Dopo il terremoto
Gyumri, la città simbolo del sisma che 21 anni fa colpì l’Armenia. Tra le persone ancora senza casa, in attesa di un possibile rilancio della regione per l’apertura del confine con la Turchia. Nostro reportage
7 dicembre 1988, 11.41 di mattina: un terremoto di 6,9 gradi sulla scala Richter colpisce l’Armenia settentrionale, uccidendo 25.000 persone e lasciandone molte altre senza casa. Mikhail Gorbachev, allora Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, interrompe una visita ufficiale negli Stati Uniti per recarsi nella piccola Repubblica sovietica del Caucaso meridionale, mentre la notizia della catastrofe viene trasmessa dai media di tutto il mondo. La povertà comincia a crescere in maniera esponenziale mentre l’Armenia piange i suoi morti.
Centinaia di milioni di dollari arrivano nel Paese per gli aiuti e la ricostruzione, ma due ulteriori eventi di pari importanza ben presto frustrano gli sforzi di riedificare l’area disastrata dal sisma. Nel 1991 infatti l’Armenia dichiara l’indipendenza dall’Unione Sovietica e nel 1993, come misura di sostegno all’Azerbaijan in guerra con l’Armenia per il Nagorno Karabakh, la Turchia chiude i propri confini terrestri con il vicino orientale.
Mentre la corruzione avanza nel Paese, la guerra, i due confini chiusi e il blocco economico da parte della Turchia e dell’Azerbaijan, si aggiungono ai problemi dell’Armenia.
A Gyumri, seconda città dell’Armenia e maggior centro urbano colpito dal terremoto, la situazione ancora oggi appare più desolante che mai e questo nonostante la relativa crescita economica degli ultimi 5 anni e le promesse dell’allora presidente Robert Kocharyan di ricostruire completamente la città.
Una volta Gyumri era conosciuta per la sua architettura, la sua importanza come centro culturale e per il senso dello humor dei suoi abitanti. Oggi è diventata sinonimo di terremoto ed è conosciuta per i suoi domiks, ripari "temporanei" corrispondenti di solito a container di metallo o baracche malridotte, calde d’estate e freddissime d’inverno, dove si sono sistemati molti terremotati. Altri, più fortunati, hanno invece trovato rifugio in palazzi abbandonati, lasciati vuoti durante il periodo del collasso economico che è seguito all’indipendenza.
Vartik Ghukasyan ha 71 anni ed è sola. Orfana, non si è mai sposata e ora lotta per la sopravvivenza nella cadente foresteria di una ex fabbrica di Gyumri, con una pensione di soli 25.000 dram (circa 50 euro) al mese. La sua precaria condizione abitativa, peraltro, potrebbe anche cambiare in peggio dal momento che sempre più edifici vengono privatizzati oppure gli ex proprietari cercano di rientrarne in possesso.
In base al censimento del 2001, la popolazione di Gyumri è di 150.000 persone. Alcuni ritengono addirittura che la popolazione arrivi a 160, 170.000. Tuttavia, pochi tra i residenti prendono seriamente queste cifre. Basandosi sulla bassa frequenza scolastica, ritengono che la popolazione attuale non superi quota 70.000. E, nonostante l’esodo, ci sono ancora dalle 4 alle 7.000 famiglie – secondo stime differenti – che vivono in rifugi temporanei.
Anush Babajanyan, una foto-giornalista ventiseienne di Yerevan, è una delle poche professioniste dell’informazione ancora preoccupate per le condizioni di queste persone. Dopo aver trascorso l’anno passato a documentare le vite di quanti ancora aspettano una casa decente, la Babajanyan ha cercato di attrarre l’attenzione su di loro presentando il proprio lavoro in una mostra a Yerevan.
"Quando ho cominciato questo lavoro erano passati 20 anni dal terremoto, e c’erano ancora famiglie che vivevano in domiks senza ricevere alcuna attenzione", ha dichiarato ad Osservatorio. "Il governo ed altre organizzazioni hanno promesso di risolvere il problema del loro alloggio, ma non hanno fatto abbastanza. Da allora non ho notato miglioramenti significativi."
"Se la questione non è stata risolta in 20 anni, probabilmente non bisogna sorprendersi del fatto che in un anno poche cose siano cambiate. Sono passati già due anni, tuttavia, da quando Serge Sargsyan, allora Primo ministro e oggi presidente dell’Armenia, ha dichiarato che il problema di queste persone sarebbe stato risolto. Malgrado alcuni quartieri siano attualmente in fase di ricostruzione, questo non basta."
