Aleksandar Hemon: il continuo fallimento nel diventare Europa
Uno degli scrittori e pensatori più di successo dei nostri tempi parla della negazione del genocidio, dell’arroganza della società occidentale e dell’essere sfollati per tutta la vita
(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 16 febbraio 2020)
Aleksandar Hemon si trovava a Chicago quando iniziò la guerra in Bosnia. Divenne immediatamente uno sfollato, in quanto non poteva tornare a casa a Sarajevo. Tuttavia, cominciò a fare fortuna in America. Nei libri ”Nowhere Man”, ”Spie di Dio”, ”Il progetto Lazarus” e nella sua ultima opera ”My parents: An Introduction / This Does Not Belong to You” l’autore si concentra sul fenomeno dello sfollamento, su Sarajevo e sulla questione dell’identità.
Hemon ha vinto alcuni dei premi più prestigiosi della letteratura e dell’arte incluso il ”MacArthur Grant”, anche comunemente conosciuto come la borsa di studio ”Genius”, una ”Guggenheim Fellowship” ed è stato finalista sia per il ”National Book Critics Circle Award” sia per il ”National Book Award”.
Ultimamente, l’attività di Hemon si è estesa alla televisione e al lavoro cinematografico: ha scritto degli episodi della serie televisiva ”Sense8” ed ha partecipato alla sceneggiatura del film ”Matrix 4” con la regista Lana Wachowski e lo scrittore di fantascienza David Mitchell. ”Matrix 4” dovrebbe uscire nelle sale nel 2021.
Hemon è inoltre saggista e opinionista per i giornali New Yorker, Esquire, The Paris Review, The New York Times e BH Dani di Sarajevo.
La sua schiettezza sulle questioni sociali e politiche – per cui è famoso – emerge spesso su Twitter mentre si immerge a capofitto nel commentare l’attualità. Scrive regolarmente sulle questioni dei Balcani, sulla crescente islamofobia nell’Occidente, sulla negazione del genocidio e sullo situazione sia della Bosnia Erzegovina che dell’Europa.
Come molti altri intellettuali che si occupano di Balcani, Hemon ha recentemente reagito contro l’accettazione sociale di alcuni personaggi quali Peter Handke, premio Nobel per la letteratura e apologeta di Slobodan Milošević e Jessica Stern, l’autrice di un recente libro intitolato ”My War Criminal: Personal Encounters with an Architect of genocide” che parla dei suoi incontri con Radovan Karadžić, condannato per crimini di guerra; Hemon si è definito ”sfinito” dal suo lavoro.
Hemon è stato particolarmente duro con i media come il New York Times che accusa di parlare di Stern e Handke acriticamente nel tentativo di "bilanciare", senza prendere una posizione netta contro la negazione del genocidio di Hadke e contro il lavoro di Stern che intende umanizzare un uomo condannato per genocidio, in particolare a Srebrenica.
K2.0 ha discusso con Hemon sull’ascesa della negazione del genocidio, la relazione tra i Balcani e l’Europa, il cambiamento culturale nell’Occidente, l’essere sfollato e sui suoi lavori.
Dieci anni fa, la maggior parte delle persone non avrebbe potuto credere che qualcuno che negava il genocidio di Srebenica potesse ricevere il premio Nobel per la letteratura. Cosa è successo negli ultimi dieci anni in Occidente che ha reso possibile un cambiamento culturale così fondamentale?
Penso che l’islamofobia estrema sia diventata la tendenza dominante nell’Europa occidentale e nel Nord America e con essa la convinzione che i musulmani siano profondamente lontani dalla sfera dei valori dell’Occidente, tanto che persino i peggiori dei loro assassini sono più vicini a ”chi siamo noi in Occidente” piuttosto che alle loro vittime musulmane.
Per molti intellettuali e politici occidentali, Milošević e Karadžić potrebbero aver un po’ esagerato con la faccenda del genocidio, ma se lo hanno fatto, è stato a causa della comprensibile paura che il loro popolo potesse essere sopraffatto dagli islamisti, che è ciò che i musulmani tendono a diventare se lasciati liberi. Questa per esempio è la posizione di Jessica Stern.
