viene tagliato ha un impatto immediato. Con l’idroelettrico è diverso. La maggioranza di noi non ha neanche mai visto un fiume intatto nella sua vita e non sa neanche come è fatto. Quando vedi un fiume intatto come il Tagliamento, in Italia, pensi "quanta ghiaia! Cos’è?" (ride).

Certo, si riesce a comunicare che le grandi dighe sono uno scempio, ma che lo siano anche i piccoli impianti decentralizzati no. Vince sempre l’idea che "piccolo è bello". Si dovrebbero mostrare immagini di pesci che muoiono o restano intrappolati nell’impossibilità di risalire un fiume, ma non esistono. Se la gente non è preparata è anche colpa nostra.

Come è cominciato tutto?

È stato circa dieci anni fa. C’è sempre stata gente consapevole che i fiumi balcanici avessero un valore ecologico inestimabile, ma mancava uno sguardo d’insieme. All’inizio eravamo tre o quattro persone. Siamo partiti con l’idea di fare qualcosa di piccolo. Non potevamo andare paese per paese a cercare i singoli fiumi, ma allo stesso tempo volevamo proteggerli in tutta la regione. Abbiamo studiato l’idromorfologia della penisola.

Il passo successivo è stato censire tutti i progetti di centrali che riuscivamo a trovare. Così, nel 2013, abbiamo realizzato la prima mappa. Conteneva 1500 dighe esistenti o in progettazione. È stata questa mappa, piena di puntini, a fare il resto. Finalmente il problema era diventato visibile. Ed è stato un approccio radicalmente nuovo per le ong.

In che senso?

Di solito le ong si concentrano su alcuni fiumi o alcuni problemi, come la Neretva. Ma nei Balcani i casi erano così tanti. Mancava una visione complessiva.

Un altro fattore determinante è stato l’interesse del brand Patagonia. Quando hanno visto la mappa non ci potevano credere. Persino molti sostenitori dell’idroelettrico hanno dovuto riconoscere che era troppo. Da allora ogni due anni abbiamo monitorato la situazione, aggiornando la mappa. Abbiamo ottenuto più finanziamenti, con cui abbiamo potuto sovvenzionare gente sul campo.

Abbiamo delle aree chiave: la Vjosa in Albania, la Serbia occidentale, la Bosnia Erzegovina, la Macedonia del Nord con il parco Mavrovo, e l’alto corso della Sava. Abbiamo potuto occuparci della gente che viveva lì e che si prendeva cura del proprio territorio.

Invece che dedicarvi ai singoli corsi d’acqua avete ragionato in un’ottica internazionale…

Le iniziative sono cresciute trasformandosi via via in un movimento. Si sono uniti a noi i militanti di Balkan River Defense , i kayakers, addirittura aziende private. Abbiamo undici avvocati nel team. Da aprile abbiamo assunto un’altra persona, una donna che lavora solo sugli artisti. Cerchiamo di portarli sui fiumi, perché ne comunichino la bellezza al loro pubblico. Stanno arrivando sempre più gruppi.

È iniziato tutto con poche idee molto semplici, ma giuste. Così giuste che sono cresciute rapidamente. E adesso speriamo di fare espandere il progetto Blue Heart in tutta Europa, non solo nei Balcani.

Abbiamo raccolto i dati in tutto il continente, ma quello che per ora manca sono le ong e le iniziative che si dedicano ai fiumi in maniera altrettanto decisa e appassionata.

La campagna Blue Heart è coordinata da associazioni, come la vostra ed Euronatur, che si occupano di fiumi a tempo pieno…

A volte c’è un problema con le ong più grandi. Si occupano di temi molto diversi: foreste, ecosistemi marini, cambiamento climatico e così via. Magari vorresti incentrare una campagna tutta sull’idroelettrico, ma la sezione dedicata al cambiamento climatico dice che non puoi comunicarlo in quel modo. Il punto è essere focalizzati su un tema e allo stesso tempo essere flessibili e domandarsi cosa si possa fare di più, è questo il punto.

Non limitarsi a seguire i progetti. In una campagna come la nostra bisogna iniziare da un piano, ma poi saper aggiustare il tiro rapidamente. La moratoria nella Federazione di Bosnia Erzegovina, per esempio, ha portato un cambiamento inaspettato. In questa situazione bisogna essere veloci, magari spostare i finanziamenti su altre attività. Per esempio ci servono avvocati che conoscano bene le leggi della Federazione. Occorre essere dinamici.

Un lavoro notevole, reso possibile dalle tantissime ong e attivisti presenti in tutta la regione…

La causa dei fiumi coinvolge una grande varietà di persone. Dalle tipiche ong che si occupano da anni di alcune tematiche, ai tantissimi gruppi di attivisti, a volte così determinati che se lo ritengono necessario non hanno paura ad agire anche al di fuori delle regole. Come ha fatto Eko Akcija, che ha bloccato i cantieri in Bosnia in pieno Covid.

Quali sono le battaglie più urgenti, adesso?

Le due aree cruciali restano la Bosnia Erzegovina e l’Albania. La decisione sulla Vjosa è proprio dietro l’angolo.

La Vjosa in Albania, il più lungo fiume allo stato naturale in Europa, era stata una delle prime vittorie degli attivisti per i fiumi…

La vittoria in tribunale riguardava solo il progetto di una singola diga. Ma il governo ha fatto appello e allo stesso tempo ha rilasciato una concessione per una diga ancora più grande a Kalivaç. Quella è la diga sulla Vjosa. Se la fermiamo potremmo riuscire a fondare un parco nazionale, il primo in Europa incentrato su un fiume intatto. Ma se perdiamo, perdiamo la Vjosa.

Quanto pesano le restrizioni di viaggio dovute alla pandemia?

Abbiamo un bisogno disperato di poter tornare a viaggiare. Tecnicamente possiamo arrivare in Albania, ma poi non possiamo tornare indietro, saremmo sottoposti a misure di quarantena. E in tanti hanno questo problema, anche molti scienziati. Speriamo tutti che presto sarà possibile tornare a muoversi attraverso i paesi balcanici in sicurezza.

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