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L’Azerbaijan all’ombra del hijab
Le autorità azere hanno recentemente emesso un divieto esplicito sul velo che, a parere delle autorità locali, era già previsto dalla normativa in vigore. Il tema è oggetto di forte dibattito e manifestazioni. Arrestato il leader del “Partito Islamico dell’Azerbaijan” pochi giorni dopo aver protestato contro il bando
Lo scorso 10 dicembre il ministro dell’Istruzione azero Misir Mardanov ha sottolineato in un proprio comunicato il divieto di portare il velo nelle scuole. Molti hanno criticato l’adozione del provvedimento, mentre le autorità l’hanno ricollegata alla normativa già vigente sulle divise scolastiche. "La legge […] recita chiaramente che bisogna andare a scuola in divisa e che tutte le altre forme di abbigliamento sono inaccettabili”, ha dichiarato il ministro all’agenzia di stampa locale APA, respingendo così le critiche mosse al ministero di limitare la libera professione del proprio credo religioso.
Che si tratti soltanto di una questione di uniforme scolastica o meno, la dichiarazione del ministro ha innescato un acceso dibattito nel paese. Le intenzioni del governo sottese alla decisione non sono ancora del tutto chiare; di conseguenza, molti dubbi restano irrisolti e molti genitori si dichiarano scontenti. Per non parlare delle ragazze, costrette a scegliere se tenere il velo e abbandonare la scuola o viceversa.
Nonostante le proteste di massa avvenute a Baku e in tutto il paese durante le quali alcuni dei manifestanti hanno bruciato la foto del ministro dell’Istruzione, il Ministero resta fermo sulla sua posizione. Tra l’altro, non è la prima volta che la questione del velo viene discussa in Azerbaijan. Qualche anno fa, nel 2007, una liceale era stata sospesa per una settimana per avere indossato il velo a scuola, ma fu riammessa alle lezioni dopo accese proteste che hanno avuto luogo a Sumgayit, la seconda città del paese.
Il velo è considerato dai funzionari del ministero dell’Istruzione una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, in particolare se ad indossarlo è una studentessa di appena sei o sette anni. Secondo l’analista politico filo-governativo Mubraiz Ahmedoglu, associare lo hijab all’onore come hanno fatto molti manifestanti durante le proteste è sbagliato. Lo studioso ha affermato in un comunicato stampa: “Non è etico associare il concetto di onore delle studentesse alla decisione di portare il velo […] Risulterebbe che le donne azere che non lo indossano siano tutte delle svergognate, no? […]”.
Molti temono che se non si impongono ferree regole per scoraggiare l’uso di indumenti religiosi come lo hijab nelle scuole pubbliche, tra poco in Azerbaijan si arriverà all’istituzione di scuole separate tra maschi e femmine.
Iran, lo sguardo da sud
Tra i funzionari del governo circolano diverse teorie sui motivi della decisione del ministro; molti assicurano che queste misure siano da ricondursi all’Iran e ai tentativi di Teheran di accrescere la propria influenza nel paese. Aliyar Safarli, ex ambasciatore azero in Iran, in un comunicato ha dichiarato che "l’Iran sta cercando di usare l’Islam per accrescere la propria influenza in Azerbaijan e non si lascia sfuggire nessuna occasione per mettere in atto questa strategia. Sono pienamente convinto che l’Iran stia fomentando le polemiche proprio per incoraggiare la gente a protestare contro il divieto di indossare lo hijab”.
Le polemiche di questi giorni sono comunque specchio di crescenti tensioni tra lo stato e i fedeli musulmani più devoti. Per fronteggiare il problema dell’Islam e della sua forte influenza sulla popolazione, il governo negli ultimi anni si è opposto all’introduzione della religione come materia scolastica, ha imposto controlli ferrei sulle procedure di iscrizione a qualsiasi istituzione religiosa ed ha chiuso diverse moschee. La dura stretta del governo nei confronti dell’Islam risulta anche da numerosi altri elementi, come il basso volume con cui viene effettuata la chiamata alla preghiera, la limitata diffusione della letteratura religiosa nel Paese e il trattamento riservato ad alcune figure religiose; ci sono stati diversi casi in cui la polizia locale è stata accusata di avere picchiato uomini che portavano la barba lunga o di aver loro rasato la barba a forza.
