Lavoratori armeni e georgiani: la guerra li allontana dalla Russia

Quest’anno, rispetto all’anno scorso, 20.000 persone in meno hanno lasciato l’Armenia per lavorare in Russia. Anche il numero di lavoratori migranti che partono per la Russia dalla Georgia è leggermente diminuito. La ragione principale è la guerra

07/12/2022, Armine Avetisyan -

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Lavori edili in Russia - © Evgenii Panov/Shutterstock

È il primo anno che non sono partito per il khopan (lavoro stagionale, lavoro all’estero). È insolito, ma non mi lamento, mi mancava la mia famiglia e ora passo più tempo con loro", racconta Karen Poghosyan, 35 anni, che lavora all’estero dall’età di 16 anni.

Karen vive in uno dei villaggi della regione di Shirak, in Armenia. Racconta che nella sua famiglia c’è una tradizione: non appena l’uomo di casa compie 16 anni, parte per la Russia per lavorare nell’edilizia.

"Anche mio nonno, mio padre e mio fratello hanno lavorato in Russia. La maggior parte della popolazione dei villaggi della nostra regione parte per la Russia, noi costruiamo edifici lì. All’inizio lavoriamo come operai semplici, poi diventiamo esperti e diventiamo mastri. Io sono già un mastro", sottolinea Karen.

Secondo la tradizione formatasi negli anni, il gruppo di uomini che va a lavorare all’estero parte per la Russia ogni anno alla fine di febbraio, con l’arrivo della primavera, e torna a dicembre.

Karen racconta che sono abituati a lavorare ininterrottamente per 9 mesi all’anno, raccogliere i soldi, poi trascorrere 3 mesi con la famiglia e ripartire.

"Già a gennaio avevo deciso che non sarei partito. Il motivo era il cambiamento legislativo nella Federazione Russa, che non mi piaceva. In quel periodo le relazioni tra Russia e Ucraina erano già tese. Anche se non credevo ci sarebbe stata una guerra", racconta l’uomo.

All’inizio dell’anno, a causa dell’inasprimento delle norme che regolavano le migrazioni in Russia, in molti come Karen erano indecisi se partire o rimanere in patria. Da allora i migranti diretti in Russia devono sottoporsi alla raccolta di impronte digitali, fotografie, esami medici (test negativi per tossicodipendenza, malattie infettive e HIV). Dopo aver superato le fasi necessarie, i dati devono essere caricati nel database del ministero degli Affari Interni della Russia. I documenti sanitari vengono rilasciati al migrante per un periodo di un anno, mentre il certificato delle impronte digitali viene rilasciato per un periodo di 10 anni. Il migrante ha a disposizione 30 giorni per raccogliere tutta la documentazione e tutto è a spese sue. I risultati degli esami e i dati vengono elaborati, dopodiché viene rilasciato il permesso di lavoro e di soggiorno. In caso di mancato rispetto delle regole, il lavoratore migrante può essere espulso per 5 anni.

Karen aveva deciso che non sarebbe partito per la Russia a causa dei costi elevati di questa documentazione. Aveva calcolato che avrebbe pagato circa 40 mila rubli, circa 700 euro. Si trattava di circa l’80% di un mese di stipendio. Poi si sono aggiunti il forte aumento dei prezzi dei biglietti aerei, la guerra e la svalutazione del rublo. Oggi si dedica all’agricoltura. Non ha ancora molte entrate e non esclude che, se si tornerà ad una situazione di pace, ripenserà al lavoro all’estero.

Un amico di Karen, Hovhannes, residente nella stessa regione, ha invece deciso di rischiare e di partire. Dice di aver calcolato che il numero di lavoratori espatriati sarebbe diminuito e di aver ipotizzato che la domanda di specialisti sarebbe aumentata a causa della riduzione della forza lavoro, con conseguente aumento dei salari. I calcoli, tuttavia, si sono rivelati sbagliati.

"Non c’è stato alcun aumento salariale. Inoltre, il rublo si è svalutato enormemente. Non bastasse, le banche armene hanno aumentato la percentuale di prelievo di contanti in valuta estera. Il denaro che avevo guadagnato non valeva più un centesimo. Sono tornato e ho cercato un lavoro in Armenia, e l’ho trovato rapidamente. Ora in Armenia c’è un boom edilizio. È vero, il mio stipendio è inferiore a quello della Russia, ma se sottraggo le spese accessorie che dovrei fare in Russia, il risultato è esattamente lo stesso, e anche di più", dice Hovhannes, aggiungendo che nessuno di coloro che ogni anno solitamente andavano all’estero per lavorare con lui è quest’anno partito per la Russia.

"Solo quest’anno, 20.000 persone in meno hanno lasciato l’Armenia per lavorare all’estero rispetto all’anno scorso", ha annunciato il ministro dell’Economia dell’Armenia Vahan Kerobyan in un incontro recente con i giornalisti, aggiungendo che, a prescindere da ciò, oggi in Armenia c’è richiesta di manodopera, in particolare nel settore delle costruzioni.

Anche molti lavoratori georgiani quest’anno hanno preferito non partire per la Russia. I motivi sono gli stessi dei colleghi armeni.

Kakha, 45 anni, cittadino della Georgia, vive in un villaggio georgiano al confine con l’Armenia. È amico di Karen e Hovhannes. Si sono conosciuti al lavoro in Russia.

"Ho lavorato all’estero per esattamente 20 anni, nell’edilizia. Quando è iniziata la guerra non sono partito neppure io per la Russia. In Georgia non ho ancora trovato un lavoro con uno stipendio equivalente a quello del lavoro in Russia, ma la cosa importante è che sono al sicuro", dice Kakha, aggiungendo che nella loro regione, Akhalkalaki, sono molti coloro che lavorano in Russia che, come lui, hanno preferito rimanere in Georgia.

L’impossibilità di andare a lavorare all’estero ha causato problemi finanziari alla famiglia di un altro cittadino georgiano, Lasha, 60 anni. Ha lavorato tutta la vita in Russia ed è ora difficile per lui trovare un lavoro in patria. In Russia si occupava di asfaltatura e sta ora cercando di avviare una piccola attività in patria nello stesso settore.

"Faccio lo stesso lavoro da 40 anni. Oggi è dura. Sembra che debba iniziare una nuova vita, ma non ho alternative. Ora vado avanti e indietro dall’Armenia di tanto in tanto, studio il mercato locale. Voglio fare affari con i miei amici armeni. Non sono solo: sono in tanti, come me, ad aver perso il lavoro. Noi, i lavoratori comuni, siamo vittime della guerra. Abbiamo sofferto in tutti i tempi", dice Lasha, aggiungendo che devono resistere, perché ogni guerra finisce.

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