Caucaso: social network, nuovi media e antichi conflitti
In Caucaso, social network e nuovi media stanno aiutando a costruire ponti tra comunità divise da antichi conflitti. Sempre di più le iniziative in questa direzione
Azerbaijan e Armenia vivono da 16 anni in una condizione di “conflitto congelato”. Un conflitto armato tra i due paesi era scoppiato nel 1988 causa la disputa sul Nagorno Karabakh, con perdite di vite umane e migliaia di profughi. Le ostilità erano terminate con il “cessate il fuoco” del 1994. Sedici anni dopo, sembra che nulla sia cambiato veramente: ogni giorno i telegiornali trasmettono aggiornamenti dalle zone di guerra, lo status dei territori occupati rimane incerto e, causa le scarse possibilità di contatto fra gli abitanti di Armenia, Azerbaijan e Nagorno Karabakh, odio, sete di vendetta e mancanza di democrazia fanno ormai parte della vita quotidiana.
È in questo quadro che la società civile e le organizzazioni per i diritti umani hanno dato vita a iniziative finalizzate al contatto e alla costruzione del dialogo fra tutte le parti coinvolte. Dieci anni fa, il Programma di studi sul Caspio del Centro Belfer organizzò un evento dal titolo “Civil Society and Peace – building in the North and South Caucasus”. In quell’occasione Arzu Abdullayeva, Presidente della Commissione nazionale per l’Azerbaijan dell’Helsinki Citizens’ Assembly, sostenne l’importanza delle organizzazioni non governative nei processi di pace, sottolineando come le ONG disponessero di tutti gli strumenti necessari per lavorare sull’opinione pubblica, cosa indispensabile per il raggiungimento di soluzioni politiche.
Dieci anni dopo, abbiamo visto non solo l’intensificarsi degli incontri in seguito al crescente interesse delle organizzazioni internazionali nella regione, ma anche l’emergere di nuove forme di contatto. Blog, micro-blog, social network, ben noti come Facebook e Twitter, Skype e altri strumenti web sono diventati una finestra su un mondo proibito. All’improvviso, è diventato possibile (ri)trovare su Facebook vecchi e nuovi amici, chattare su Skype nonostante le frontiere chiuse e, soprattutto, esprimere sostegno, comprensione e apertura verso l’”altra” parte senza attendere l’autorizzazione dei governi locali. Non si tratta più dei tradizionali incontri di riconciliazione fra attori della società civile, ma di giovani provenienti da entrambi i paesi.
Nuove iniziative
Nel corso degli ultimi due anni, una delle pubblicazioni online più attive nell’occuparsi dell’uso di “nuovi media e social network per il superamento delle differenze fra armeni e azeri” è stata Global Voices Online (GV). L’autore di gran parte di questo lavoro è Onnik Krikorian, foto-giornalista e blogger di origini anglo-armene, redattore per il Caucaso di GV e corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso. In seguito all’enorme lavoro fatto in questa direzione, Onnik ha cominciato un proprio progetto sull’uso dei nuovi media per la pace, dal titolo “Overcoming negative stereotypes in the south Caucasus” (“Superare gli stereotipi negativi nel Caucaso del sud”). Onnik sostiene che “la natura virale di Internet e l’aspetto di social networking dei blog e di siti come Facebook potrebbero costituire esempi di contatto aperto fra armeni e azeri”.
In effetti, la crescente popolarità di questi strumenti ha spinto molti organizzatori di incontri bilaterali a inserire i nuovi media nei loro momenti di formazione. Model Caucasus Parliament (MCP), un progetto che si svolge nell’ambito del Forum caucasico per la solidarietà e la cooperazione finanziato dalla Eurasia Partnership Foundation è stato uno di questi. Il programma mira a stabilire una piattaforma comune che riunisca i leader emergenti della regione e sviluppi strategie di cooperazione per la pace e il cambiamento nel Caucaso del sud. La seconda parte della formazione ha incluso un training specifico dedicato all’uso dei nuovi media.
