Dialogo civico in Bosnia Erzegovina
La posizione di alcuni intellettuali bosniaci sul processo di riconciliazione nel Paese a 15 anni dalla fine delle ostilità. Il ruolo dei media, la politica, la società civile
Neanche la fitta nebbia di sabato a Sarajevo distrae Josip dal suo obiettivo. Questo ragazzo di venticinque anni, proveniente da uno dei sobborghi di Sarajevo, oggi prende una delle decisioni più importanti della sua vita: si sposa. Josip e il suo compare Admir sono un po’ nervosi, e si preparano per andare a prendere la sposa.
Sono migliori amici da dieci anni, da quando la famiglia di Admir ha deciso, dopo anni di vita da rifugiati, di non tornare dove viveva prima della guerra, nella Bosnia orientale, da cui era stata cacciata.
Il comune di Ilidža è diventato la nuova casa di decine di migliaia di famiglie di bosgnacchi [bosniaco musulmani] che hanno venduto o scambiato le proprietà che possedevano là dove vivevano prima della guerra. Queste famiglie, per paura o per l’impossibilità di trovare un lavoro, non hanno neanche preso in considerazione l’idea di tornare in quelle città dove durante la scorsa guerra si è sofferto di più, quali Srebrenica, Višegrad, Foča. Non potevano più fidarsi dei vecchi vicini di casa ed ora ne hanno di nuovi.
Ad Admir e a Josip non interessano le storie dal passato: a loro interessano solo il presente e il futuro.
L’ottimismo di Mirko Pejanović
Il preside della facoltà di Scienze Politiche di Sarajevo, che è anche presidente da molti anni del Consiglio Civico Serbo – Mirko Pejanović – è ottimista. Ritiene che in queste zone esista una lunga tradizione di convivenza e che la vita quotidiana prima o poi avrà la meglio sui temi politici all’ordine del giorno.
“I bosniaci desiderano la pace e la prosperità. In noi è presente una cultura di convivenza ed essa sta a poco a poco riguadagnando terreno. A costituire un problema è invece la retorica nazionalista dei politici che prevale nel discorso pubblico ma, a livello dei cittadini, essa non si concretizza”, osserva il professor Pejanović.
A quindici anni dalla fine delle ostilità i politici locali, e la comunità internazionale, non hanno dedicato sufficienti iniziative al processo di riconciliazione tra le parti un tempo belligeranti. Diversi tentativi di creazione di una Commissione per la verità e la riconciliazione sono falliti.
Le scuole e gli insegnanti
“Il processo di riconciliazione in BiH deve iniziare dagli asili, dove si insegnerà ai bambini cos’è l’altro e il diverso; l’educazione quotidiana alla comunicazione è importantissima per questo gruppo. Bisogna migliorare la formazione degli insegnanti e di chi lavora nel campo dell’istruzione, ma anche aumentare il livello di attenzione perché c’è chi, senza controllo, diffonde l’odio tra gli alunni durante le proprie lezioni, specialmente quando si tratta dei cosiddetti gruppi di materie nazionali. Ci deve essere un maggior controllo su ciò che si insegna ai bambini perché questo sta alla radice di tutto”, sostiene il professor Besim Spahić docente di comunicazione dell’Università di Sarajevo.
Spahić ritiene che la comunità internazionale abbia una parte di responsabilità, perché la sua politica non si è orientata abbastanza verso questo obiettivo.
L’opinione di Spahić è condivisa da Momir Dejanović, del Centro per una Politica Umana di Doboj.
Pochi processi
“In passato non c’è stato un approccio adeguato e sistematico per la risoluzione di questo problema. La mia impressione è che l’approccio di allora sia stato per lo più parziale, sperimentale e intenzionalmente inefficace. Come se ai rappresentanti internazionali e alle élite politiche, religiose, culturali e intellettuali locali convenisse mantenere un basso livello di concordia tra le diverse nazionalità e un alto livello di diffidenza. Questo è evidente nell’atteggiamento verso il confronto con il passato e verso i processi per crimini di guerra. A mio giudizio con i processi si perseguiranno penalmente meno della metà dei responsabili dei crimini commessi in BiH, il che non è sufficiente per raggiungere un soddisfacente riavvicinamento tra le nazionalità”, afferma Dejanović.
Né la comunità internazionale né i politici locali hanno fatto abbastanza per la riconciliazione e la fiducia reciproca tra i cittadini. Il settore non governativo, tuttavia, costituisce in parte un’eccezione.
