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Azerbaijan, campagna anti-corruzione (e anti-rivoluzione)
A fine gennaio il governo azero ha lanciato una nuova campagna anti-corruzione. E’ la reazione delle autorità di Baku alle rivoluzioni del mondo arabo. Ma gli attivisti anti-governativi non si fermano, lanciano una campagna online e fissano una giornata di protesta per l’11 marzo
Il 27 gennaio scorso, vari funzionari pubblici si affrettavano a partecipare ad una riunione. Si trattava di un incontro della commissione anti-corruzione a Baku, capitale dell’Azerbaijan. La commissione, presieduta da Ramiz Mehdiyev, un uomo considerato essere il braccio destro del presidente Ilham Aliyev, è stata convocata per la prima volta da quando è stata istituita, nel 2009. La riunione si è conclusa con l’adozione di una serie di misure radicali per affrontare quello che è forse il problema più pressante oggi in Azerbaijan: la corruzione. Questa è stata la reazione più visibile delle autorità azere alle rivoluzioni e ai disordini che stanno avvenendo nel mondo arabo.
Anche se la linea ufficiale ha finora escluso qualsiasi legame delle misure anti-corruzione con le recenti rivolte, molti esperti locali sostengono il contrario. Non ci era voluto molto perché le autorità azere si rendessero conto che, dopo la caduta del regime di Ben Ali in Tunisia e i crescenti disordini in Egitto ed altrove in Medio Oriente, era giunto il momento di guardare alla “cleptocrazia” del proprio Paese. Per quanto ostentatamente non prestassero particolare attenzione alla questione, le autorità locali erano ben consapevoli della corruzione endemica in tutte le sfere della vita pubblica e privata – scuole, università, sanità, affari, ed altrove.
Poco dopo la riunione della commissione anti-corruzione, il 43enne presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, ha fatto un primo passo per dare inizio a riforme lungamente attese, emanando un nuovo decreto che vieta alla polizia stradale locale di riscuotere dai conducenti multe in contanti. Il nuovo decreto ha inoltre assegnato il 25% delle multe riscosse ai salari dei funzionari della polizia stradale locale. Nel frattempo, secondo un articolo pubblicato su Eurasianet.org, ai dipendenti pubblici è stato raccomandato “di evitare di irritare la popolazione e di lavorare efficacemente per incrementare la fiducia pubblica nei confronti delle istituzioni”.
Se in precedenza tutti i rapporti internazionali sulla corruzione erano stati respinti, ignorati o criticati con decisione dalle autorità locali, ora essi sono apertamente discussi sui canali della televisione di Stato ed presi in considerazione allo scopo di individuare le aree di corruzione. Tutto d’un tratto, i ministeri hanno apertamente accettato l’esistenza della corruzione e hanno promesso di affrontare la questione. Secondo vari rapporti apparsi nei media locali, alcune istituzioni pubbliche hanno licenziato diversi impiegati.
Ma quelle che sembravano delle rapide misure su ampia scala, a quanto è emerso, riguardavano principalmente personale di basso profilo, lasciando indenni i capi di dipartimenti, commissioni o ministeri. Ali Novruzov, un blogger azero, in un post ha denunciato il comportamento delle autorità scoprendo che i nomi sulla lista delle persone licenziate dal ministero dell’Istruzione erano quelli di persone decedute o pensionate. Secondo Gubad Ibadoglu, capo dell’Economic Research Center di Baku, per affrontare seriamente il problema sarebbe utile iniziare ad applicare una legge del 2006 che richiedeva a tutti i rappresentanti del governo di dichiarare pubblicamente proprietà ed introiti.
