Bosnia Erzegovina: catastrofe umanitaria annunciata
Con una dura lettera Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, sollecita le autorità della Bosnia Erzegovina a farsi carico della grave crisi umanitaria in corso nel cantone Una-Sana, dove sono ormai centinaia i rifugiati e migranti che dormono all’addiaccio
In una dura lettera inviata al presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina Zoran Tegeltija e al ministro della Sicurezza Selmo Cikotić, la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović ha chiesto conto della crisi umanitaria in corso nel Cantone di Una Sana. Un intervento che segue le orme della sua missione in Bosnia Erzegovina nel dicembre del 2019 e delle nette dichiarazioni fatte nella successiva conferenza stampa, a seguito della quale era stato chiuso il campo improvvisato di Vučjak, sorto su una discarica a cielo aperto nel Cantone di Una Sana.
Una crisi che però poi si è acutizzata nuovamente, come sottolinea Dunja Mijatović nella sua recente lettera: “Risulta che, alla data di ottobre 2020, siano 6770 i richiedenti asilo e migranti accolti in campi situati nella Federazione della Bosnia Erzegovina. Si stima che il numero di coloro che dormono all’addiaccio o in palazzi abbandonati nel Cantone di Una Sana e altrove nel paese va da 2000 a 3500 persone. Sono molto preoccupata del fatto che, a distanza di un anno dalla chiusura del campo di Vučjak, sia in corso nel Cantone un’altra crisi umanitaria”.
Sono mesi che diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciano le condizioni insostenibili in cui vivono queste persone arrivate percorrendo la cosiddetta “rotta balcanica” della migrazione. Soprattutto a seguito delle misure contro la pandemia, è stato il caos, come ci ha raccontato a inizio settembre Silvia Maraone di Ipsia che opera a Bihać: “Sembra che le attuali condizioni imposte dal governo locale [ndr: del Cantone di Una-Sana] non facciano sconti per nessuno. Nemmeno le famiglie, le donne e i bambini hanno più accesso ai centri di accoglienza. È vietato il trasporto su qualunque tipo di mezzo pubblico, il che lascia spazio ai trafficanti di fare affari sempre più remunerativi. In una parola sola: caos”.
In quel caos, da aprile un migliaio di persone sono state concentrate a forza a Lipa, una tendopoli situata nel nulla a 30 km da Bihać che doveva essere un campo temporaneo causa “emergenza Covid”. Doveva chiudere il 30 settembre, invece è rimasto aperto e non essendo attrezzato per l’inverno le persone qui accampate rischiano la vita, come abbiamo denunciato su OBCT il 4 dicembre scorso.
Si tratta anche di persone vulnerabili, sottolinea Dunja Mijatović: “La chiusura del campo Bira e il divieto imposto dalle autorità del Cantone Una Sana di permettere nuovi ingressi al campo Miral, hanno avuto conseguenze umanitarie disastrose su centinaia di migranti e richiedenti asilo, tra i quali famiglie con bambini che si sono trovati senza un luogo dove dormire, ricevere cibo e assistenza medica” e inoltre, aggiunge, “ha aggravato la difficile situazione dei gruppi più vulnerabili, in particolare minori migranti non accompagnati, donne in stato di gravidanza e anziani.”
In questo contesto, prosegue Mijatović, le autorità del paese devono garantire con urgenza i bisogni primari, “indipendentemente dallo status giuridico delle persone coinvolte o dal fatto che si parli di persone in transito o che intendono rimanere nel paese”. Sottolinea inoltre che per creare adeguate condizioni di accoglienza è imprescindibile che tra le due entità – Federazione BiH e Republika Srpska – e tra Cantoni deve esserci collaborazione e che va cambiata la concentrazione dei migranti nella sola Federazione: “A quanto mi risulta, sono disponibili finanziamenti per creare nuove strutture di accoglienza. Sono certa che concorderete sul fatto che il Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina ha un ruolo importante da svolgere nel garantire che tutti i livelli di autorità nel paese si assumano la loro giusta parte di responsabilità al riguardo.”
Un Consiglio dei ministri, come ricordato dalla televisione di stato BHRT il 9 dicembre , che in 8 mesi non ha ufficializzato Lipa come campo di accoglienza e di conseguenza non sono stati realizzati i lavori perché almeno venisse adeguato al periodo invernale. BHRT ha riportato anche il nuovo rifiuto del sindaco di Bihać, Šuhret Fazlić, a riaprire il campo Bira. Questo centro, gestito da IOM BiH , è stato chiuso a fine settembre per decisione unilaterale delle autorità del Cantone Una Sana senza consultare né IOM né le autorità centrali di Sarajevo, provocando lo spostamento di centinaia di rifugiati e migranti all’addiaccio presso l’ingresso del campo Lipa, già al collasso. Una decisione che per altro è stata subito condannata dall’UE , con una nota in cui è stato evidenziato che l’Unione ha fornito notevole sostegno al paese per gestire la migrazione e l’asilo, e dove si esortano le autorità a tenere fede agli impegni presi e affrontare la difficile situazione causata da una decisione che aveva peggiorato anche la vita dei cittadini.
Volontari e xenofobia
Cittadini e volontari che nel silenzio, nonostante le manifestazioni anti-migranti dei mesi scorsi e le campagne xenofobe, proseguono ad aiutare come possono migranti e rifugiati rimasti senza nulla. A questo proposito nella lettera rivolta al presidente del Consiglio Tegeltija e al ministro Cikotić, vengono citate la violenza della polizia durante gli sgomberi e i trasferimenti nei campi, come le violenze e la distruzione dei beni personali dei migranti perpetrati da gruppi locali di vigilantes: “Queste azioni si sono verificate nel contesto della retorica anti-migranti diffusa da politici e organi di stampa, descrivendo i migranti come criminali, terroristi e portatori di gravi rischi per la salute".
Criminalizzazione – sottolinea la Mijatović – che continua a colpire anche la solidarietà: “Sono preoccupata per le segnalazioni di attacchi e minacce contro i difensori dei diritti umani che aiutano i migranti, tra cui una campagna diffamatoria e minacce di morte contro la signora Zehida Bihorac. Caso che ha provocato una condanna pubblica del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, e un appello alle autorità affinché conducano un’indagine rapida, indipendente e imparziale per assicurare i responsabili alla giustizia”.
Nella lettera della Commissaria per i diritti umani del Coe ci si sofferma anche sulla situazione dei minori non accompagnati. Riportando i dati di novembre da cui risultano 480 minori accolti nei centri, si rileva la difficoltà dimostrata dal paese nell’assicurarne l’identificazione, la valutazione dell’età, l’adatta sistemazione e l’accesso alla protezione internazionale. “A causa di questi problemi e della carenza sistemica di alloggi adeguati, molti minori non accompagnati vivono in condizioni disastrose, spesso insieme ad adulti e famiglie non imparentati, che possono mettere a rischio il loro benessere”. Aggiunge poi la commissaria de Coe che la maggioranza non ha un tutore legale nominato dalle autorità e le invita ad affrontare la questione con urgenza, “per assicurare ai minori una protezione efficace in linea con le pertinenti norme del Consiglio d’Europa e internazionali.”
La presa di posizione di IOM
Alla situazione già complessa si sono aggiunte le dichiarazioni di Van Der Auweraert, responsabile di IOM in BiH e che più volte aveva denunciato la pericolosa situazione di stallo. In una lunga intervista alla Tv N1 oltre ad annunciare che conclude il suo mandato sostituito dall’italiana Laura Lungarotti – attuale capo missione IOM in Mauritania – ha dichiarato che IOM non finanzierà più il campo di Lipa. Incalzato dalla giornalista, ha aggiunto che vede solo due scenari possibili: “Il primo è che all’ultimo minuto il Consiglio dei ministri prenda una giusta decisione, e cioè che le persone da Lipa vengano spostate in luoghi dove poter accedere a condizioni di vita adeguate, e che si trovi un centro aggiuntivo per le 1500 persone che dormono ora all’aperto”. Altrimenti, aggiunge, c’è da aspettarsi solo una catastrofe umanitaria.
L’annuncio di Van Der Auweraert di lasciare il campo Lipa – nel quale il 9 dicembre si è cominciato a smontare alcuni tendoni – ha spinto già nel tardo pomeriggio di ieri 400 migranti ad abbandonarlo. Probabilmente in parte verso il “game”, cioè il passaggio del confine con la Croazia in direzione di altri paesi dell’UE, nella speranza di non essere intercettati dalla polizia croata – o a catena anche dalla polizia italiana e slovena – e respinti in Bosnia. Intanto, nella serata di ieri, come pubblicato da un gruppo Facebook bosniaco anti-migranti con centinaia di iscritti, alcune decine di cittadini si sono appostati davanti al campo Bira di Bihać invitando altri ad aggiungersi, “Perché è qui che si difende la città!”.
Una battaglia dovuta a scelte politiche irresponsabili a scapito non solo delle donne, uomini e minori migranti, di rifugiati e richiedenti asilo, ma anche di tutti i cittadini e cittadine della Bosnia Erzegovina.
Sul diritto d’asilo in Bosnia
Secondo i dati forniti dall’Unhcr a novembre risultano in BiH in sospeso le procedure per 295 richiedenti asilo, mentre altre 400 persone sono ancora in attesa di registrare la richiesta: questo perché, scrive Mijatović, i potenziali richiedenti asilo continuano a incontrare ostacoli per mancanza di funzionari del settore nei centri di accoglienza e di interpreti nelle lingue dei richiedenti asilo. Inoltre la Commissaria, citando l’intenzione del paese di aumentare i rimpatri per cui ha firmato accordi bilaterali con alcuni paesi – ad esempio con il Pakistan, annunciato dal ministro della Sicurezza della BiH lo scorso 15 ottobre – ricorda al governo bosniaco gli obblighi derivanti dal diritto internazionale: “In virtù degli obblighi di non respingimento, la Bosnia Erzegovina deve garantire che tutte le persone che desiderano chiedere protezione internazionale abbiano la possibilità di farlo. Tutte le domande di asilo devono essere esaminate in base ai propri meriti secondo procedure di asilo eque ed efficienti, tenendo conto delle circostanze individuali e delle informazioni aggiornate sul paese di origine. (…) Qualsiasi procedimento di espulsione dovrebbe rispettare gli altri obblighi della Bosnia Erzegovina dettati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, compreso il rispetto del divieto di espulsioni collettive, dell’obbligo di fornire adeguate garanzie procedurali e di rispettare il diritto alla libertà delle persone interessate”.