Il 7 gennaio scorso, il leader del “Partito Islamico dell’Azerbaijan” (IPA, privo di registrazione ufficiale) Movsum Samedov è stato arrestato poco dopo aver aspramente criticato il divieto di indossare lo hijab. Pochi giorni più tardi, la polizia ha dichiarato di avere trovato armi e munizioni nell’abitazione di Samedov e di alcuni suoi parenti e l’hanno accusato di t[]ismo. I membri dell’IPA sostengono invece che il loro leader sia stato arrestato per avere apertamente contestato il divieto a portare il velo nelle scuole. Anche Leyla Yunus, direttrice dell’Istituto per la Pace e la Democrazia di Baku ha condannato l’arresto di Samedov e lo ha definito “una violazione della libertà di parola, di pensiero e di dissenso”.
Nel frattempo in Iran, l’alta autorità religiosa Jafar Sobhani, Grande Ayatollah, ha voluto mandare un messaggio al presidente azero, dichiarando che il divieto delle autorità azere di indossare il velo va contro “la legge divina” e ha definito le misure governative “un atto anti-islamico”. Il ministro dell’Istruzione azero dal canto suo ha replicato che voleva soltanto “garantire il rispetto delle leggi vigenti in Azerbaijan", e che le recenti decisioni del governo non volevano in nessun modo colpire la religione islamica in sé.
Opinioni
Analogamente a Leyla Yunus anche l’avvocato Intiqam Aliyev considera il divieto una misura "illegale", finalizzata soltanto a distogliere l’opinione pubblica dai problemi reali del Paese, come la corruzione e le pessime condizioni di vita della popolazione. Altri, come Aynur Jafar, una giovane avvocatessa che vive e lavora in Azerbaijan, considerano il divieto “sbagliato da tutti i punti di vista: legale, politico e morale", specialmente se si considera che la Costituzione azera accorda “a tutti il diritto di praticare la propria religione". Senza contare, continua Jafar, che l’Azerbaijan “ha ratificato la Convenzione Europea sui Diritti Umani; proprio l’articolo 9 della Convenzione garantisce a tutti […] il diritto di esprimere il proprio credo religioso”.
Un’altra professionista di Baku, Nurlana Jalil, ha dichiarato di essere completamente contraria all’idea che "delle bambine siano costrette ad andare a scuola portando lo hijab" ma, allo stesso tempo, crede sia sbagliato obbligare chi già porta il velo a scoprirsi la testa da un giorno all’altro. “Forse il ministro dell’Istruzione dovrebbe giungere a un accordo con le istituzioni religiose competenti prima di deliberare in merito a questioni delicate come questa”.
Aysel Aghayeva, un’altra giovane professionista di Baku, sostiene che “c’è una tendenza sempre più diffusa in Azerbaijan a rifugiarsi nella religione semplicemente perché il governo non riesce a infondere lo stesso tipo di fiducia nella gente”.
Che questo “pugno di ferro” sia provocato dall’Iran, da gruppi religiosi anti-governativi interni al Paese o dalla volontà del governo di mostrare al mondo che sta affrontando le questioni religiose e tentando di creare uno stato laico, il problema di fondo resta irrisolto: la repressione forzata delle libertà religiose difficilmente avrà esiti positivi. Probabilmente, alcune ragazze lasceranno la scuola, la retorica religiosa anti-governativa acquisterà forza e il governo continuerà ad utilizzare i propri metodi per affrontare il problema, come dimostra l’arresto del leader locale del Partito Islamico dell’Azerbaijan.