Il Covid-19 e la salute di migranti e rifugiati

Con l’attenzione focalizzata sulla pandemia, rifugiati e migranti senza documenti sono scomparsi dai radar. Ma l’emergenza che li ha cancellati dall’agenda politica li ha colpiti in modo sproporzionato: scarso, se non inesistente accesso alle cure e rallentamenti delle procedure di richiesta di asilo. Un’analisi basata sui dati di un’inchiesta dell’OMS

25/01/2021, Emanuela Barbiroglio -

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 © Alexandros Michailidis/Shutterstock

(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da VoxEurop  nell’ambito dello European Data Journalism Network)

"La struttura dove stavo accoglieva soltanto uomini maggiorenni, a causa del Covid non era stato possibile ottenere dal ministero un permesso per i minorenni. Sempre a causa del Covid, erano stati sospesi anche gli interventi dei volontari nei centri di prima accoglienza", racconta Franca, un’infermiera italiana che è stata richiamata con urgenza al lavoro dopo la dichiarazione dell’emergenza sanitaria lo scorso marzo.

All’epoca Franca viveva e lavorava in Belgio: ha dovuto lasciare tutto e tornare nel suo paese. A metà agosto, ha deciso di andare a fare volontariato in un centro Sprar (Sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo) vicino a Trapani, in Sicilia. "Le condizioni igieniche erano molto scarse. Gli ospiti della struttura erano stati smistati in varie casette e dormivano in tre o quattro in una sola stanza, senza quasi nessuna protezione contro il Covid. In effetti è difficile far comprendere come funziona una malattia infettiva agli italiani, capisco che sia ancora più difficile farlo comprendere a ragazzi stranieri". Franca e i suoi compagni volontari non si sono trovati di fronte a emergenze sanitarie gravi e un medico era presente per ogni evenienza. Per molti ospiti del centro, racconta, "le malattie sono ben altra cosa: sono tali solo quando si manifestano, altrimenti non le considerano una vera malattia".

Negli scorsi mesi trentamila rifugiati e migranti hanno partecipato alla prima inchiesta lanciata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per analizzare l’impatto della pandemia sulla loro salute fisica e mentale. Lo studio, pubblicato in occasione della giornata internazionale dei migranti, ha finalmente fatto luce su una parte della popolazione mondiale la cui salute è stata trascurata durante la crisi.

Che ne è stato dei migranti?

Cosa è successo alle persone che sono arrivate in Europa ai tempi del Covid-19? Per cominciare, il loro numero è diminuito.

Ventimiglia rimane il confine italiano attraversato con più frequenza dai migranti. "Qui abbiamo un alto tasso di ricambio e, dopo una breve pausa, i numeri sono nuovamente aumentati in estate", dice Jacopo Colomba, coordinatore di WeWorld Onlus . "Dodicimila persone sono state respinte alla frontiera proprio nei primi nove mesi del 2020. Va detto che i trafficanti di essere umani nel primo lockdown hanno chiesto più soldi per aiutare le persone ad attraversare il confine, anche 500 euro per percorrere 40 chilometri".

La pandemia ha poi cambiato le condizioni di vita dei migranti, costringendo più persone a vivere all’aperto. "Abbiamo avuto due casi di Covid-19 in aprile. Questo e l’emergenza sociale sono stati i motivi della chiusura del nostro unico campo. Non avevamo un piano adeguato per un’emergenza e la pandemia ha fatto degenerare la situazione", racconta Colomba.

Lungo altri confini europei la situazione è ancora più difficile al punto che, a settembre, The Good Lobby, gli avvocati pro bono di De Brauw Blackstone Westbroek e WeMove Europe hanno presentato una denuncia alla Commissione europea affinché la Grecia sia chiamata in causa per aver violato le leggi sull’asilo. "Da maggio, le richieste di asilo sono riprese. Ma i respingimenti alle frontiere continuano: le condizioni di detenzione sono ancora orribili e le procedure europee continuano a essere violate", afferma Giulio Carini, attivista di WeMove Europe. "Per esempio ai richiedenti asilo è chiesto di fare una chiamata via Skype per far avanzare la procedura della loro richiesta, ma questo è particolarmente difficile da organizzare al momento".

I problemi relativi all’inclusione sociale si sono aggravati. Ad esempio, in Bulgaria e in Francia molti migranti e rifugiati non riuscivano più a trovare un lavoro o a prendere un autobus. Mariana Stoyanova, responsabile del programma per i rifugiati e gli immigrati della Croce Rossa bulgara, ricorda: "Durante il primo lockdown tutto è stato chiuso, compresi i parchi". "L’impatto è stato particolarmente forte per i richiedenti asilo perché all’interno delle sei strutture di accoglienza bulgare non erano ammessi visitatori, le regole erano molto severe", dice. "Certo, le misure sono state efficaci perché nessuno è stato contagiato nelle strutture di accoglienza. Tuttavia, nelle strutture di detenzione ci sono stati circa 70 casi e diversi ricoveri, soprattutto legati a persone condotte lì direttamente dai posti di frontiera". 