Per la commissione del premio Nobel, un autore ed un pensatore come Peter Handke è molto più vicino all’importante tradizione degli intellettuali europei e dell’Illuminismo di alcuni musulmani dei Balcani che, secondo loro, non hanno portato alcun contributo a quella grande tradizione e che ora stanno marcendo anonimi in remote fossi comuni.
Milošević non avrebbe dovuto esagerare, ovviamente, ma allo stesso tempo la commissione del premio Nobel, Handke e Stern possono capire che un europeo che teme l’invasione musulmana possa perdere il controllo e sfociare nel genocidio. Sia Handke che Stern delineano i loro criminali di guerra come leader ”complessi” che hanno dovuto prendere una decisione difficile in una brutta situazione, ma cosa ha reso la situazione ”brutta” è stato in primo luogo la crescente presenza dei musulmani che hanno continuamente giocato la carta dell’essere vittime nonostante avessero condannato loro stessi perché numerosi.
Questo implica che finché ci sono musulmani intorno ci sarà la possibilità di un genocidio. Il modo per evitare un genocidio è eliminare adeguatamente i musulmani – prevenzione del genocidio attraverso la soluzione finale.
Molti europei considerano i Balcani ”semi-europei’’ o forse per niente europei, mentre molte persone nei Balcani sembrano voler disperatamente essere parte dell’Europa e si considerano europei. Questa tensione sembra essere all’apice della relazione tra l’Europa e i Balcani. Come si può risolvere?
Sono dell’idea che le guerre nei Balcani furono essenziali per concettualizzare la nuova Europa, in quanto rappresentarono un utile controesempio per l’Unione. In questa cornice, i Balcani sono ciò che l’Europa non è e che non vorrà mai essere: i Balcani sono il cancro e l’Europa è il tessuto sano.
L’Unione europea riusciva a superare quello che i Balcani non avrebbero mai potuto perché sempre insufficientemente europei, non per ultimo per la loro eterogeneità etnica in generale ed in particolare per la presenza dei musulmani.
Tuttavia, allo stesso tempo, i Balcani apparivano sufficientemente simili all’Europa da permettere delle proiezioni che sono divenute più chiare quando l’Europa ha cominciato ad affrontare ”la questione musulmana”, sia da un punto di vista culturale che politico. In altre parole, l’Europa ha avuto la pretesa di andare oltre i confini del nazionalismo ma con il dilagare del populismo e la conseguente crescita dell’islamofobia, il nazionalismo nei Balcani, una volta espressione di arretratezza selvaggia, improvvisamente ha, retroattivamente, preso senso nelle capitali dell’Europa occidentale.
Ovviamente, quei popoli dei Balcani, potrebbero aver esagerato con il genocidio e tutto il resto ma stavano affrontando le stesse problematiche dei veri europei. i Balcani sono così vicini a diventare parte dell’Europa nel fallire all’infinito nel tentativo di diventare Europa.
Mi viene in mente Peter Handke che definisce la Serbia come l’Europa più pura. Tuttavia, ovviamente, egli vive nei sobborghi di Parigi.
Credo che il modo per risolvere questa tensione sia di accettare da un punto di vista intellettuale, politico e culturale che i Balcani, inclusi i suoi musulmani, sono Europa, lo sono sempre stati e lo saranno sempre e che le idee fantasiose di una superiorità culturale e politica della cultura dell’Europa occidentale sono profondamente radicate nel colonialismo e nel razzismo.
Ma non penso che l’Europa ne sia capace. È legata alle sue fantasie di grandezza tanto quanto lo è l’America.
Sembra che l’Occidente guardi al disfacimento della Jugoslavia e dica: questo non potrà mai accadere a noi. In passato hai detto: immaginare l’inimmaginabile non è ovviamente possibile ma è l’inimmaginabile che cambia il mondo, non l’immaginabile’’. L’inimmaginabile sta accadendo in Europa ora?
