“Stiamo perdendo la lince dei Balcani”
I risultati degli ultimi rilevamenti sulla lince dei Balcani, presente solo nelle montagne di Macedonia del Nord, Albania e Kosovo, non lasciano presagire nulla di buono sul futuro di uno dei mammiferi più a rischio d’Europa
“Risultati devastanti”. Con queste parole il report del Balkan Lynx Recovery Programme , il team internazionale deputato alla salvaguardia della lince dei Balcani, descrive l’andamento dell’ultima campagna di rilevamento con fototrappole avvenuto nel 2021.
In quattro mesi, la rete di 151 apparecchi sparsi in tutto l’areale ha ripreso un solo esemplare in Kosovo, quattro in due zone separate dell’Albania, e appena cinque nel Parco Nazionale di Mavrovo, nella Macedonia del Nord. A preoccupare è soprattutto questo massiccio, ovvero l’area considerata chiave per la sopravvivenza del felino. Tre anni fa, gli esemplari fotografati erano stati il doppio.
La lince dei Balcani è una popolazione della lince euroasiatica. Pur non essendo riconosciuta universalmente come sottospecie, ha caratteristiche uniche legate al suo prolungato isolamento. Rispetto ai suoi vicini europei, presenta macchie più nitide e un patrimonio genetico proprio che si è consolidato in una storia lunga almeno 45 mila anni. Dal 2015 è inclusa nella Lista Rossa IUCN degli animali in pericolo critico, ed è protetta da tutte le principali convenzioni internazionali sulla fauna selvatica.
Un tempo era diffusa in tutta la penisola, ma oggi vive esclusivamente nelle impervie montagne che separano Macedonia del Nord, Albania e Kosovo. Secondo gli esperti ne restano in vita meno di cinquanta esemplari, più verosimilmente appena una trentina.
Finora, però, i monitoraggi descrivevano una lievissima ma costante ripresa della popolazione. Come si spiega questa improvvisa diminuzione? “È quello che stiamo ancora cercando di capire”, commenta Dime Melovski, biologo della Società Ecologica Macedone. Non è detto che gli individui mancanti siano morti. Alcuni, giovani o appena arrivati potrebbero semplicemente avere fatto percorsi diversi da quelli abituali in cui si trovano le fototrappole.
Per questo il team ha deciso di proseguire a oltranza i rilevamenti in sette stazioni di osservazione. Ma i risultati sono stati ancora più deludenti, ammette il biologo, che proprio in questi giorni si prepara a un’ennesima spedizione, in pieno inverno, sulle tracce del felino.
Tra deforestazione e bracconaggio
Nonostante sia protetta da decenni, in certe case e ristoranti dei montanari albanesi e macedoni può ancora capitare di vedere esposto con orgoglio un esemplare impagliato. Tra il 2006 e oggi ne sono stati uccisi almeno quattordici: un numero tutt’altro che trascurabile in rapporto alla scarsissima popolazione totale.
Eppure, secondo gli esperti, il bracconaggio non è l’unica causa del vicolo cieco in cui la lince sembra essere finita.
La sopravvivenza dell’animale dipende da quella delle sue prede, soprattutto caprioli e camosci. Cacciarli è legale, ma il prelievo è spesso pianificato con criteri poco scientifici, e soprattutto con pochi controlli. A quanto pare, però, nella zona non sono le prede a scarseggiare. Pesa molto di più un altro fattore, molto più politico: l’inesorabile degradazione degli habitat in tutta la regione.
Le foreste di questi paesi, si legge nell’ultimo report del Recovery Programme, sono gestite in maniera tutt’altro che sostenibile. Tra il 2000 e il 2012 Albania e Nord Macedonia hanno perso rispettivamente il 6,78 e il 4,88% dei loro boschi. A volte il prelievo di legname, spesso ma non sempre illegale, si accompagna ad atti di bracconaggio e incendi, anche in aree cruciali per la riproduzione dell’animale.
Non è solo questione di estensione, ma di qualità del sottobosco e di frammentazione: a causa di strade, piste da sci e altre infrastrutture costruite senza una progettazione adeguata, le linci sono spesso costrette ad abbandonare alcune aree, finendo per suddividersi in gruppi sempre più piccoli e lontani tra loro.
Con la popolazione ridotta a poche decine di esemplari, i casi di accoppiamento tra consanguinei si sono moltiplicati. Lo scarso ricambio genetico che ne consegue rischia di esporre le prossime generazioni a malattie ereditarie, rendendo la situazione ancora più critica.
Oggi il tasso di riproduzione della lince dei Balcani è così basso che probabilmente, anche se non fosse più disturbata, sarebbe destinata a sparire lo stesso nell’arco di qualche generazione. L’unica soluzione, spiega Melovski, potrebbe essere una forma di “salvataggio genetico”, favorire cioè l’accoppiamento con maschi delle popolazioni vicine come quelle dei Carpazi o del Caucaso. Ma è una possibilità complicata e costosa, che inoltre ridurrebbe in parte la specificità dell’animale. Ma a questo punto tutte le strade vanno prese in considerazione.