Parallelismi
Come Egitto, Tunisia e Libia, anche l’Azerbaijan è esempio di un Paese in cui il controllo del potere da parte di una sola persona o di un “clan” si è mantenuto nel corso dei decenni. Non ci sono controlli e contrappesi funzionanti nelle istituzioni governative e nelle loro ramificazioni. I mezzi democratici di cambiamento al potere sono deboli. La società civile è poco influente e i mezzi d’informazione sono imbavagliati. Nonostante l’Azerbaijan, in quanto membro del Consiglio d’Europa, abbia preso impegni ufficiali a tutelare la libertà di parola, il governo di Baku non ha autorizzato alcuna manifestazione politica nel corso del 2010 quando nel Paese dovevano tenersi le elezioni parlamentari. Il reato di diffamazione è largamente usato contro giornalisti e attivisti della società civile.
Seguendo questi parallelismi, anche l’opposizione in Azerbaijan ha deciso di intensificare le proprie azioni ed esprimere le proprie richieste. Due giorni dopo la riunione anti-corruzione, oltre 100 attivisti – persone senza affiliazione partitica, sostenitori dell’opposizione, e attivisti della società civile – si sono radunati esortando le autorità azere ad annullare le recenti elezioni parlamentari o a prepararsi a proteste simili a quelle di Egitto e Tunisia.
Come avvenuto in Egitto e Tunisia, anche qui in Azerbaijan gruppi di giovani hanno iniziato a discutere online delle proprie iniziative. In uno di questi casi, un giovane membro del Fronte Popolare dell’Azerbaijan, Jabbar Savalanly, ha invitato i suoi amici su Facebook ad unirsi a lui in quello che ha chiamato “Giorno della rabbia”. Savalanly è stato arrestato un mese più tardi per possesso di droga. Mentre il ministero degli Interni ha respinto ogni accusa che l’arresto avesse motivazione politica, gli amici e i sostenitori di Savalanly credono il contrario. Per seguire il caso e postare aggiornamenti su eventuali sviluppi, sono stati creati una pagina su Facebook ed un blog.
Recentemente è stata lanciata un’altra campagna online, chiamata “11 marzo”. Al momento l’evento è su Facebook, e si tratta di una campagna online dedicata alla causa della democrazia in Azerbaijan.
Nel campo governativo tutti si dichiarano certi che proteste come quelle avvenute in Egitto non potrebbero mai avere luogo in Azerbaijan. Nella sua intervista pubblicata su un giornale locale, Fazail Agamaliyev, presidente del partito filogovernativo Ana Veten, ha detto: “[…] l’Azerbaijan non è l’Egitto. Oggi una serie di riforme – economiche, sociali, politiche e legali – sta avendo luogo. L’Azerbaijan prosegue il proprio cammino verso i valori occidentali in modo sistematico. C’è dinamismo nello stile di vita del popolo azero […] l’Azerbaijan non dovrebbe essere comparato all’Egitto o ad altri Paesi arabi in questa fase perché non ci sono ragioni per cui disordini come quelli egiziani accadano nel nostro Paese”.
Allo stesso modo, il vice presidente del partito di governo, lo YAP (Yeni Azerbaijan Partiyasi/Partito Nuovo Azerbaijan), in un’intervista ad un quotidiano online ha dichiarato che “l’Azerbaijan è un Paese democratico e [questi] eventi non hanno alcun effetto sul nostro Paese”, aggiungendo che opinioni contrarie sono prive di fondamento.
Tenendo conto del fatto che è stato possibile seguire la maggior parte delle notizie sui disordini nel mondo arabo soltanto attraverso i mezzi d’informazione indipendenti ed i social media, mentre i media d’informazione pubblici hanno largamente evitato di trasmettere notizie sulle proteste, non sorprende sentire simili affermazioni da parte dei funzionari locali e trovare punti di vista contraddittori tra utenti di Facebook e Twitter in Azerbaijan. Per il momento, resta ancora da vedere cosa uscirà da queste iniziative, e come reagiranno governo e opposizione. È difficile prevedere manifestazioni di massa o o grandi rivoluzioni, anche se, senza dubbio, proteste su scala ridotta avranno luogo sia in Azerbaijan che all’estero davanti ad ambasciate e a consolati azeri.