L’anno della Jugosfera
In passato c’era la Jugoslavia, ora sembra esserci la Jugosfera. Lo pensano in molti e quest’ultimo è diventato un vero tormentone del 2009. In attesa dell’integrazione nell’Unione europea le relazioni regionali rappresentano un primo passo verso l’agognata normalità
Il 2009 balcanico verrà probabilmente ricordato – fra le altre cose – per la scoperta della "jugosfera". Sarà per via dell’innegabile autorità di cui godono le pagine su cui è comparso questo neologismo – quelle dell’Economist – sarà per la sua efficacia immediata, ma a partire dalla scorsa estate il termine ha avuto grande fortuna.
Nella regione questa nuova definizione ha incuriosito, stimolato riflessioni e aperto dibattiti sulla relativa validità e sui relativi significati. Il termine è entrato di diritto nel vocabolario specialistico ma soprattutto ha conosciuto una grande diffusione mediatica, in particolare sul web, spiccando nelle pagine dei forum e comparendo perfino tra le voci della Wikipedia croata.
"La Jugoslavia non esiste più da tempo, al suo posto sta emergendo una Jugosfera". Con queste parole Tim Judah, esperto e storico corrispondente dal sud-est Europa del magazine londinese, ha sanzionato la nuova evoluzione del panorama balcanico a quasi vent’anni dallo scoppio delle ostilità nella regione. Dopo anni di reportage relativi a scontri e divisioni, il giornalista inglese ha voluto portare alla luce il silenzioso e graduale processo di reintegrazione che sembra essersi da qualche tempo avviato.
Il punto di partenza della riflessione di Judah è naturalmente quello economico. Egli rileva come nell’area si stia sempre più ristrutturando un mercato comune, considerato come unico in primo luogo dagli attori economici che vi agiscono. Le pagine dell’articolo si spingono tuttavia anche oltre, rivalutando le comunanze di carattere sociale e culturale delle popolazioni della regione, sottolineando quanto siano ancora forti le corrispondenze della vita quotidiana che vanno dalla lingua, alla gastronomia, sino alla musica.
Qualcuno ha subito messo in evidenza come la Jugosfera non rappresenti nulla di nuovo e corrisponda sostanzialmente a ciò che sui quotidiani locali viene chiamato Regija, cioè "regione". Tuttavia parlare di "nascita della Jugosfera" ha una forte connotazione semantica di tipo politico, significa soprattutto interrogarsi sul futuro dell’area, cercare di capire quale sia la direzione da intraprendere nel processo di costruzione di un nuovo sistema di rapporti.
"Jugosfera: progetto di futuro o utopia" è stato non a caso il titolo del primo meeting tra i dirigenti economici e manager provenienti dalle repubbliche post-jugoslave riunitisi a Belgrado lo scorso 30 novembre. A tale occasione di confronto e discussione hanno partecipato l’Associazione serba dei manager, Croma-Associazione croata dei manager e la corrispettiva slovena.
I lavori si sono svolti all’insegna della convinzione che sia giunto il tempo per una nuova cooperazione. Tutti i protagonisti hanno riconosciuto la necessità di eliminare gli ostacoli ideologici che ancora pregiudicano la ristrutturazione delle storiche connessioni economiche nell’area. La crisi potrebbe rappresentare un’occasione forzata per recuperare una dimensione regionale utile a rilanciare gli investimenti, ormai in netto calo. Ciò permetterebbe soprattutto di valorizzare i punti di forza tradizionali del mercato regionale, come la facilità di comunicazione e di riconoscibilità dei marchi.
In realtà, cosa s’intenda compiutamente per Jugosfera non è del tutto chiaro e tale ambiguità ha dato spazio negli ultimi mesi a reazioni molto diverse. L’appellativo ad esempio infastidisce chi ritrova nel prefisso "jugo" troppe implicazioni di un passato superato a caro prezzo. Lo stesso Judah ha dichiarato di aver riscontrato una certa antipatia verso il termine, specialmente da parte croata, che tuttavia non andrebbe letta come una negazione della realtà descritta ma come mera opposizione all’utilizzo di quell’appellativo.
