Ue: sempre di meno, sempre più anziani
Una raccolta di dati dell’EPRS delinea il futuro demografico dell’UE. Nel 2080, se si manterranno i trend attuali, scenderemo dai 513,5 milioni attuali a 504,5. E non si fermerà l’emorragia di popolazione dalla campagne. Uno sguardo che dalla situazione globale arriva al sud-est Europa
Uno studio presentato dal servizio di ricerca del Parlamento europeo (EPRS) offre un’interessante panoramica sulle prospettive demografiche dell’UE e dei paesi di tutto il mondo. Il report analizza come la demografia influenzi i settori più disparati, dall’economia al mercato del lavoro, dalle pensioni alla sanità, dall’ambiente al cibo e nutrizione. Nel contesto dell’UE, è interessante vedere che spesso i dati relativi alla situazione nei paesi dei Balcani divergano e contrastino con quelli relativi agli stati membri Ue.
Crescita lenta ed invecchiamento della popolazione: queste sono le due maggiori tendenze in Europa che emergono nella prima sezione del report. Dal 1960 al 2019 infatti, la popolazione dell’Unione europea è cresciuta da 406,7 milioni a 513,5 ma si prevede un’inversione di tendenza nel prossimo futuro (da 524,7 milioni di persone nel 2040 a 504,5 milioni nel 2080). Il quadro europeo contrasta con la costante ed intensa crescita demografica a livello globale, protagonista degli ultimi decenni: da circa 3 miliardi di persone nel 1960, la popolazione ha raggiunto i 7.7 miliardi nel 2019 e si prospetta che crescerà ulteriormente fino a raggiungere i 10 miliardi nel 2057.
L’invecchiamento della popolazione dell’UE è una situazione comune a tutti i paesi membri: nel 2050, solamente due persone in età lavorativa provvederanno al sostentamento di una persona over 65, contro i dati del 2001 secondo cui per ogni anziano over 65 erano attive 4 persone in età lavorativa. Nel 2070, la Croazia raggiungerà l’età media più alta d’Europa, 52,6 anni, una differenza notevole rispetto all’età media nel 1970 in Svezia (35 anni) e nel 2019 in Italia e Germania, 46 anni. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione dipende da un diffuso incremento delle aspettative di vita e dal tasso di fecondità costantemente in discesa.
L’aumento della speranza di vita, conseguente ad un miglioramento della qualità della vita, è riscontrabile in tutti i paesi ‘’sviluppati’’. Negli anni resta comunque notevole la differenza tra uomini e donne: secondo i dati, in Europa l’aspettativa di vita è di 82.6 anni per le donne nel periodo 2015-2020 contro una media di 77.1 per gli uomini negli stessi anni (negli anni 1960-1965 era invece 72 per le donne 67.0 per gli uomini). Per quanto riguarda il tasso di fecondità, in tutta Europa si è verificato un declino: se fino al 1970 era del 2.1 per donna, nel 2017 è sceso a 1.59.
Migrazioni
Date queste premesse, il ruolo della migrazione diventa significativo: se è vero che i flussi migratori non possono modificare radicalmente in breve tempo la situazione demografica in Europa, essi sicuramente influiscono sul numero della popolazione e sul tasso di anzianità e a lungo termine avranno ripercussioni sul tasso di fecondità e sulla speranza di vita in tutta l’UE.
In generale, tutto il pianeta sta assistendo ad un invecchiamento: gli over 65 cresceranno da 612 milioni nel 2015 a più di 1.5 miliardi nel 2050. A questo proposito – secondo gli autori dello studio – può essere d’ispirazione osservare come il Giappone si prepara a fronteggiare questa situazione. Il paese infatti ha il tasso di anzianità più alto del mondo e affronterà un calo demografico in un futuro prossimo. Tra le misure adottate, l’introduzione di sistemi di automazione e il finanziamento della robotica in diversi settori ma per la prima volta si sta valutando anche l’idea di aprire le frontiere alla migrazione. Tuttavia, un intero continente fa eccezione: l‘Africa sarà il motore demografico del mondo con 2.5 miliardi di persone nel 2050. Secondo le statistiche, 1 persona su 4 in età lavorativa sarà di origine africana nel 2050: questa è un’opportunità per lo sviluppo dell’economia del continente anche se sarà necessario investire per una forza lavoro giovane ben istruita e competente e per garantire sufficienti offerte di lavoro.
Città e campagna
Spostandoci verso est, dalla Bulgaria, Croazia e Grecia emerge una situazione ben diversa: forti contrasti demografici possono essere osservati tra i centri urbani e le zone rurali – caratteristica in Europa soprattutto di questi paesi – e lo spopolamento di queste ultime è frutto della migrazione interna all’Unione europea. Le persone dai paesi del sud ed est Europa si spostano verso i centri urbani ed i paesi più sviluppati quali Germania e Regno Unito alla ricerca di lavoro, opportunità di carriera e prospettive economiche migliori.
Secondo un rapporto ESPON, entro il 2050 la popolazione delle aree urbane dovrebbe aumentare di 24,1 milioni di persone e questi centri ospiteranno circa la metà di tutta la popolazione dell’UE. La popolazione delle regioni prevalentemente rurali diminuirà invece di 7,9 milioni. Nei paesi sopracitati, il rischio di esclusione e povertà è il più alto d’Europa come lo è il pericolo della creazione di un circolo vizioso dovuto allo spopolamento che spingerà sempre più persone a lasciare questi territori. La percentuale più bassa di persone che usano internet su base giornaliera è stata registrata proprio nelle aree rurali di questi paesi. Tuttavia, le aree e le attività rurali rimangono un elemento fondamentale dell’economia e della società europea: il report presenta diversi vantaggi della vita rurale che spaziano dal vivere in un ambiente più pulito e una vita più sostenibile alle potenziali opportunità di lavoro in nuovi settori quali l’ecoturismo e l’economia circolare.
Cibo e demografia
Nell’ultima sezione del report, viene presentato un approfondimento sull’impatto del cibo e dell’alimentazione sulla demografia. A livello globale ed a livello europeo emergono due tendenze contrastanti. Nel primo caso infatti, la mancanza di quantità adeguata di cibo nutriente riduce le aspettative di vita. Secondo la FAO, nel 2050 il settore agroalimentare dovrà produrre il 50% in più di cibo per rispondere alla crescente domanda globale. Per arginare il problema, è necessario cambiare le abitudini alimentari (come abbandonare le proteine a base animale), migliorare la distribuzione del cibo, ridurre gli sprechi e finanziare progressi tecnologici nel settore agricolo. Inoltre, l’emancipazione femminile e l’educazione potrebbero rappresentare dei mezzi attraverso cui ridurre il tasso di fecondità.
A livello europeo, l’abbondanza di cibo malsano è la causa di malattie quali l’obesità, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari. Tra le azioni necessarie per fronteggiare questa forma di malnutrizione viene proposta dal report l’educazione alimentare fin dalla prima infanzia, la promozione dell’attività fisica, il miglioramento della sicurezza alimentare migliorando i sistemi di etichettatura e la promozione della ricerca di sistemi alimentari nuovi e innovativi. Parallelamente all’aumento della diffusione dell’obesità, in Europa è evidente la crescita di carenze nutrizionali: secondo Eurostat, 36 milioni di persone in Europa non hanno accesso ad un pasto di qualità che includa carne, pollo, pesce o un equivalente vegetariano ogni due giorni. La Bulgaria registra la percentuale più alta di popolazione che soffre di questa grave deprivazione, 31,4%. L’accesso al cibo è difficoltoso per la metà delle famiglie a basso reddito dei nuovi stati membri dell’UE.