Armenia: il trentennale delle difficoltà
Dopo trent’anni di indipendenza l’Armenia si trova più disorientata che mai: istituzioni corrotte, politica polarizzata, sicurezza nazionale in mano alla Russia. E con l’Azerbaijan che continua a premere ai confini
Il 21 settembre sono stati celebrati i 30 anni di indipendenza armena. Il paese ha dichiarato la propria indipendenza durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh, e la ricorrenza è caduta proprio durante la seconda. Le due guerre hanno avuto esiti opposti, ma sia da vincitrice – dopo la prima – che da sconfitta, l’Armenia rimane un paese in estrema difficoltà.
Di guerra in guerra
Dal 1988 al 1994 c’è stata la prima guerra del Karabakh, vinta dagli armeni. Tutti gli azeri fuggirono e la piccola regione dichiarò l’indipendenza. Gli armeni da soli hanno abitato il Nagorno Karabakh e la cosiddetta campana di sicurezza (7 regioni che circondano la regione) fino al settembre 2020, quando le ricorrenti schermaglie tra i due paesi sono degenerate in una guerra totale. Per l’Armenia questi sono stati trent’anni di isolamento regionale, con i confini di terra chiusi con l’Azerbaijan e il suo alleato turco, e tagliata fuori da tutti i progetti di sviluppo regionale nei vitali settori energetico, dei trasporti e delle comunicazioni.
La seconda guerra è durata 44 giorni e l’Armenia ne è uscita sconfitta. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2020, Armenia, Azerbaijian e Russia hanno firmato un accordo mediato dalla Russia che ha posto fine alle ostilità . La Russia ha schierato un contingente di forze di pace di oltre 2000 unità nell’area del Nagorno Karabakh ancora sotto il controllo armeno e su un corridoio di terra verso quest’area.
La cintura di sicurezza e parte del Nagorno Karabakh sono state riconquistate dall’Azerbaijan e tutti gli armeni che vivevano lì sono fuggiti, causando una crisi umanitaria nazionale. Alcuni di loro sono tornati in seguito nella parte del Karabakh ancora sotto il controllo armeno, altri sono rimasti in Armenia, avendo perso tutto.
La gestione della guerra e la sconfitta eclatante hanno precipitato l’Armenia in una profonda crisi politica. Le tensioni sono aumentate anche per quanto riguarda la situazione umanitaria, e in più di un’occasione i parenti dei prigionieri di guerra hanno letteralmente assediato il ministero della Difesa.
Il primo ministro in carica Nikol Pashinyan è stato confermato primo ministro nelle elezioni successive – nonostante una difficile e dura campagna elettorale – ma il suo margine d’azione è ora molto più limitato rispetto a quando ha ottenuto il suo primo mandato.
L’Armenia ora fa molto affidamento sulla Russia per la sicurezza interna, se non per la sua stessa esistenza. Sono stati creati nuovi siti militari russi e il contingente di peacekeeper è l’unico garante della presenza degli armeni su parte del territorio del Karabakh.
L’[in]sicurezza
La situazione della sicurezza si sta gravemente deteriorando a causa di nuove fonti di conflitto con l’Azerbaijan. Il confine interstatale tra i due belligeranti non è mai stato delimitato, perché il Nagorno Karabakh negli anni 1994-2020 aveva sempre fatto da zona cuscinetto. Ora i due paesi dovrebbero accordarsi per delimitare i confini comuni, ma mappe diverse e sfiducia reciproca stanno minando il processo. Nuovi scontri, questa volta non circoscritti nell’area del Nagorno Karabakh ma estesi a tutto il perimetro del confine, si stanno verificando con frequenze crescenti .
Una nuova crisi si è aperta recentemente: l’autostrada Goris-Kapan, due località armene, passa ora in parte in territorio azero. L’Azerbaijan ha cominciato a esercitare piena sovranità sul tratto che attraversa il proprio territorio imponendo il proprio regime doganale ai camion, soprattutto iraniani, che attraversano il territorio. Su questo si è mosso anche l’Iran, i cui vertici hanno incontrato gli omologhi dell’Azerbaijan e a cui preme garantire le proprie esportazioni. Ad oggi però l’unica soluzione duratura appare la costruzione di un by-pass in territorio armeno che verrà costruito con fondi russi.
Preservare il paese
L’Armenia rischia di trasformarsi in uno stato fallito: il paese ha confini incerti e insicuri, una vita politica turbolenta, disfunzioni istituzionali e un’opinione pubblica fortemente polarizzata. Inoltre, l’Armenia sta praticamente esternalizzando la propria sicurezza alla Russia, vista la propria impossibilità di resistere a un attacco combinato azero-turco. La corruzione endemica ha messo a dura prova la tenuta del sistema-paese e le campagne anti corruzione che hanno seguito la rivoluzione di velluto devono tenere conto dei limiti posti dalla nuova situazione: le indagini sulla gestione delle ferrovie , in mano russa, per esempio, difficilmente potranno procedere con la stessa assertività di prima della guerra, ora che la Russia sarà la protagonista della ricostruzione post-bellica e della ipotetica creazione della nuova rete di comunicazioni su cui Mosca sta investendo tanto e frutto di un nuovo accordo trilaterale dell’11 gennaio 2021.
Il 21 settembre si è celebrato il trentennale dell’indipendenza armena. La consapevolezza del peso della situazione che si è man mano andata creando in questi tre decenni è emersa nelle parole del presidente Armen Sarkissian, quasi un discorso programmatico per una Armenia pragmaticamente funzionante, in cui lo stato e la nazione sono prima di tutto un comportamento virtuoso individuale, prima ancora che il sogno di un popolo perseguitato e circondato da nemici, come gli armeni si sentono da decenni: “Per 30 anni, a causa di vari motivi oggettivi e soggettivi, non siamo stati in grado di realizzare appieno l’opportunità offerta dall’indipendenza, sviluppare la nostra vittoria e il nostro successo – ha affermato Sarkissian – tutto sembrava essere lì perché accadesse, dal sogno all’idea, dall’eccitazione alla volontà, dall’esperienza del passato alla ricerca del futuro. Intanto oggi si scopre che non abbiamo apprezzato quello che avevamo. […] Il colpo ricevuto circa trent’anni dopo, purtroppo, è arrivato sotto forma di una nuova guerra".
Armen Sarkissian ha poi invitato a prendere atto in modo razionale della realtà: "Oggi la storia del nostro Paese, la gente, il presente e il futuro si intrecciano. Dobbiamo imparare dal passato. Allo stesso tempo, non dobbiamo lasciare che il passato ci impedisca di andare avanti. La sicurezza nazionale è e rimarrà per lungo tempo la questione più importante per la nostra Patria. Dobbiamo fare tutto il possibile per rafforzare il nostro sistema di sicurezza. Senza un forte sistema di sicurezza, non ci può essere sviluppo o progresso. Dobbiamo compiere maggiori sforzi per lo sviluppo futuro della nostra Patria, l’Armenia e l’Artsakh [Nagorno-Karabakh]. Ma prima, dobbiamo valutare e realizzare il valore vitale di uno stato indipendente realisticamente, non emotivamente. La statualità diventa una realtà quando vive in noi, nel nostro lavoro, nel nostro modo di vivere, nella nostra famiglia e nel nostro modo di pensare. Dobbiamo avere un’agenda, una visione e un programma nazionali e statali chiari, che devono guidare le nostre azioni anche nei contatti con i nostri partner e nelle relazioni internazionali in generale”.