Il settore non governativo
Secondo l’opinione del professor Slavo Kukić, dell’università di Mostar, il settore non governativo è l’unico attore che ha tentato, e tenta tuttora, di portare avanti attività in questo ambito. Nonostante questo Kukić afferma che non ci sono state in questo campo attività importanti e organizzate.
"In BiH ci sono stati tentativi di ricostituire i rapporti interetnici distrutti, ma in questa direzione hanno tentato di agire, e solo in parte, le istituzioni della società civile. Neanche per loro infatti si può parlare di un orientamento generalizzato. Anzi. Per quel che riguarda poi altre istituzioni della società – istituzioni statali e dell’ambiente politico innanzitutto – non si può proprio dire che un tale orientamento sia stato presente negli ultimi quindici anni. Al contrario. Alla ricostruzione della fiducia reciproca non hanno contribuito neanche i media. Anziché far ciò, in questi anni essi hanno agito principalmente come piattaforma per coloro che promuovono tutt’altre filosofie etniche, basate sui contrasti.”
I politici che hanno costruito e costruiscono le proprie campagne elettorali sulla paura reciproca, i media che contribuiscono a creare un’atmosfera di diffidenza e la comunità internazionale, che non ha realizzato abbastanza iniziative per la riconciliazione, hanno reso la BiH un paese in cui, a quindici anni dalla fine del conflitto, non si può essere sicuri che le ostilità non si ripeteranno.
Secondo Dejanović, “sono stati raggiunti risultati modesti sul piano della costruzione e del rafforzamento della riconciliazione tra le nazionalità della Bosnia Erzegovina. I tre popoli costitutivi sono tuttora più in contrasto che riconciliati. La diffidenza tra le etnie è più forte della fiducia reciproca. Ciò si vede chiaramente dal modo in cui gli elettori si sono ripartiti su base etnica alle elezioni di quest’anno, molto di più che nel 1990. Costituisce invece una circostanza favorevole la mancanza, per ora, di esplicite influenze di grandi forze esterne, elemento che ha sempre avuto un ruolo determinante nello sconvolgere i rapporti tra le nazionalità e nello scatenare conflitti in BiH. Perché si realizzi la riappacificazione tra le etnie occorre che ci siano, oltre al tempo e ad un approccio adeguato, anche i presupposti politici, democratici, storici, giuridici, internazionali e di altro tipo. Allo stesso tempo, con l’ultimo conflitto e con la pacificazione si è verificato anche un processo di riconciliazione nazionale interna rispetto alle divisioni ideologiche e di altro genere che erano iniziate durante la Seconda guerra mondiale e con il sistema monopartitico”.
Cosa fare in futuro è la domanda per cui ogni cittadino della BiH ha una sua risposta. Queste risposte, però, sono per la maggior parte diametralmente opposte.
Per alcuni rappresenta motivo di soddisfazione il fatto che alcune vittime di guerra abbiano fatto causa alla Republika Srpska (RS). Coloro che hanno perso le proprie case, quelli che sono stati deportati, chi è stato illegalmente privato della libertà e altre vittime del conflitto stanno infatti facendo causa in massa contro la RS per essere risarciti dei danni. [Il governo della RS deve rispondere a circa 1.400 richieste di risarcimento recentemente inviate dall’Unione delle Vittime Civili di Guerra del cantone di Sarajevo per le sofferenze patite dai residenti della capitale durante l’assedio del 1992-95, ndr]
Secondo i nostri interlocutori, perché la BiH si stabilizzi, e perché si ristabilisca la fiducia reciproca, è importante indirizzare l’attenzione dei cittadini sulle necessità e sui problemi quotidiani che essi affrontano. I politici non potranno fare molto in questo senso; al contrario, i cittadini devono capire che sono loro la chiave del processo di riconciliazione e non i politici, la cui azione è evidentemente sbagliata.
“Questo concetto ‘tripartito’, su cui i partiti insistono, in realtà non fa altro che accentuare le differenze. Se questa idea sparisse, ai partiti verrebbero a mancare le radici del loro modus operandi e la gente finalmente si renderebbe conto che il ‘come’ si vive è molto più importante del ‘cosa’ dicono i rappresentanti istituzionali”, osserva Spahić.
Mentre Admir, il testimone di Josip, brinda agli sposi, il fotografo scatta foto in quantità alla coppia felice e agli amici, testimoni che la piccola gente – come dicono i politici – a volte è più grande dei politici stessi.