Gli anni di Darko
La scena culturale sarajevese negli anni ’80, tra punk e socialismo. I gruppi musicali, teatrali e la nuova cinematografia. Intervista con Darko Ostojić, ex membro dei Zabranjeno Pušenje e tra gli autori del mitico serial bosniaco "Top Lista Nadrealista"
Come è iniziata la storia del Novi Primitivizam e dei Zabranjeno Pušenje?
Il movimento del Novi Primitivizam, di cui facevano parte band come gli Zabranjeno Pušenje Vietato fumare e Elvis G. Kurtović, è nato nei primi anni ’80 come una risposta sarajevese al punk. Il punk è di per sé una subcultura, dunque il Novi Primitivizam è stato qualcosa di ancora più sotterraneo, una sub-subcultura. In quel periodo i membri di Elvis G. Kurtović e di Zabranjeno Pušenje conducevano anche una trasmissione radio, "Top Lista Nadrealista" Top list dei surrealisti che sarebbe poi diventata un serial televisivo e che aveva una grandissima popolarità. Io suonai con Zabranjeno Pušenje dopo il secondo album e fui parte della seconda stagione di Top Lista Nadrealista.
Quali messaggi trasmettevano questi movimenti?
Gli Zabranjeno Pušenje sono nati come un gruppo punk, e questo significa che in genere non si facevano canzoni d’amore, oppure, se ce n’erano, erano espresse in un modo particolare. Soprattutto si cantava della società e di temi politici. Fino all’apparizione di questa subcultura tali temi non erano all’ordine del giorno. Quindi, nel caso degli Zabranjeno Pušenje, le canzoni erano fortemente impegnate politicamente.
Anche la trasmissione Top Lista Nadrealista metteva alla berlina alcuni aspetti della società socialista jugoslava dell’epoca, e in qualche modo rappresentava un’immagine di quanto accadeva ogni giorno in città. Allora Sarajevo aveva una posizione specifica in Jugoslavia, era molto conosciuta per la sua scena musicale, per la scena culturale, il cinema, i serial, le rappresentazioni teatrali… La gente amava molto quello che succedeva qui, che aveva davvero una grande eco in tutta la regione. Top Lista Nadrealista diventò il serial televisivo più visto fino ad allora, ed anche in seguito penso che non sia stato più raggiunto quel tipo di humor. Oggi potremmo dire che non esiste più. Molte volte si è cercato di ritrasmettere Top Lista, ma nessuno c’è mai riuscito. In tutto il suo surrealismo essa è stata anche una sorta di profezia, in quanto ha previsto la guerra in un momento in cui la gente non aveva idea di quello che sarebbe successo. Io credo che esista qualcosa che è reale e qualcosa che è surreale. I surrealisti sono arrivati al limite estremo, e in questo modo hanno potuto prevedere quelle situazioni surreali, come la guerra e tutto il resto.
Come descriverebbe l’atmosfera di Sarajevo durante gli anni ’80?
In qualche modo dividerei Sarajevo in due fasi: prima e dopo le Olimpiadi del 1984. Nel primo periodo Sarajevo ha molte ottime band – come i Bijelo Dugme di Goran Bregović, gli Indexi, Teška Industria – una buona scena cinematografica – Emir Kusturica ricevette il Leone d’Oro nel 1981 – e teatrale… Ma l’atmosfera in sé è abbastanza chiusa, focalizzata sulla città stessa. Nell’anno delle Olimpiadi esce il primo album di Elvis G. Kurtović e di Zabranjeno Pušenje, e Sarajevo acquista un’immagine diversa, più aperta, e moltissima gente inizia ad arrivare da fuori. Il 1984 segna questo cambiamento vertiginoso: a livello strutturale, sociologico, culturale, musicale, cinematografico e quant’altro. Gli anni ’80 giocano un ruolo di primo piano nello sviluppo della città, che diventa un epicentro di tutti gli avvenimenti nell’ex Jugoslavia. Una volta il cantante dei Laibach, un gruppo di Lubiana, disse che al mondo esistono tre centri musicali: uno è Londra, uno è New York, l’altro è Sarajevo. Nel senso che Londra e New York lo sono a livello mondiale, mentre Sarajevo a livello regionale. Ma la Jugoslavia ha avuto davvero una scena musicale forte e potente, sia per quanto riguarda la musica popolare che il pop e il rock. Così che in quegli anni l’atmosfera a Sarajevo era veramente fantastica. La gente era attratta e incuriosita, voleva venire e respirare quell’atmosfera, per quanto se ne parlava, per quello che la città produceva, per il fatto che vi si trovava qualcosa di speciale che nelle altre città non c’era. Qui, quando le cose vanno bene, allora è fantastico, ma quando vanno male è terribile, come nel caso della guerra.