Dall’altra l’efficacia di tale definizione ha animato coloro che hanno sempre letto i "Balcani occidentali" – altro epiteto utilizzato per la regione – più alla luce delle convergenze che delle differenze. Ciò ha portato a trascendere l’aspetto più strettamente economico della discussione, rivolgendo l’attenzione agli aspetti socioculturali implicati dalla definizione. Al di là dei fenomeni di nostalgija, sono stati infatti in molti in questi anni a cercare di ridare legittimità al patrimonio culturale comune degli slavi del sud. Testimonianza diretta ne è il successo di iniziative come il progetto Leksikon Yu mitologije, un tentativo di recuperare alcuni dei tratti più caratteristici della cultura popolare "jugoslava" culminato con la pubblicazione di un "dizionario" che ha conosciuto grande diffusione.
E’ tuttavia il versante politico della Jugosfera che implica le maggiori contraddizioni. Ai vertici si sono riscontrati segnali molto importanti, sembra infatti prevalere sempre più una disponibilità al dialogo ed alla collaborazione, anche per via della comune condizione di esclusi dall’Europa. Sono state queste stesse evoluzioni a spingere Judah ad esprimere un giudizio ottimista. Tuttavia esistono ancora grossi ostacoli, lo ricordano le difficoltà tra Zagabria e Lubiana, risolte dopo estenuanti trattative, i problemi nei rapporti tra Serbia e Montenegro, ma soprattutto l’ancora delicata situazione in Bosnia Erzegovina e Kosovo.
Emil Tedeschi, leader di Atlantic grupe, alla conferenza di Belgrado sulla cooperazione economica ha rimarcato con forza l’importanza di una maggiore stabilità politica: "Non esistono problemi operativi per gli affari nella regione. Ma non si possono chiudere gli occhi di fronte ai rischi politici e non si può parlare di collaborazione se nella regione non regnano pace e stabilità". In una seguente intervista a Politika ha quindi chiarito che il suo era un diretto riferimento alla Bosnia Erzegovina, considerata come il maggiore problema in seno alla "Jugosfera".
I problemi segnalati riguardano anche le differenti capacità e possibilità di penetrazione economica nell’area. Un commento su Slobodna Dalmacija ha puntualizzato come in realtà "non esista la Jugosfera, ma esistono una slosfera e una crosfera dovuta alla competizione tra questi due paesi tra gli stati della vecchia Jugoslavia". Tale squilibrio si è imposto come spinosa questione anche in occasione della conferenza belgradese. I serbi hanno contestato il fatto che le proprie compagnie non trovano in Croazia un clima adeguato, come quello di cui godono gli investimenti croati in Serbia. Emil Tedeschi e Esad Čolaković – quest’ultimo a capo dell’associazione di imprenditori Croma – hanno mostrato una certa comprensione verso tali osservazioni e hanno voluto riaffermare che "gli investimenti serbi sono benvenuti in Croazia", ricordando come la reciprocità degli scambi dalle due parti della frontiera sia di primaria importanza.
La questione fondamentale di questi mesi rimane se la regione debba guardare con maggiore impegno all’Europa o alla Jugosfera per il proprio futuro economico e non solo. Alcuni sostengono sia necessario affrontare un percorso che vada "dalla cooperazione regionale alla membership nell’Ue" che quindi punti a rafforzare la dimensione regionale allo scopo di avere delle possibilità di manovra all’interno del mercato comune europeo. L’ingresso nell’Unione, inoltre, non muterà la geografia e la condizione di stretta vicinanza tra i paesi dell’area, la maturazione dei rapporti ad ogni livello rimane quindi di fondamentale importanza.
Qualcuno si è tuttavia spinto oltre. In una riflessione comparsa su Danas il filosofo Neven Cvjetićanin ha parlato della "Jugosfera" presentandola quasi come un’alternativa all’ingresso in Europa e considerando il contesto locale primario per la soluzione dei problemi dell’area. Lo studioso ha ricordato che le prospettive di allargamento sembrano essere lontane e tutt’altro che certe ed ha maliziosamente suggerito che lo stesso articolo dell’Economist potrebbe essere un sottile invito a volgere i propri sforzi soprattutto verso la realtà regionale.
Milo Đukanović, premier montenegrino, nel corso di una recente visita a Bruxelles ha auspicato che il 2010-2020 diventi la decade dei Balcani, con l’ingresso di tutti i paesi dell’area nell’Unione europea. Tuttavia secondo molti potrà realmente essere la decade dei Balcani soprattutto se il processo di reintegrazione nella regione progredirà con maggior slancio e continuità.