Disoccupazione e ineguaglianze: la pandemia penalizza i più giovani
Alti tassi di disoccupazione, ineguaglianze sempre più evidenti e digital divide. Nei Balcani la crisi rischia di lasciare indietro soprattutto i giovani e provocare una nuova ondata di migrazioni, ma potrebbe anche offrire nuove opportunità per rilanciare le economie
Quella dell’emigrazione è una piaga che affligge i Balcani occidentali ormai da decenni, e insieme a tassi di natalità sempre più bassi è la causa principale del loro spopolamento. Da quarant’anni a questa parte, il saldo netto tra immigrati ed emigrati è infatti negativo in quasi tutti i paesi dei Balcani; unica eccezione è la Serbia, dove negli ultimi dieci anni si è registrato un modesto saldo positivo solo grazie all’immigrazione proveniente da altri paesi dell’area balcanica . Nel 2016, ben 3,4 milioni di cittadini balcanici vivevano in paesi OCSE, circa un quinto dell’intera popolazione della regione.
Sono i giovani (in particolar modo quelli con un livello di educazione più elevato) il segmento demografico più motivato a cercare fortuna altrove, principalmente per fuggire dalla mancanza di opportunità. Quando viene chiesto loro perché intendano lasciare il proprio paese, la maggior parte dei giovani balcanici indica infatti come principale motivazione proprio le condizioni economico-sociali insoddisfacenti . Ma con l’arrivo della pandemia da Covid-19 e la crisi che ne è conseguita questa situazione già difficile rischia di aggravarsi ulteriormente, e i giovani, esposti a maggiore precarietà economica rispetto al resto della popolazione, sono tra quelli più esposti.
Giovani e disoccupati
Il tasso di disoccupazione giovanile nei paesi dei Balcani occidentali era già alto prima della pandemia, soprattutto se messo in relazione a quello degli altri paesi europei. I dati raccolti dalla Piattaforma per l’Occupazione e gli Affari Sociali del Regional Cooperation Council e analizzati in un report dal titolo “Study on Youth Employment in the Western Balkans ” mostrano però come dal 2017 in poi si stesse registrando un trend positivo, fermato dallo scoppio della pandemia. Prima del 2020 tutti i paesi dell’area balcanica stavano registrando una diminuzione dei tassi di disoccupazione giovanile (ma anche di quello generale) che nel giro di tre anni aveva portato a un calo medio di circa 7 punti percentuali.
L’avvento del Covid-19 e la chiusura delle economie che ne è conseguita ha fermato questo processo, in particolare nei paesi con la disoccupazione giovanile più alta che tuttavia stavano facendo registrare un trend ancor più positivo rispetto agli altri. Il paese più colpito è stato senza dubbio il Montenegro, dove la crisi ha messo in ginocchio il settore turistico (che genera un terzo del PIL nazionale) causando un aumento del tasso di giovani disoccupati dal 24,3% al 36% tra il 2019 e il 2020. In Albania e Serbia, dove invece la disoccupazione giovanile è leggermente inferiore alla media dell’area, la crisi finora non sembra aver influito particolarmente sul trend positivo degli ultimi anni, anche se lo ha leggermente rallentato.
Guardando al singolo anno 2020, si nota che in quasi tutti i paesi la crisi ha causato un aumento della disoccupazione giovanile verso la fine dell’anno. In Montenegro la disoccupazione giovanile ha toccato un picco del 46,5% nel quarto trimestre del 2020 rispetto al 35,8% del trimestre precedente. In tutti gli altri paesi si è registrato un aumento tra i 3 e i 6 punti percentuali nello stesso periodo, anche se il tasso di disoccupazione è rimasto sotto il 40%. Al contrario, nell’Unione Europea la percentuale di giovani disoccupati è mediamente diminuita verso la fine dell’anno.
Le misure di attenuazione della crisi economica messe in atto dai governi all’inizio della pandemia sembrano aver funzionato solo nel breve termine: anche se in alcuni paesi si era vista una leggera ripresa nel terzo trimestre del 2020 in tutta la regione, tra febbraio e dicembre, si è registrato un aumento medio della disoccupazione giovanile del 30%.
Cosa non funziona(va)
Come in tutto il mondo, la crisi economica ha causato effetti negativi tra i più disparati. Ma i Balcani occidentali, che hanno economie decisamente più fragili rispetto ai vicini europei, hanno accusato il colpo più di altri. Le chiusure hanno causato un forte aumento del tasso di disoccupazione e messo a repentaglio la creazione di nuovi posti di lavoro. Ma perché l’impatto sui giovani è stato così grave?
I giovani facevano già mediamente più fatica a trovare un impiego rispetto al resto della popolazione. Lavorano soprattutto in determinati settori economici, spesso assunti per lavori temporanei con contratti precari, quindi più facilmente “scaricabili” in momenti di difficoltà. In Montenegro, ad esempio, più di tre quarti dei giovani occupati ha un contratto temporaneo: un numero altissimo, che spiega in parte il forte impatto avuto dalla pandemia sul mercato del lavoro giovanile.
Già prima della crisi, i giovani balcanici con un basso livello di educazione erano a fortissimo rischio disoccupazione. Nel 2019, il loro tasso di occupazione era infatti inferiore al 10% in tutti i paesi dell’area balcanica, contro il 18,5% della media dei paesi Ue. Lavorava invece oltre il 40% di chi aveva ottenuto un diploma di studio di alto livello (la media Ue è del 57%), con un picco del 60% in Montenegro.
La pandemia non ha fatto altro che aggravare questa situazione, acuendo le ineguaglianze tra i più e i meno istruiti: la digitalizzazione del mondo del lavoro ha favorito i primi e penalizzato i secondi. Chi riesce a garantirsi un’istruzione adeguata, tra l’altro, in molti casi sceglie di emigrare – altra tendenza che rischia di acuirsi con la crisi economica.
La crisi si è fatta sentire anche sul sistema educativo stesso, impedendo a tantissimi giovani di frequentare la scuola. In Albania, il governo stima che tra il 2019 e il 2020 all’incirca 10.000 ragazzi abbiano saltato percorsi di istruzione a diversi livelli. Ciò è stato in parte dovuto al digital divide, che ha permesso di seguire le lezioni attraverso la didattica a distanza solo ai pochi che ne hanno avuto la possibilità. Un recente rapporto dell’OCSE evidenzia come all’inizio della pandemia i due terzi degli studenti balcanici di quindici anni non avessero a disposizione una piattaforma di insegnamento adeguata e uno strumento digitale per seguire le lezioni.
Ma tra gli stessi giovani, c’è una parte che ha subito l’impatto della crisi in maniera ancora più drammatica. Nel mercato del lavoro giovanile dei Balcani occidentali esiste un preoccupante divario di genere: nel 2020, lo scarto tra il livello di occupazione femminile e quella maschile ammontava in media a circa 10 punti percentuali, contro il 4,5% dell’Unione Europea. In generale, nonostante le donne rappresentino il 40% della forza lavoro nei Balcani, occupano solo il 14% delle posizioni di vertice. Questo divario è causato da una serie di motivi, tra i quali le frequenti discriminazioni di genere sul posto di lavoro e una grave carenza di strutture per l’infanzia che impedisce alle donne di entrare o tornare nel mondo del lavoro. Anche in questo caso, secondo l’OCSE la crisi ha peggiorato tutte queste dinamiche, penalizzando le giovani donne ancor di più rispetto agli altri.
Solo crisi o nuove opportunità?
Ciononostante, secondo uno studio dell’European Training Foundation , i paesi dei Balcani occidentali potrebbero sfruttare il momento di crisi per accelerare le trasformazioni necessarie a riprendere la strada del rafforzamento delle proprie economie e investire sui giovani. Obiettivi da raggiungere grazie anche ai fondi stanziati dagli stessi paesi e dall’Unione Europea : i governi dell’area, secondo gli estensori dello studio, tra le altre cose potrebbero puntare ad accelerare la digitalizzazione del mondo dell’istruzione, finanziare programmi per garantire l’accesso all’educazione e al mondo del lavoro, e promuovere nuovi programmi di scambio per gli studenti.
Questo articolo è stato pubblicato con il sostegno di Central European Initiative – Executive Secretariat