La crisi arriva in Armenia

Dopo anni di sorprendente crescita economica, all’inizio di marzo la crisi finanziaria globale ha colpito anche l’Armenia costringendo la Banca Centrale a svalutare la moneta locale, il dram

16/03/2009, Onnik James Krikorian - Yerevan

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Già prima di questa decisione era comune vedere fuori dalle banche della capitale armena, Yerevan, persone che tentavano affannosamente di cambiare i loro dram in dollari. Le autorità si sono mosse rapidamente per limitare tali transazioni.

Ma il 3 marzo l’inevitabile è accaduto e nello spazio di poche ore il dram veniva scambiato a 380-400 dram per un dollaro, prima di scendere a 360-370. Le banche e gli sportelli di cambio hanno continuato a limitare le transazioni in dollari e molti negozi hanno chiuso per alcune ore, mentre i proprietari consideravano il danno potenziale e valutavano l’opportunità di incrementare i profitti. Nonostante le scorte fossero state acquistate ben prima della svalutazione, all’atto della riapertura i prezzi di molti beni d’importazione erano aumentati.

Zucchero, pasta, olio vegetale, riso, medicinali, sigarette e petrolio sono stati colpiti particolarmente, con rincari dal 10 al 30 per cento. Altri articoli come la farina sono cresciuti di più del 50 per cento, mentre il prezzo del burro è salito del 125 per cento.

Due giorni dopo il dram si è stabilizzato intorno ai 360 dram per un dollaro, ma la svalutazione del 20 per cento rispetto al precedente tasso fisso di cambio (305 dram per un dollaro) ha causato allarme tra gran parte della popolazione, che dipende dalle rimesse dall’estero e dai salari pagati in valuta locale. Vedendo che i soldi che avevano in tasca perdevano il loro valore, gli armeni hanno fatto scorta di generi di prima necessità.

Il giorno del crollo del dram è stato presto ridefinito il "martedì nero", mentre vaghe preoccupazioni si trasformavano in ondate di panico. Sottolineando le vere carenze di un’economia locale basata largamente sulle importazioni, la preoccupazione principale era la speculazione commerciale, e sono riemersi ancora una volta dubbi riguardo alle condizioni finanziarie della nazione.

Certo, da mesi l’opposizione sosteneva che il tasso di cambio del dram rispetto al dollaro era stato artificiosamente rafforzato dalla Banca Centrale, al costo di 800 milioni di dollari in riserve estere, e a tutto beneficio degli importatori legati al governo. Secondo le autorità invece, dal settembre scorso le riserve sono scese a soli 400 milioni di dollari.

"Sono profondamente convinto che il paese semplicemente sta sprofondando in un abisso", aveva detto solo pochi giorni prima del tracollo l’ex presidente e leader dell’opposizione extraparlamentare, Levon Ter-Petrosyan, a migliaia di sostenitori radunati nel centro di Yerevan per ricordare il primo anniversario degli scontri post-elettorali del 1 marzo 2008, che avevano causato 10 morti e centinaia di feriti.

"L’attuale crisi molto probabilmente sarà perfino più grave e più difficile da superare di quella dei primi anni ’90, che aveva avuto luogo in un periodo globalmente prospero per l’economia", ha continuato, predicendo non solo il crollo del dram, ma anche un incremento vertiginoso della disoccupazione e tagli nelle spese governative. Senza dubbio le sue parole iniziano ora a suonare vere a molti.

Da più parti, negli ambienti internazionali, la manovra era stata comunque prevista. Intervistato da Osservatorio Balcani e Caucaso alcune settimane prima del crollo, un importante diplomatico occidentale aveva dichiarato che era solo una questione di tempo. E mentre i critici del governo armeno comprensibilmente hanno utilizzato il tracollo per convalidare le precedenti accuse di cattiva gestione dell’economia, i funzionari internazionali e gli istituti di credito finanziario hanno invece cercato di mostrarsi ottimisti di fronte ai giornalisti.

In un comunicato scritto, la Banca Centrale sostiene che la svalutazione favorirà i produttori locali e beneficierà le esportazioni, incoraggiando anche la creazione di nuovi posti di lavoro. Se così fosse, hanno replicato i critici, perché questo non è accaduto in precedenza? Intanto, le istituzioni finanziarie internazionali hanno appoggiato la manovra stanziando un prestito di 540 milioni di dollari, che si vanno ad aggiungere ai 500 milioni di dollari già allocati dalla Federazione Russa.

"Il pacchetto complessivo delle misure predisposte dalle autorità armene in collaborazione con lo staff del Fondo monetario internazionale comprende il ritorno ad un regime di tassi di cambio variabili… insieme a politiche di sostegno nei settori monetario, fiscale e finanziario e a riforme strutturali ben indirizzate", ha dichiarato il direttore amministrativo del FMI, Dominique Strauss-Kahn.

Nonostante anche la Banca mondiale abbia appoggiato la manovra e ne abbia evidenziato i benefici, i produttori locali non sono stati altrettanto entusiasti, rimarcando che la competitività sui mercati internazionali è limitata da altri fattori. Le rotte per l’esportazione, bloccate dall’Azerbaijan e dalla Turchia, passano principalmente dalla Georgia e già sono divenute più costose, inoltre la produzione locale deve confrontarsi con il costo delle materie prime importate, che è destinato a crescere.

Alcuni ipotizzano anche che i tassi di interesse delle banche locali verranno aumentati e che l’economia locale sarà colpita dalla costante diminuzione delle rimesse dai lavoratori emigrati all’estero, in particolare in Russia. Dal momento che alcuni imprenditori locali hanno ipotizzato che i presunti benefici apportati dalla svalutazione del dram saranno inficiati da altre realtà, la settimana scorsa Tbilisi è entrata ufficialmente nel dibattito.

"L’economia armena è virtualmente crollata in un paio di settimane", ha affermato il presidente georgiano Mikheil Saakashvili alla fine della settimana. "Perché l’Armenia è crollata? Perché dipendeva completamente dal mercato russo. Il mercato russo è crollato e l’economia armena lo ha seguito". Yerevan ha subito criticato queste affermazioni, collegandole alla crescente pressione politica interna, che chiede le dimissioni del presidente georgiano.

Le settimane e i mesi a venire diranno se l’Armenia sarà capace di gestire la crisi economica, ma altri segnali preoccupanti sono già apparsi all’orizzonte. Mentre vengono segnalate interruzioni della produzione in settori chiave dell’economia come l’industria mineraria, sembra probabile che l’inflazione crescerà. Inizialmente prevista intorno al 4 per cento, ora si prevede che crescerà fino all’8-9 per cento.

La Banca Mondiale ritiene anche che la crescita del PIL del paese rimarrà probabilmente sullo zero per cento nel 2009, invece del 9,2 per cento inizialmente predetto dal governo. Altri sono ancora più pessimisti, ipotizzando che l’Armenia entrerà in una leggera recessione e che il dram si deprezzerà di un ulteriore 30 per cento nel corso dei prossimi mesi.

D’altro canto alcuni analisti suggeriscono che il maggiore slancio nell’attuale processo di riavvicinamento tra Armenia e Turchia potrebbe permettere la riapertura della frontiera tra i due paesi, chiusa dalla Turchia nel 1993 quando infuriavano i combattimenti tra Armenia e Azerbaijan sul territorio conteso del Nagorno Karabakh. Tale mossa potrebbe apportare dei benefici a entrambi i paesi, mentre la crisi globale schiude le porte ad un futuro economico incerto.

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