Politiche contraddittorie
In quindici anni di attività, il Balkan Lynx Recovery Programme è diventato uno dei progetti internazionali più proficui della regione, a cavallo tra scienza e azioni concrete di salvaguardia.
Il team, composto da organizzazioni e volontari di Nord Macedonia, Kosovo e Albania, dalla tedesca Euronatur e le fondazioni svizzere Kora e Mava, si dedica sia alla ricerca sulla biologia dell’animale che alle azioni concrete per la sua possibile conservazione, compresa la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Mentre sulle montagne proseguono le iniziative per consolidare un rapporto con allevatori, guardie forestali, operatori turistici cacciatori e chiunque viva o lavori nei boschi frequentati dalla lince, nelle città si punta sull’educazione. Come nel museo delle Scienze Naturali di Tirana, dove alla lince è stato dedicato uno spazio educativo destinato a bambini, insegnanti e famiglie che ha avuto un discreto successo.
Lo scorso dicembre un gruppo di volontari sostenuto dalla comunità albanese emigrata in Germania e Austria ha effettuato un rimboschimento sulle montagne di Munella, la più importante area di riproduzione del felino in Albania. Gli organizzatori sperano di limitare gli effetti di una doccia fredda arrivata recentemente dai piani alti della politica: il governo si è rimangiato la promessa di creare a Munella un parco nazionale, optando per una forma di protezione molto più blanda e grande meno della metà dei 50 mila ettari promessi.
Ma al di là del sostegno formale, non sono solo le istituzioni albanesi a comportarsi in maniera contraddittoria.
La Macedonia del Nord per esempio, ha dimostrato per anni una certa avversione verso le aree protette, mitigata solo dall’ultimo governo salito in carica da poco più di un anno.
Il team del Recovery Programme è stato addirittura espulso più volte, tra il 2012 e il 2017, dal parco di Mavrovo, l’area di riproduzione più importante in assoluto. L’oggetto del contendere erano gli impianti idroelettrici che il governo prevedeva di realizzare nel cuore del parco, assestando un colpo mortale all’habitat del felino.
Una “specie bandiera”
A Mavrovo è stata proprio la presenza di un animale iconico come la lince a convincere gli investitori, per lo più provenienti dell’Europa occidentale, ad accantonare infine il progetto delle dighe.
La lince dei Balcani è infatti una tipica “specie bandiera”: elusiva e affascinante, è capace di colpire l’immaginario comune, innescando un circolo virtuoso di protezione tanto delle foreste in cui vive quanto delle sue prede.
Animale simbolo della Macedonia del Nord (dove è raffigurata sulla moneta da 5 dinari), è vista di buon occhio dalla popolazione di tutti i paesi interessati, anche grazie al fatto che, a differenza di lupi e orsi, non preda mai animali d’allevamento.
Ma è anche un biglietto da visita fondamentale per uno sviluppo sostenibile di alcune tra le montagne più selvagge d’Europa, come il Bjeshkët e Nemuna tra Albania e Kosovo, il massiccio dello Sharr, un tempo patria dello sci jugoslavo e ora in piena crisi di identità, l’imponente Mavrovo. L’area ricade nel tratto balcanico della European Green Belt, l’ideale corridoio di aree verdi ad alto valore naturalistico che ricalca il tracciato dell’ex Cortina di ferro e altri confini un tempo “caldi” dell’Europa orientale.
Un secolo travagliato
La caccia intensiva e la distruzione degli habitat sono un fenomeno ormai plurisecolare. All’inizio del Novecento, però, erano presenti popolazioni isolate in zone lontanissime dall’areale di oggi come la Slovenia e la Bulgaria.
Durante il secolo breve, però, le cose cambiarono molto rapidamente, e allo scoppio della Seconda guerra mondiale il felino era già a un passo dalla scomparsa, con un numero stimato compreso addirittura tra quindici e venti individui adulti.
Nel dopoguerra le cose cambiarono: la Jugoslavia ne vietò la caccia nel 1949, e istituì delle riserve naturali apposite per la sua conservazione. Vent’anni dopo, anche l’Albania la dichiarò protetta. La popolazione poté così tornare a crescere fino agli anni Ottanta, arrivando a sfiorare i trecento esemplari, un numero che gli studiosi ritengono abbastanza sicuro per la sopravvivenza dell’animale.
Ma con i turbolenti anni Novanta la situazione precipitò. Tra la dissoluzione della Jugoslavia, la guerra in Kosovo e il collasso dello Stato albanese, il disboscamento selvaggio e il bracconaggio tornarono a prosperare indisturbati. Per la lince iniziava una nuova fase di declino, da cui non si è ancora risollevata.
Il destino di uno degli animali simbolo dei Balcani non è ancora segnato, se tutti faranno la loro parte – studiosi, politici, stakeholders e società civile. Ma il tempo per scrivere un finale diverso, denuncia l’ultimo report del Recovery Programme, sta per finire.