Gyumri è il capoluogo dello Shirak, una regione impoverita che molti in Armenia e nella grande diaspora di questo Paese sembrano aver dimenticato. La città soffre di tassi di disoccupazione più alti della media nazionale. Le agenzie di viaggio pubblicizzano collegamenti tra l’aeroporto locale e la Russia. Come altrove in quest’area, l’unica speranza di una vita migliore è all’estero. Con una crisi economica globale che colpisce duramente la Comunità degli Stati Indipendenti, tuttavia, anche negli altri Paesi ora ci sono meno opportunità.
Quest’anno il prodotto interno lordo pro capite in Armenia è crollato del 14%, molto più di quanto registrato in Azerbaijan o Georgia, mentre la povertà e l’estrema povertà – già calcolate a partire da una soglia molto bassa – sono cresciute rispettivamente dal 25,6% e 3,6% del 2008 agli attuali 28,4% e 6,9%. Secondo esponenti della società civile locale, quelle cifre potrebbero essere più alte del doppio a Gyumri.
Qualcuno, però, ritiene che la città potrebbe ricevere grandi benefici dall’apertura dei confini con la Turchia, trasformandosi in un grande centro economico e di collegamento per il commercio tra i due Paesi. A soli 8 km da Gyumri, infatti, c’è il villaggio di Akhurik, uno dei due punti di frontiera attualmente chiusi. Prima della partita di qualificazione ai mondiali tra Armenia e Turchia tenutasi l’anno scorso a Yerevan, sono stati effettuati lavori di riparazione sulla linea ferroviaria che collega Gyumri con la città turca di Kars.
Quando il presidente turco Abdullah Gül ha fatto la sua storica visita in Armenia, per assistere a quella partita, agli abitanti del villaggio era stata nuovamente data la speranza che l’apertura delle frontiere sarebbe stata imminente. "Sarà ottimo se si aprono le frontiere – aveva dichiarato al tempo un residente a Radio Free Europe. In passato lavoravamo, c’erano 40 famiglie a beneficiare dell’indotto creato dalla ferrovia. Ora se ne stanno tutti senza far niente o devono scegliere di emigrare in Russia. Sarà un bene quando si riaprirà la linea."
L’Azerbaijan, tuttavia, fa pressione sulla Turchia perché non firmi i due protocolli diretti al ristabilimento delle relazioni diplomatiche e all’apertura dei confini con l’Armenia, fino a quando non verrà risolta la questione del conflitto per il Karabakh. Passi in avanti sulla questione appaiono quindi sempre più incerti, mentre disoccupazione e povertà sono in ascesa. In nessun luogo questo è più evidente che nella cittadina di Ashotsk, a soli 30 minuti da Gyumri. Karine Mkrtchyan, portavoce della organizzazione non governativa Caritas Armenia, descrive la situazione di questo paese come esemplare.
"Troverete ovunque luoghi abbandonati, specie spazi pubblici", dice. "Sono tutti in rovina. Non ci sono strutture, c’è carenza di acqua potabile e di irrigazione. La gente è lasciata sola a risolvere i propri problemi. Ci sono stati i morti per il terremoto e poi la perdita di abitanti per l’emigrazione di massa, che si è interrotta alla fine degli anni ’90 per poi ricominciare nel decennio successivo. Oggi le persone che decidono di emigrare sono ancora più numerose di allora."
La settimana scorsa, nel ventunesimo anniversario del terremoto, il governo ha cercato di replicare alle critiche di immobilismo e disinteresse per la difficile situazione socio economica di Gyumri. Dopo aver inaugurato una raffineria di zucchero di proprietà di uno dei più noti oligarchi del Paese, il presidente armeno ha visitato Gyumri promettendo che 5.300 nuove case saranno destinate entro il 2013 a quanti sono ancora senza un tetto.
Il progetto edilizio, che vale 50 milioni di euro, è stato reso possibile grazie ad un prestito anti-crisi di 350 milioni di euro da parte della Federazione Russa.
Bisognerà vedere se queste promesse verranno mantenute. I critici dell’azione del governo non sembrano entusiasti. In effetti, come sottolineano, anche se gli appartamenti saranno costruiti e distribuiti in tempo, ci saranno voluti 25 anni per farlo. Inoltre, per le persone nate a Gyumri, come la Mkrtchyan, la necessità di investimenti e di sviluppo in tutta l’Armenia, fuori dalla capitale Yerevan, rimane più urgente che mai.