Ciò che sta succedendo adesso è ciò che è sempre stato possibile ma che le persone hanno rifiutato di immaginare a causa di pigrizia intellettuale e/o pura paura. Pensare che quel buco di culo dei Balcani possa cadere a pezzi mentre Gran Bretagna o Stati Uniti esisteranno per sempre è sintomo di un terribile complesso di superiorità, risultato di un passato imperialista.
In America c’è ad esempio una certa arroganza della società, indistinguibile dalla deludente credenza nel trascendente, che sia l’eterna essenza americana a rendere immuni da un tipo di fallimento alla jugoslava. Bene, Trump ha fatto a pezzi quella fantasia.
Ricordo che diversi americani, dopo le elezioni, credevano che il sistema "checks and balances" avrebbe evitato la devastazione trumpiana. Ogni singolo livello del sistema "checks and balances" ha fallito almeno una volta da quel momento. Attualmente, il Senato ha dato la possibilità a Trump di fare quello che vuole senza pagarne alcuna conseguenza.
La possibilità di un conflitto esteso, probabilmente anche armato, che potrebbe portare a una "de facto" o persino "de jure" disintegrazione dell’America è così spaventoso che poche persone osano immaginarlo, per non parlare di ciò che potrebbe accadere oltre i confini.
Non molto tempo fa, era semplicemente inimmaginabile che la Gran Bretagna potesse separarsi dall’Europa o che diversi paesi europei potessero imprigionare i migranti in campi di detenzione dove sono privati di cure basilari e del rispetto dei diritti fondamentali.
Gran parte del tuo lavoro si concentra sulla tua esperienza personale come sfollato. Molte persone in questa regione hanno esperienze simili in quanto loro o le loro famiglie o entrambi hanno dovuto spostarsi a causa della guerra o a causa di ragioni economiche. In che modo il fenomeno dello sfollamento influenza le società balcaniche culturalmente e politicamente? Le distrugge per sempre oppure possono uscirne arricchite?
Non penso che avere circa un quarto della popolazione che vi era prima della guerra sfollata possa in qualche modo aiutare la Bosnia. Per quello che so, vi è un costante declino della popolazione in Bosnia, persone, per lo più giovani, che continuano a spostarsi sono dirette altrove.
Credo che una popolazione stabile sia un prerequisito per una società ed uno stato che la contenga. È altresì importante capire che lo sfollamento è sempre una conseguenza. Ciò che ha distrutto la società bosniaca fu la guerra, che ha causato lo spostamento delle persone – che era sicuramente il primo obiettivo della guerra.
Ma ora che le persone si sono spostate, è difficile ricostruire una società. Detto ciò, continuo a sperare che la diaspora abbia il potere ed i modi per cambiare le conseguenze sia in patria che nella terra ospitante. Credo inoltre che la migrazione genera narrazioni, perché il movimento attraverso lo spazio implica che l’esperienza e la conoscenza non solo viaggiano ma sono generate, come è avvenuto, lungo il cammino.
Ti consideri ancora uno sfollato? Oppure ti senti stabilito in un posto? E ti consideri come proveniente da una società estinta? Oppure esiste ancora da qualche parte?
Una volta che diventi sfollato, sei sempre sfollato. Essere uno sfollato significa che non c’è nessun posto dove tornare. Essere sfollati cambia la maniera in cui si concepisce ogni cosa: se stesso, la lingua, casa, il mondo, la giustizia e questo cambiamento nel pensare è irreversibile. Mi viene spesso chiesto se mi domando cosa sarebbe successo se fossi stato a Sarajevo durante l’assedio e la guerra. Lo faccio sempre, anche se so che non ha senso.
Immaginare vite alternative è sempre una sconfitta perché sarebbero potute esserci così tante alternative. Il punto è che non potrei mai tornare allo spazio e al tempo dove queste alternative erano effettivamente disponibili per me – lo spostamento me le ha precluse.
Inoltre, essere sfollati non riguarda solo un momento – continua a svolgersi e non in modo prevedibile e progressivo. Mi sento molto più sfollato oggi, nell’America di Trump che 10, 15 anni fa anche se allora non ero vicino a nessun posto.