Quali erano le relazioni interne tra la scena musicale e le altre forme d’arte?
Le influenze erano molteplici e reciproche, per esempio tra la musica e le rappresentazioni teatrali, che sono state anch’esse molto popolari all’epoca. Mi ricordo un paio di spettacoli, "Tetovirano pozorište" e "Mjesečeva predstava", che hanno girato l’Europa. Poi c’erano i film, di Kusturica e di altri registi… Tutti loro hanno fotografato Sarajevo in quel momento. E le band ovviamente. Per quanto riguarda la musica, negli anni ’70 Sarajevo, con i Bijelo Dugme, aveva una posizione davvero dominante. Ci fu una crisi all’inizio degli anni ’80 quando la New Wave (Novi Val) era già arrivata a Zagabria e a Belgrado, con dei gruppi veramente ottimi. A Zagabria c’erano i Film e Haustor, a Belgrado gli Šarlo Akrobata, da cui sono venuti fuori gli Ekv e i Disciplina Kičme. Allora Sarajevo era in un certo senso in un periodo buio, tutto doveva ancora esplodere. Ma, con l’arrivo del Novi Primitivizam la città è di nuovo tornata ad essere la capitale della scena musicale.
Dal punto di vista musicale, cosa è successo a Sarajevo durante e dopo la guerra?
La città era sotto assedio, completamente bloccata, senza contatti con il mondo esterno. C’erano molte band di talento, alcune confluite in "Rock under the siege", ma credo che fino al 1995 non sia stata registrata una canzone che non avesse una tematica bellica. Tutto era troppo rinchiuso in questi territori, senza occasioni per farsi sentire al di fuori. A mio parere la comparsa degli Skroz ha segnato il ritorno della scena sarajevese. Poi sono apparsi i Dubioza Kolektiv, che però non sono la tipica band di Sarajevo. E quindi i Letu Štuke, che sono una band mainstream, con canzoni che si ascoltano più di quelle degli Skroz, che hanno fatto sì che l’immagine di Sarajevo tornasse ad avere il posto che merita. Dall’altra parte, però, c’è così tanto trash, turbofolk, canzoni piene di perversioni nazionaliste… E i Letu Štuke, gli Skroz, Laka e le altre band non riescono ad avere un ruolo così significativo in questa lotta tra quello che è normale e culturale e quello che è non-cultura. Secondo me sarebbe una cosa positiva se venisse fuori qualche altra band, di qualità.
Alcuni musicisti ci hanno parlato delle differenze tra gli anni ’80 e oggi…
La situazione odierna è davvero pazzesca. Quando avevo 16-17 anni, a Sarajevo almeno ogni 2 o 3 giorni c’era qualche concerto rock e ogni sabato tutta la città andava a un concerto a Dom Mladih. Oggi la maggioranza dei giovani vanno ad ascoltare turbofolk. La situazione è cambiata, è cambiata la consapevolezza delle persone e con il passare del tempo tutto si è più o meno degradato. Credo che questa sia una delle principali differenze tra gli anni ’80 e oggi. Allora la musica rock significava davvero qualcosa, di cui si poteva vivere, non solo da un punto di vista economico, penso anche a un modo di vivere la musica e il rock’n’roll. Oggi le grandi tournée non esistono più. Quando noi eravamo attivi facevamo delle grandi tournée di 3 mesi, toccando tutte le città jugoslave. Ora dove si può andare in Bosnia? Ci sono una manciata di città che hanno uno spazio abbastanza grosso e abbastanza gente interessata. È una situazione completamente diversa.
È ottimista verso il futuro?
Io sono ottimista di natura! Mi sembra che sebbene molte cose avvengano a Sarajevo, si potrebbe fare di più. Credo sia difficile riproporre quella stessa immagine di una volta, ma spero che riusciremo a produrne una nuova, di questa città e di queste subculture. Dobbiamo iniziare noi che di questo ci occupiamo. Se le persone si riunissero e si organizzassero meglio, con delle buone idee e buone premesse, penso che si potrebbe fare ancora molto nel campo della musica, del teatro, della televisione e dei film.