In Francia la violenza della polizia nei confronti dei migranti è un problema di lungo corso. Pierre Roques, il coordinatore sul campo di Utopia 56 a Calais, dice che "gli attacchi t[]istici sono usati come scusa. Recentemente è stato aperto un centro di accoglienza temporanea, ma la maggior parte delle persone vive ancora all’aperto. Questo rende difficile identificare i casi di Covid-19 – e le persone migranti non sembrano particolarmente spaventate dal virus. Alla luce di quello che hanno vissuto e vivono, come non capirli?".

Secondo Ellen Ackroyd, una delle due responsabili sul campo di Help Refugees Calais, "le mascherine sono distribuite in modo non uniforme. È un problema grave, perché le persone senza mascherina non possono salire sugli autobus o entrare nei negozi. Migranti e rifugiati sono sicuramente consapevoli dei rischi e sono, come tutti durante questa pandemia, molto attenti all’igiene. Tuttavia, a differenza della maggior parte delle persone, la loro possibilità di accedere a servizi igienici sicuri è molto limitata – un diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito dalle autorità. Anche questa è una fonte regolare di malumore: ci sono persone che non si fanno la doccia da mesi!”.

Almeno il 50 per cento degli intervistati allo studio dell’Oms ritiene di aver subìto un impatto a causa della pandemia in termini di lavoro, sicurezza e situazione finanziaria. Secondo il sondaggio, alcune forme di discriminazione sono state particolarmente sentite tra le fasce d’età più giovani (20-29 anni), dove almeno il 30 per cento degli intervistati ha ritenuto di essere stato trattato meno bene a causa della sua origine.

Peggioramento della salute

Nel corso dello scorso anno la salute di molte persone migranti e rifugiate è peggiorata. "Molti hanno malattie croniche o problemi psicologici, e vivono tutti insieme in cattive condizioni, senza farmaci… Tutto questo mi preoccupa molto", dice Sanne van der Kooij, una ginecologa olandese del gruppo SOSMoria . "Con la seconda ondata di Covid-19 l’inverno è ancora più problematico. I problemi maggiori per i migranti derivano dalle misure adottate per contenere la pandemia: non possono uscire dal campo, quindi sono isolati e spaventati".

La maggior parte dei rifugiati e dei migranti che hanno partecipato al sondaggio dell’Oms hanno preso precauzioni per evitare il contagio. Quando non l’hanno fatto, è stato perché non hanno potuto – non perché non lo abbiano voluto.

Fare il conteggio dei casi e dei decessi tra i migranti, tuttavia, è complicato. Tutti i volontari e gli esperti intervistati – in Bulgaria, Francia, Grecia e Italia – sono d’accordo: le condizioni di salute sono spesso così gravi che pochi si preoccupano del Covid-19 e, se lo fanno, non c’è praticamente modo di testare le persone che si spostano nel nostro continente. Allo stesso tempo gli studi dimostrano che le persone vulnerabili hanno maggiori probabilità di ammalarsi: questo vale anche per i migranti, soprattutto quelli che non hanno documenti.

L’indagine dell’Oms mostra che i principali motivi per i quali i migranti non cercano assistenza medica sono di natura finanziaria, la paura di essere espulsi, la mancanza di assistenza sanitaria o il fatto che non vi hanno diritto. Un migrante su sei senza documenti non richiede cure mediche per i sintomi del Covid-19.

"I migranti senza di documenti hanno molte difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria", conferma Michele LeVoy, direttore della Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti privi di documenti (PICUM ). "Dato che l’assistenza sanitaria è regolamentata a livello nazionale, spetta agli stati membri dell’Ue decidere se hanno diritto all’assistenza o meno". Questo significa 27 sistemi diversi in Europa. Anche se le leggi consentono ai migranti di accedere a un certo livello di assistenza, in alcuni paesi, come in Germania, l’amministrazione sanitaria è obbligata a segnalare le persone prive di documenti alle autorità competenti per l’immigrazione. In tutta Europa, molte persone senza documenti hanno paura di andare dal medico o in ospedale perché temono di essere denunciate".

È impossibile che interi gruppi di persone rimangano invisibili: sono piuttosto i governi che hanno cercato di non vederli, finché non è diventato impossibile fingere che non ci fossero. Ecco perché pochissimi paesi – tra cui Irlanda, Portogallo e Italia – hanno introdotto misure speciali che hanno permesso ai migranti privi di documenti di accedere in modo sicuro alle cure mediche durante la pandemia.

"L’esperienza di quest’anno ha dimostrato che la pandemia ha esacerbato le vulnerabilità preesistenti di certi gruppi all’interno della popolazione, rendendo ancora più urgente la necessità di affrontare i fattori che li rendono vulnerabili", conclude LeVoy. "Se si vuole gestire bene la salute pubblica, non si deve escludere nessuno. La salute pubblica non conosce confini e i virus non hanno passaporti".

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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