Circa 15 anni fa, uno dei miei amici più stretti di Sarajevo stava per sposarsi a Londra, Gran Bretagna, così sono andato al matrimonio. A parte alcuni del posto, la maggior parte degli altri invitati veniva da Sarajevo, circa 50 o più ma ora vivevano a Montreal, Ginevra, Toronto, Zagabria, Belgrado…
Alcuni erano amici intimi, altri erano buoni amici, altri semplici conoscenze ed altri ancora non mi sono mai veramente piaciuti. Comunque, ebbi quest’epifania: se tutte queste persone vivessero nello stesso posto – Sarajevo, Londra, Chicago, Auckland, Addis Ababa, ovunque – mi sarei trasferito lì il giorno dopo. Ma non c’era questo posto, e mai ci sarebbe stato.
Una società è una cosa astratta, esiste soltanto e si realizza in contatto con altre persone e la maggior parte dei contatti umani hanno luogo nelle immediate vicinanze. Così, se alcuni sono sfollati tutti sono sfollati.
Potresti parlarci del tuo lavoro su ‘’Sense8’’ e ‘’Matrix 4’’ e con Wachowskis e David Mitchell? Non penso che prima di ‘’Sense8’’ molte persone ti considerassero un autore di fantascienza. Cosa hai trovato di diverso o simile nel lavorare con un autore quale David Mitchell rispetto allo scrivere da solo?
Non sono ancora uno scrittore di fantascienza. La gioia di lavorare nel cinema in generale e con Lana Wachowski e David Mitchell in particolare, è che è collaborativo e quindi la questione della paternità dell’opera è completamente diversa. Quando scrivo un libro, ogni singola parola è mia e decido io di metterla lì e tutto è frutto della mia immaginazione o esperienza.
Nel cinema, inclusa la sceneggiatura, sono sempre presenti altre persone – intellettualmente, fantasiosamente, emotivamente, fisicamente. Non fai nulla da solo. Questo è sia limitante – per ovvie ragioni – ma anche incredibilmente liberatorio: le menti sono unite e si espandono nell’immaginare qualcosa che nessuno di noi potrebbe immaginare da solo.
Lana e David sono maestri nel creare mondi diversi ed ho imparato così tanto da loro sui modi di immaginare quello che va oltre la mia esperienza. Aiuta molto il fatto che li ami come persone e che li consideri amici intimi. Apprezzo ogni momento che ho trascorso con loro inventando storie, vite umane e futuri. Non smetterò mai di scrivere letteratura, ma desidero ardentemente essere con loro nella tana dell’immaginazione ogni giorno della mia vita.
Com’è stato il passaggio al lavorare nel cinema e nella televisione?
Non è stato un passaggio, è stato un’aggiunta. Ho dovuto imparare a collaborare ed anticipare ogni evenienza e a ridurre la mia dipendenza dal linguaggio nel raccontare storie. Ma a parte questo, le storie sono storie.
La fantascienza ti ha dato la possibilità di riconsiderare il nostro mondo in modo diverso? Di immaginare l’inimmaginabile in modo positivo?
Non abbiamo mai cominciato un progetto pensando: facciamo fantascienza! Noi creiamo storie ed esse avvengono in mondi in qualche modo differenti – ma non completamente – dal nostro. Una delle credenze che ci lega è l’idea della narrazione come un’impresa che ha un valore epistemico. La narrazione genera, trasforma e trasmette la conoscenza attraverso l’immaginazione attivata nel linguaggio e/o nel cinema. Ciò per dire che dall’interno la narrativa viene vissuta come una scoperta.
Esempio: in una sceneggiatura che non ha ancora trovato una casa, abbiamo immaginato come sarebbe potuta essere la disintegrazione dell’America avvenuta nel tempo di un’unica generazione. Abbiamo trascorso del tempo a immaginare il futuro che gran parte dell’America si rifiuta di immaginare. Forse è per questo che il progetto è ancora senza tetto.