Dayton 2
I negoziati in corso a Butmir sul futuro della Bosnia Erzegovina. Dalla difesa di Dayton alla necessità di un superamento del quadro istituzionale definito dagli Accordi di Pace, le contraddizioni della posizione internazionale. Un commento
Questa settimana riprendono gli incontri definiti "Dayton 2" alla base NATO di Butmir nei sobborghi di Sarajevo. Questi negoziati di emergenza sono iniziati il 9 ottobre scorso sotto gli auspici di Stati Uniti e Unione Europea e in particolare di Carl Bildt, ministro degli Esteri della Svezia, e di James Steinberg, vice segretario di Stato degli USA. L’iniziativa diplomatica si svolge nel contesto della "maggiore crisi politica dalla fine della guerra 1992-95 in Bosnia Erzegovina (BiH)". Ci possiamo chiedere se una dichiarazione di questo tipo aiuti a comprendere la situazione attuale in BiH.
Di fatto, la Bosnia Erzegovina è uno Stato debole e in parte non funzionale ma non può essere in alcun modo considerata come uno "Stato fallito" failed State, ndt. Il Paese sta affrontando problemi seri sotto il profilo politico ed economico, ma non si sta disintegrando. Allo stesso modo, non sta andando verso una nuova guerra: chi combatterebbe un’altra guerra e con che cosa? L’ambiente regionale, del resto, è positivo: sia la Serbia che la Croazia sono impegnate per il mantenimento della integrità territoriale della BiH.
Mentre la dimensione regionale manda segnali chiaramente positivi, "esperti" principalmente internazionali lanciano avvertimenti drammatici, enfatizzando i rischi di una disintegrazione e le minacce di guerra. Volenti o nolenti, finiscono per portare sostegno alla retorica estremista che vorrebbero denunciare, e dimenticano di ricordare che la comunità internazionale ha contribuito in maniera significativa alla situazione attuale. Anche le contraddizioni e gli insuccessi della politica internazionale in BiH, infatti, dovrebbero essere presi in esame.
La Bosnia Erzegovina non è più in una situazione di post-conflitto. Nessuna area del Paese è più in una condizione economica così disperata come 15 anni fa. Nonostante l’attuale sentimento di crisi, il Paese ha recentemente fatto progressi significativi, ad esempio nell’adempiere agli obblighi previsti dalla road map per la liberalizzazione dei visti. Anche il percorso di integrazione euro atlantico sta procedendo. Infine, il 14 ottobre scorso, la Bosnia Erzegovina è stata eletta nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il 2010 e 2011
Proviamo ad esaminare più da vicino la situazione. La Republika Srpska (RS) funziona con un certo grado di ordine e il suo leader principale ha un forte sostegno da parte dei cittadini. Inoltre, i serbo bosniaci si stanno esprimendo con efficacia a favore della necessità di processi decisionali democratici e di responsabilità da parte della classe politica. Hanno ragione, è tempo di porre termine alla "dittatura coloniale". Questa espressione è naturalmente esagerata, ma rivela la percezione attuale dell’impegno internazionale. Dall’altra parte, quella bosgnacca, gli Stati Uniti sono ancora visti in maniera illusoria come un deus ex machina. Questa prospettiva blocca lo sviluppo della situazione nel Paese. Queste percezioni parzialmente illusorie, inoltre, nascondono ciò che realmente conta: in primo luogo, la necessità di affrontare la prolungata disfunzionalità della Federazione e, in secondo luogo, il bisogno di trovare un accordo tra i tre gruppi principali facendo sì che il Paese possa funzionare senza dividersi.
Negli ultimi 4 anni, la credibilità dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) è praticamente svanita. A fronte di questa constatazione, è ormai troppo tardi per rafforzare l’OHR. Nel nuovo contesto attuale, soluzioni radicali basate sul "periodo d’oro" dell’OHR e sulla reintroduzione di un uso massiccio dei cosiddetti "poteri di Bonn" poteri esecutivi dell’OHR, ndt non possono funzionare. Dodik sicuramente non sarebbe disposto né ad ascoltare né a seguire vecchi ritornelli. Mentre l’OHR appare ormai incapace di orientare lo sviluppo politico del Paese attraverso il proprio mandato, il processo di integrazione europea emerge come unico elemento reale di consenso. La comunità internazionale dovrebbe dunque urgentemente prendere in considerazione la chiusura dell’OHR impegnandosi nella costruzione di un forte Ufficio del Rappresentante Speciale dell’Unione Europea (EUSR).
Il nuovo EUSR dovrebbe concentrarsi sul dialogo e sulla costruzione di rapporti di partenariato. In questo contesto, un processo negoziale potrebbe affrontare i temi più cruciali con il coinvolgimento sia di attori locali che internazionali. Una nuova dinamica – e qui sta l’importanza del percorso stesso – dovrebbe essere intrapresa insieme ai politici locali. Servono piccoli passi: promuovere riforme istituzionali e "traghettare" il Paese verso l’UE. Infine, ma questo richiederà tempo, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una Bosnia Erzegovina unita e funzionale.
La Bosnia Erzegovina, da anni, si trova ad affrontare un paradosso creato dalla stessa comunità internazionale: da un lato l’OHR è responsabile della esecuzione e tutela degli Accordi di Pace di Dayton (DPA). D’altro canto, l’EUSR ha il compito di modificare e superare elementi di Dayton nel quadro del processo di integrazione europea. La costituzione di un solido Ufficio del Rappresentante Speciale dell’UE (EUSR), che possa mantenere anche un utilizzo difensivo dei "poteri di Bonn", può solo aiutare a risolvere questa contraddizione.