Nell’ultimo anno si è tenuta nella regione una serie di eventi, conferenze, simulazioni ed esercitazioni con almeno una sessione dedicata all’uso dei nuovi media per costruire dialogo e pace. A marzo di quest’anno, gli American Councils e le ambasciate statunitensi dei tre paesi del Caucaso meridionale (Azerbaijan, Armenia e Georgia) hanno organizzato un evento di tre giorni a Tbilisi, in Georgia. Si è trattato di un ritrovo per gli Alumni del programma FLEX (uno scambio negli Stati Uniti della durata di un anno), allo scopo di discutere possibili progetti comuni in Azerbaijan, Armenia e Georgia attraverso l’uso dei nuovi media.
Un mese dopo, a Tbilisi, si è tenuto il primo Social Innovation Camp (SICamp) per il Caucaso, parallelamente alla conferenza Social Media for Social Change conference organizzata dalla Open Society Georgia Foundation (OSGF), dal Georgian Institute of Public Affairs (GIPA) e altri donatori. Il concetto base dietro SiCamp, originariamente concepito nel Regno Unito, consiste nell’aiutare le persone a trovare soluzioni pratiche attraverso tecnologie digitali. I partecipanti dai tre Paesi sono stati riuniti in gruppi da sei (e oltre) e invitati a ideare progetti per il web in due giorni. Fra gli interessanti progetti presentati alla fine della conferenza, a vincere è stato quello dell’attivista ambientalista armena Mariam Sukhudyan, dal titolo “Save the trees”.
Sempre a marzo è stata lanciata una nuova testata online, Caucasus Edition: Journal of Conflict Transformation, che riunisce autori e blogger da Armenia e Azerbaijan. Il progetto, nell’ambito dell’Imagine Center for Conflict Transformation, è il primo del suo genere nella regione. La testata online funge da forum per dare la possibilità a “studiosi, professionisti, analisti, [e altri] di analizzare e discutere il conflitto del Nagorno-Karabakh e le relative problematiche”. L’obiettivo della pubblicazione è contribuire alla risoluzione sostenibile del conflitto attraverso l’ampliamento degli studi sul tema e l’incoraggiamento di nuove prospettive analitiche.
Ci sarà sempre qualcuno ad accusarti di tradimento
Purtroppo, queste iniziative hanno anche provato che la scelta del dialogo non viene accolta positivamente da tutti. Nel 2008, una ONG azera a favore di una nuova guerra per riprendere il controllo sul Nagorno Karabakh, l’“Organization for Karabakh’s Liberation” ha accusato di alto tradimento Arzu Abdullayeva ed altri attivisti che programmavano una visita in questa regione contesa. Questo non è stato il primo né l’ultimo commento del genere. Nel febbraio 2008, mentre diversi rappresentanti di ONG e la Helsinki Citizens’ Assembly programmavano una visita nei territori occupati nell’ambito della “diplomazia dal basso”, la stessa “Organization for Karabakh’s Liberation” definì la visita assolutamente inutile se non a servire gli interessi della “politica occupazionale armena”.
In un recente post su Global Voices, Onnik Krikorian ha anche espresso preoccupazione per i rischi connessi alla crescita del dibattito online. “In aprile, ad esempio, una blogger azera ha subito pesanti attacchi verbali da parte di un gruppo di connazionali dopo aver fatto una presentazione insieme al responsabile regionale Caucaso di GV. Da allora, vari report suggeriscono che i tentativi di controllare la situazione anche per via legislativa sono già in corso, soprattutto visto il crescente attivismo online azero”.
La luce alla fine del tunnel
Non c’è dubbio che esista un dialogo fra Armenia e Azerbaijan. Mentre continuano gli incontri tradizionali fra gli attivisti della società civile, nuove forme di comunicazione si stanno facendo strada, tanto che anche il settore non governativo sta prendendo sempre di più in considerazione i nuovi media. E se è troppo presto per parlare di risultati a livello governativo, visto il ritmo di questi incontri regionali su piccola e grande scala, ci potrebbe essere, alla fine, una luce in fondo al tunnel.