Non una questione di gusto
43 persone dall’Azerbaijan hanno votato per il rappresentante dell’Armenia al concorso musicale Eurovision, tenutosi a Mosca lo scorso maggio. Alcune settimane fa la polizia li ha interrogati per sapere il perché
Mentre per alcuni il concorso musicale Eurovision è solo uno show mediocre di performer che rappresentano i propri paesi in una competizione eccessivamente enfatizzata, ci sono alcuni per cui questo concorso è incredibilmente importante. Tuttavia, si può dire che non si è mai trattato di una semplice competizione musicale, almeno non nel Caucaso, specialmente adesso che tutti e tre i Paesi della regione vi partecipano. Per l’Azerbaijan però, questa potrebbe anche essere l’ultima volta (pur essendo stato ammesso per la prima volta solo l’anno scorso), perché a causa dei votanti chiamati a essere interrogati c’è la possibilità che venga squalificato.
Armonia o no
L’"Eurovision Song Contest" venne lanciato nel 1956 con l’intento di fungere da strumento armonizzatore per i paesi afflitti dalle guerre. Viene realizzato dall’Unione europea di radiodiffusione (UER), un gruppo formato da società televisive pubbliche. I vincitori vengono scelti da giurie composte da guru dell’industria discografica in ogni paese partecipante, e anche da milioni di spettatori che votano via telefono o SMS – tuttavia gli spettatori non possono votare i rappresentanti dei loro stessi paesi. Ad oggi l’Eurovision è diventato uno dei programmi TV più longevi di sempre, oltre ad essere uno dei più popolari nei paesi partecipanti.
Ma sebbene sia partito come un’iniziativa volta a stabilire un clima di pace e armonia tra i Paesi partecipanti, è diventato qualcosa di diverso. Nonostante sia di natura apolitica, lo show è diventato il palcoscenico per lo scambio di messaggi politici (piuttosto infantili), in particolare tra Azerbaijan e Armenia. E nell’Eurovision di quest’anno ce ne sono stati parecchi. Quando i funzionari dell’Eurovision hanno rimosso dalla grafica l’immagine di "We are our mountains", un memoriale situato nella regione del Nagorno Karabakh, la presentatrice armena Sirusho (in passato anche concorrente per l’Armenia all’Eurovision) ha tenuto in mano quella stessa immagine durante il voto dell’Armenia. L’Azerbaijan nella sua presentazione ha usato immagini di statue e monumenti iraniani. Durante la trasmissione della competizione, il numero necessario a votare le concorrenti armene Inga e Anush è stato rimosso dallo schermo in Azerbaijan. Ciò, tuttavia, non ha impedito ad alcuni azeri (43 per essere precisi) di votare per l’Armenia.
Circa tre settimane fa quei 43 cittadini azeri sono stati chiamati dal ministero per la Sicurezza Nazionale per essere interrogati per una questione di sicurezza nazionale, come affermava il comunicato ufficiale.
L’interrogatorio
Rovshan Nasirli, uno dei 43 votanti, racconta la storia. "Il ministero della Sicurezza Nazionale mi ha chiamato e ha cominciato a chiedermi perché avevo votato per il gruppo armeno. Hanno anche cercato di fare pressione psicologica su di me, dicendo cose come "non hai nessun senso di orgoglio etnico. Perché hai votato per l’Armenia?" Mi hanno fatto scrivere una spiegazione, e poi mi hanno lasciato andare", ha detto a Radio Free Europe/Radio Liberty.
Ovviamente, Rovshan non avrebbe mai immaginato che il suo voto potesse causare un tale subbuglio, anche perché era convinto che sia la performance che la canzone dell’Armenia fossero più azere della canzone dell’Azerbaijan, "Always", eseguita da Aysel e Arash. E tantomeno si sarebbe aspettato di essere definito per questo "non patriottico" dalle autorità locali.
Non c’è da sorprendersi che il ministero della Sicurezza Nazionale dell’Azerbaijan abbia negato qualsiasi azione di pressione psicologica sui votanti. Rappresentanti del ministero hanno affermato che si è trattato di una misura cautelare: volevano che i votanti spiegassero le ragioni del loro voto. Quello che è interessante però, è che non hanno chiamato nessuno che abbia votato per altri paesi. Né hanno cercato di giustificare la violazione della privacy che hanno commesso rintracciando coloro che avevano votato per l’Armenia e chiamandoli per un interrogatorio. Secondo l’attivista locale per i diritti umani Avaz Hasanov, questo è l’ennesimo indicatore del fatto che il governo azero si stia trasformando in uno stato di polizia.
Un’altra versione della storia si è avuta da una televisione pubblica locale, Ictimai, che la settimana scorsa ha garantito che "nessuno è stato convocato o interrogato dal ministero della Sicurezza Nazionale relativamente al concorso musicale Eurovision 2009. Pertanto, tutte le notizie in merito riportate dai media sono senza fondamento e il riproporle non segue nessuna logica", sebbene inizialmente il ministero avesse in principio detto di aver convocato i suddetti votanti, ma solo per misure di sicurezza nazionale.
Qualunque sia l’intento, potrebbe costare all’Azerbaijan la squalifica dal concorso. Attualmente l’Unione europea di radiodiffusione sta indagando sul caso. Svante Stockselius, executive supervisor dell’Eurovision, ha affermato in un suo comunicato a RFE/RL: "abbiamo regole molto rigide su cosa si può fare e cosa no. È nostro dovere garantire che le regole vengano seguite dai Paesi partecipanti. Abbiamo un sistema molto chiaro … se uno dei nostri membri infrange le regole, o deve pagare una multa oppure può essere espulso e squalificato dal concorso per tre anni". Una dichiarazione simile è stata fatta dal direttore generale della UER Jean Reveillon: "qualsiasi violazione della privacy riguardo alle votazioni o a interrogatori dei singoli è totalmente inaccettabile".
Fine della favola
Ma siccome i due paesi sono nel bel mezzo di negoziati di pace per il conteso territorio del Nagorno Karabakh, questo episodio potrebbe aggiungere ulteriori tensioni a una situazione già difficile, in cui i cittadini di entrambi i paesi sono sempre più preoccupati per il futuro.
Qualsiasi cosa succeda alla fine, vedere degli azeri votare per l’Armenia (e 1065 armeni votare per l’Azerbaijan) durante quest’edizione di Eurovision ha dimostrato che da qualche parte, in fondo in fondo, c’è ancora speranza.