Verso Yerevan

Ore e ore di viaggio in autobus, da Iğdır passando per Tbilisi fino a raggiungere Yerevan. Le difficili comunicazioni e la chiusura dei confini che permea la quotidianità della gente. Seconda parte del nostro reportage ai confini tra Armenia e Turchia

08/07/2009, Alberto Tetta - Yerevan

Verso-Yerevan1

Municipio di Yerevan (A. Tetta)

Prima parte: Igdir, corridoio verso la pace

Per arrivare in Armenia da Iğdır via terra l’unica soluzione praticabile è aggirare il confine passando per la Georgia, il posto di frontıera più vicino è quello di Türkgözü nella provincia di Ardahan, nonostante questo sia poco utilizzato. Il pullman per Tbilisi è praticamente vuoto e quasi tutti i passeggeri scendono prima del confine georgiano.

A Posof, cittadina a 10 chilometri da Türkgözü le diverse compagnie fanno salire i pochi passeggeri rimasti diretti in Georgia su un unico pullman. Il posto di confine più utilizzato è più a nord ad Hopa sul Mar Nero, la maggior parte delle merci e dei turisti diretti a Batumi passano da lì.

La ventina di aziende che commerciano tra Armenia e Turchia oggi sono costrette a far passare le merci attraverso la Georgia o l’Iran per aggirare il confine chiuso, il che implica un alto costo di trasporto. Inoltre le compagnie turche hanno più volte denunciato che i camion carichi di merci sono costretti a sostare molte ore presso il confine, visto che la polizia di frontiera georgiana spesso pretende il pagamento di tangenti e la dogana di Hopa è quasi ogni giorno intasata a causa dell’eccessivo traffico di veicoli pubblici e privati, dovuto alla mancanza di alternative per chi vuole spostarsi tra il Caucaso e la Turchia.

Nonostante queste difficoltà negli ultimi anni il valore delle merci importate ed esportate tra i due paesi è aumentato esponenzialmente passando dai 30 milioni di dollari del 1997 ai 130 del 2007. Secondo una stima del Consiglio Turco-Armeno per lo sviluppo delle relazioni commerciali (TABC), se il confine tra Turchia e Armenia venisse aperto, il valore annuale delle merci che transitano tra i due paesi raddoppierebbe arrivando a 300 milioni di dollari.

Dopo aver attraversato il posto di frontiera di Türkgözü fino a Akhaltsikhe il pullman procede a passo d’uomo percorrendo una strada sterrata, dopo dieci ore di viaggio ecco Tbilisi, da dove partono diversi minibus per Yerevan. Il viaggio dura circa sei ore. Sul minibus incontriamo Ada che ci racconta la sua storia "ho lavorato come cameriera a Fethiye in Turchia, in due mesi ho imparato il turco, ho trovato lavoro perché parlo bene inglese e russo, non ho mai avuto problemi con i turchi, sono gente cordiale." Dopo qualche minuto la conversazione si interrompe, tutti i passeggeri del minibus ci guardano incuriositi, non è comune sentire una ragazza armena e uno straniero conversare in turco a pochi chilometri da Yerevan.

Yerevan è senza dubbio la più sovietica delle capitali caucasiche. Infatti dopo la nascita della Repubblica Socialista Sovietica di Armenia nel 1920 il famoso architetto armeno Alexander Tamanian trasformò quello che era un piccolo villaggio nella capitale del paese. Allo stesso tempo Yerevan è anche una metropoli naturalmente cosmopolita visto che la città è stata per la maggior parte dei suoi abitanti la meta finale, il rifugio, dopo le deportazioni ottomane. Queste provenienze altre diventano nella toponomastica di Yerevan nomi di quartieri, ricordo della diaspora, e le città turche di Maraş, Malatya, Arapgir diventano Nor Marash, Nor Malatia, Nor Arabkir, Nuova Marash, Nuova Arabkir, Nuova Malatia.

Il centro di Yerevan (A. Tetta)

Artyom e Seda, sua madre, sono arrivati a Yerevan dalla Russia appena prima che scoppiasse la guerra con l’Azerbaijan alla fine degli anni ottanta. Vivono in un palazzo di dodici piani poco distante da Hanrapetutyan Hraparak, la piazza più centrale di Yerevan. "In questo palazzo – racconta Seda – abitano alcuni rifugiati arrivati dall’Iraq, sono scappati dalla seconda guerra del golfo, parlano perfettamente arabo e armeno, ma un armeno differente dal nostro, l’armeno occidentale. Alcuni qui a Yerevan si lamentano dell’arrivo dei rifugiati, è un []e, l’Armenia è la patria di ogni armeno, dobbiamo accogliere tutti."

"Anche per me è stato difficile adattarmi quando sono arrivata da Vladivostok, sapevo parlare armeno perché lo sentivo in famiglia, ma non ero in grado né di scriverlo e né di leggerlo, se le persone non mi avessero aiutato non ce l’avrei fatta."

