Zona recessione
Gli esperti economici dei Balcani non vedono un futuro roseo per la regione, e prevedono che la crisi inizierà presto a farsi sentire in modo più intenso e durerà molto più a lungo di quanto si pensi, portando con sé anche instabilità politica
Di Nikos Arvanites, 20 febbraio 2009, Ekonomist (titolo orig. Udar na evropsku periferiju)
Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Maria Elena Franco
Secondo le valutazioni degli esperti, la crisi economica mondiale durerà più di tre anni negli Stati Uniti ed in Europa, mentre nelle zone di confine di quest’ultima, soprattutto nei Balcani, le conseguenze si faranno sentire per più di cinque – sei anni.
Recentemente, l’economista e premio nobel Joseph Stiglitz, ospite in Serbia, nella sua lezione dal titolo "Crisi economica globale e previsioni delle sue ripercussioni nei Balcani", ha affermato che "questa crisi ha il suo centro negli Stati Uniti, ma la periferia sarà la più colpita perché dovrà sopportare l’embargo di investimenti diretti stranieri".
In base alle parole di Stiglitz, non è difficile concludere che i Balcani sono la periferia dell’Europa, senza considerare che qui si trovano anche tre stati membri dell’Ue – Grecia, Bulgaria e Romania. Gli esperti economici dei Balcani, "periferia" degli interessi dell’Ue, non prevedono un futuro roseo per la regione e si aspettano che qui la crisi inizi preso a farsi sentire in modo più intenso e più a lungo di quanto si pensi.
Se la crisi economica mondiale del 1929-1934 ha lasciato una traccia profonda nella politica mondiale, e quella petrolifera del 1973 ha cambiato in modo sostanziale le relazioni internazionali, allora questa crisi si può considerare come la "crisi del cambiamento" delle relazioni economiche internazionali e politiche nel mondo, con il risultato di una nuova architettura mondiale del potere. E’ evidente che la crisi attuale ha aperto la questione della crisi del "denaro mondiale" e che, secondo le valutazioni degli esperti, entro il 2050 circa 50 milioni di persone nel mondo resteranno senza lavoro.
Il concetto del nuovo capitalismo andrà sempre più nella direzione del rafforzamento degli stati, dell’interventismo statale, della dipendenza o del connubio delle grandi compagnie con gli stati e il potere politico, coi modelli più vicini all’economia dirigenziale, al protezionismo e ai diversi aspetti della politica neo-socialista. Quindi, le conseguenze della crisi economica mondiale saranno soprattutto definite da crisi monetaria, crisi dei prestiti costosi, investimenti controllati e transazioni abbastanza caute, ma anche da tentativi di chiusura o di limitazione delle economie nazionali. Questo sottintende inevitabilmente anche qualche tipo di nazionalismo economico.
Ondata di insoddisfazione
In base ai dati, la prima ondata di recessione travolgerà almeno 18 dei 27 paesi dell’Ue; questo anche con la crisi della politica monetaria dell’Ue e la stabilità dell’euro. Al contempo, esiste anche il timore, come ha dichiarato il miliardario George Soros, che "l’euro possa essere strategicamente danneggiato e portato al crollo". La Grecia sta vivendo la più seria crisi economica e politica degli ultimi 15 anni. Più del 60% della popolazione ha problemi finanziari.
La ricerca dell’Istituto economico di Atene mostra che un greco su quattro non riesce a coprire le spese primarie. La Banca centrale greca ha invitato le sue banche a sospendere i finanziamenti alle filiali nei Balcani, in Serbia, Romania e Bulgaria, facendo notare che i crediti in valute estere in Serbia ammontano a circa il 70% del debito totale, in Ungheria al 60% e in Romania e Bulgaria a più del 50%. Le scosse politiche in Grecia fanno presagire simili scenari anche in altri paesi dell’Europa e dell’Ue. Le cause sono socio-economiche, ma gli intenti a volte sembrano essere di arrivare a cambi di governo e ad elezioni anticipate in un numero significativo di stati membri dell’Unione.
Raduni di piazza di natura politica e sociale del mese di gennaio, a cui hanno preso parte migliaia di dimostranti contro i governi al potere, hanno avuto luogo anche nella capitale bulgara, a Sofia. A gran voce hanno richiesto le dimissioni del governo. Un sondaggio dell’opinione pubblica in Bulgaria mostra che il 70% dei 7,6 milioni di abitanti del paese vuole il cambio del governo, mentre il 75% vuole lo scioglimento del parlamento, ritenuto colpevole di non aver facilitato la lotta contro il crimine e la corruzione.
La Croazia ha già reso noto di essere in zona recessione, alla luce del basso andamento economico del 2008. La rivista croata "Banca" scrive che "se per recessione si intende il calo del PIL in due trimestri consecutivi, il ribasso del PIL nel quarto quadrimestre, causato dai risultati negativi di industria e commercio degli ultimi mesi del 2008, indica che il paese è in recessione".
Politici ottimisti
Le analisi mostrano che le conseguenze della crisi si faranno sentire anche in Romania, nonostante il premier romeno Călin Popescu Tăriceanu affermi che il 2009 sarà l’anno dell’espansione economica per il suo paese. "Non possiamo non essere colpiti dalla crisi economica, ma la Romania registrerà una maggiore crescita economica rispetto ad altri stati membri e ad altri paesi sviluppati", sostiene Tăriceanu. Contemporaneamente l’ottimismo del premier è stato offuscato dalle notizie del licenziamento dei lavoratori e dalla diminuzione della produzione, in particolare nell’industria chimica, dell’industria dei fertilizzanti e del settore automobilistico.
Per quanto riguarda la Serbia, recentemente il vice-presidente Mlađan Dinkić ha rilasciato una previsione del tutto ottimistica e possibilista al Forum europeo di Vienna, affermando che nel 2009 la Serbia non entrerà in recessione. Dinkić ha dichiarato che nel suo paese le banche hanno lavorato con profitto nel 2008, così che "non si preoccupano se ci saranno soldi", ma di quanto saranno i costi dei prestiti. La Serbia si aspetta molto di più dagli investimenti stranieri nel 2009, ma il governo ha raccomandato ai cittadini di "risparmiare e diminuire i costi" dato che il 2009 non sarà molto più difficile dell’anno scorso.
La situazione politica in Serbia fa presagire una notevole agitazione e i sindacati minacciano proteste di massa e scioperi. Il Montenegro sta per lasciare a casa quasi 30.000 persone dal settore pubblico. Nel più piccolo stato dell’ex Jugoslavia in primavera si terranno le elezioni parlamentari, e in FYROM – Macedonia, in grandi difficoltà economiche e politiche, si svolgeranno le votazioni locali e presidenziali. In base alle valutazioni delle organizzazioni internazionali, l’Albania è il terzo stato al mondo per livello di corruzione, ciò indica che anche qui si arriverà all’evidente influenza della crisi globale sul terremoto politico e ad una crisi del governo.
A conti fatti, i Balcani si trovano ad affrontare una reale recessione economica e una notevole preoccupazione, ma anche ventate di ottimismo secondo cui la recessione globale non si farà sentire in modo così forte nei singoli stati. Una cosa è certa, le conseguenze della crisi mondiale si sentiranno pesantemente soprattutto nei "paesi alla periferia" dell’Europa e dell’Ue con i governi in crisi, e qui dureranno per più di cinque anni; questo per i singoli paesi fuori dalla zona Ue significherà grande delusione e frustrazione. In Montenegro, Albania e Macedonia quest’anno si terranno le elezioni, e sarà dura creare un clima favorevole per gli investitori che si aspettano una diminuzione della spesa pubblica.