Nell’appartamento di Seda tutto è in ordine, al muro della sala da pranzo sulle pareti ricoperte di tappeti rossi è appeso un kemane (antico strumento musicale) è di suo padre, dalla sua terrazza si vede chiaramente il monte Ararat, sembra che faccia parte della città, che le famiglie ci possano andare a passeggiare la domenica, in realtà per quanto vicino, da anni tra Yerevan e l’Ararat c’è un confine chiuso.

Il monte Ararat visto da Yerevan (A. Tetta)

Artyom, ha 25 anni, è nato a Vladivostok, ma quando aveva quattro anni si è trasferito con la madre Seda in Armenia, dopo gli studi ha trovato lavoro nella filiale di un’importante banca inglese, per quanto riguarda il problema del confine ha le idee chiare: "Certo che vogliamo che il confine venga aperto, la situazione economica in Armenia non ci permette di pensare alla politica, durante la guerra con l’Azerbaijan avevamo l’acqua potabile solo un’ora al giorno e niente elettricità, ora che la guerra è finita abbiamo l’acqua potabile solo dalle sette alle undici di mattina e dalle otto alle undici di sera. Il confine con l’Azerbaijan è chiuso e anche quello con la Turchia, la Georgia ha poche risorse, l’unico paese che ci ha sempre aiutato e a cui dobbiamo essere grati è l’Iran. La situazione però non può andare avanti così, alcuni armeni della diaspora sono contro l’apertura del confine, dicono che fino a quando la Turchia non riconoscerà il genocidio contro di noi non dobbiamo avere relazioni diplomatiche con il nostro vicino, per loro, che vivono in Francia o negli Stati Uniti è facile fare gli intransigenti, noi invece che viviamo qui siamo costretti ad essere realisti"

Artyom la scorsa estate ha deciso di andare in Turchia, da Tblisi ha preso un pullman per Istanbul passando per Trabzon. "Avevo molta paura quando Artyom è partito, non sapevo come l’avrebbero trattato, ma poi mi ha detto che tutto andava per il verso giusto e mi sono tranquillizzata. Mi ha raccontato che i turchi sono gente cordiale e ospitale" racconta Seda mentre il figlio sorride della sua apprensione. "Istanbul è una città magnifica, sono partito da solo e durante il viaggio ho conosciuto molte persone aperte e cordiali. Quando, magari in un bar, saltava fuori la questione del genocidio nessuno mi ha mai attaccato, anzi i turchi cominciavano a discuterne tra loro, questo mi ha fatto molto piacere, vuol dire che non la pensano tutti allo stesso modo", racconta Artyom

Gyumri è la seconda città dell’Armenia, prima che Yerevan fosse scelta come capitale del paese nel 1920 era considerata la terza città più importante del Caucaso, dopo Tbilisi e Baku. Fino all’aprile del 1993 Gyumri è stato uno degli snodi ferroviari più importanti della regione, poi il confine è stato chiuso e i treni si sono fermati. La stazione ferroviaria del piccolo villaggio di Akhorian si trova a pochi metri dal confine, oggi è una stazione fantasma, pochi vagoni merci arrugginiti stazionano sui binari, la vegetazione ormai ricopre quasi completamente l’edificio della stazione.

Maxim Sarkisyan (A. tetta)

Karine Petrosyan lavora qui, come capo stazione da venticinque anni. "Prima che il confine fosse chiuso – racconta – da questa stazione passavano treni passeggeri tutti i giorni e a giorni alterni treni merci diretti in Turchia, Georgia e Azerbaijan, la riapertura del confine non può che essere un vantaggio per noi, basti pensare che prima del 1993 qui lavoravano quarantacinque persone su due turni, ora siamo in cinque compreso il capostazione, anche per l’Azerbaijan la chiusura del confine è stata un problema infatti da qui passavano quasi ogni giorno treni merci diretti a Baku provenienti dalla Turchia."

A pochi metri dalla stazione, in una delle piccole case in legno del villaggio di Akhorian, abita Maxim Sarkisyan che ci racconta la sua storia, il padre, è stato l’unico dei suoi sette fratelli a scampare al genocidio, la sua famiglia è originaria di Muş, in Anatolia. "La chiusura del traffico ferroviario è stata una sciagura per l’Armenia, prima ogni giorno arrivavano turisti provenienti dalla Turchia, anche dall’Armenia le persone andavano in Turchia. Per i politici il problema è il riconoscimento del genocidio, anche per noi è così, ma la pace, la libera circolazione delle persone sono prioritari, certo non possiamo dimenticarci del genocidio, ma vogliamo che prima di tutto il confine venga aperto"

Se i rappresentanti diplomatici di Turchia e Armenia decidessero di ascoltare il signor Maxim seduti sulla panca nella veranda della sua casa di legno guardando ai binari arrugginiti di Akhorian, forse darebbero una possibilità alla pace. Per ora però le sirene nazionaliste hanno il sopravvento e i treni invece che trasportare merci e persone rimangono fermi ad arrugginire, a pochi chilometri di distanza da un confine chiuso.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta