Armenia-Azerbaijan, una pace difficile

Speranza e tensione alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco mentre i leader armeno e azerbaijano si sono incontrati per discutere il trattato di pace. L’iniziale ottimismo per lo storico incontro ha ben presto lasciato spazio alle tensioni irrisolte fra Pashinyan e Aliyev

23/02/2023, Onnik James Krikorian -

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© Svet foto/Shutterstock

Secondo alcuni è stato un evento storico. Il 18 febbraio, durante la Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco in Germania, i leader armeno, azerbaijano e georgiano si sono incontrati per la prima volta dal crollo dell’Unione sovietica. Alla tavola rotonda “Spostare le montagne: come garantire la sicurezza nel Caucaso meridionale” era presente anche la Segretaria generale OSCE Helga Scmid.

Alla vigilia, tuttavia, si notava l’assenza del nome del primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Mentre alcuni hanno twittato la loro disapprovazione, altri hanno tirato un sospiro di sollievo, dato che l’ultima volta che Pahinyan aveva condiviso la scena con il presidente azerbaijano Ilham Aliyev, nel 2020, la discussione era rapidamente degenerata.

"Non fatelo mai più", aveva twittato all’epoca l’analista senior dell’International Crisis Group (ICG) Olesya Vartanyan.

E invece l’hanno fatto di nuovo, anche se in formato più allargato e anche se la presenza di Pashinyan è stata una sorpresa dell’ultimo minuto per tutti.

"Il suo nome non era citato nella proposta iniziale che mi è stata data", ha dichiarato Aliyev ai giornalisti. "Probabilmente ha deciso di partecipare ieri sera. Penso che questo sia un buon sviluppo perché, finalmente, può essere avviata una cooperazione fra i tre paesi del Caucaso meridionale".

Il presidente dell’Azerbaijan ha anche dichiarato ai media che si potrebbe discutere dell’istituzione di un formato regionale a Tbilisi, facendo eco al rappresentante speciale dell’UE per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia, Toivo Klaar.
"È molto importante che i tre paesi del Caucaso meridionale lavorino insieme e contribuiscano alla pace", aveva affermato Klaar in un’intervista all’emittente pubblica georgiana dieci giorni prima. "E qui il ruolo della Georgia come ponte tra Armenia e Azerbaijan è molto importante".

Nonostante le preoccupazioni per l’esito della tavola rotonda, ci sono stati anche segnali ancora più positivi.

Poche ore prima, il Segretario di Stato americano Antony Blinken aveva facilitato un incontro trilaterale con i leader armeno e azerbaijano a margine della conferenza. Ad accompagnarli c’erano il segretario del Consiglio di sicurezza armeno Armen Grigoryan, il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan, il suo omologo Jeyhun Baramov e il consigliere presidenziale azerbaijano Hikmet Hajiyev.

In sostanza, erano presenti i tre principali funzionari coinvolti nei processi negoziali armeno-azerbaijani. Ad accompagnare il Segretario di Stato americano c’erano anche l’Assistente del Segretario di Stato Karen Donfried e il nuovo Senior Advisor per i negoziati sul Caucaso, Louis L. Bono.

"Crediamo che l’Armenia e l’Azerbaijan abbiano un’autentica opportunità storica per una pace duratura dopo oltre 30 anni di conflitto", ha detto Blinken ai media prima che l’incontro continuasse a porte chiuse.
Anche questa è stata senza dubbio un’occasione storica. Era la prima volta che l’amministrazione Biden riusciva a riunire i leader armeno e azerbaijano. L’anno scorso, Blinken aveva solo convocato una riunione dei due ministri degli Esteri, mentre il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan aveva riunito Armen Grigoryan e Hikmet Hajiyev a Washington DC.

Aliyev ha definito costruttivi i colloqui e ha anche confermato che Baku aveva accolto gli ultimi commenti e suggerimenti di Yerevan sul testo di un possibile trattato di pace bilaterale, ma è chiaro che permangono divergenze.
"A prima vista ci sono progressi nella posizione dell’Armenia, ma non sono sufficienti", ha commentato Aliyev, che ha anche annunciato che durante l’incontro aveva proposto a Yerevan di istituire controlli alle frontiere su una rotta ancora da aprire che collega l’Azerbaijan attraverso l’Armenia alla sua exclave di Nakhichevan. A sua volta, Baku introdurrà i propri posti di blocco sul corridoio di Lachin che collega l’Armenia al Karabakh attraverso l’Azerbaijan.

Definita nei circoli azerbaijani il "Corridoio Zangezur", la rotta Nakhichevan è un punto critico nel processo negoziale da almeno un anno. È anche una delle possibili ragioni dell’attuale impasse nel Corridoio Lachin, parzialmente bloccato da sedicenti "eco-attivisti" azerbaijani.

Da oltre due mesi, i veicoli delle forze di pace russe e del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) possono viaggiare sul Corridoio di  Lachin o portare assistenza umanitaria alla popolazione di etnia armena del Karabakh. Questo tema è stato naturalmente sollevato nell’incontro con Blinken.

"Nikol Pashinyan ha sottolineato il blocco illegale del corridoio di Lachin da parte dell’Azerbaijan e la conseguente crisi umanitaria, ambientale ed energetica nel Nagorno Karabakh", si legge in una dichiarazione ufficiale armena, che però termina anch’essa con una nota positiva. "È stata evidenziata la continuità del processo di pace tra Armenia e Azerbaijan".

Nonostante quello che sembrava essere un ulteriore impegno in direzione di questo processo, l’atmosfera è successivamente peggiorata, anche se le osservazioni iniziali di Aliyev sono state incoraggianti.
"Abbiamo avuto la nostra guerra due anni fa, che è durata 44 giorni", ha affermato. “Sappiamo quale tragedia la guerra porta alle persone. L’Azerbaijan e l’Armenia devono dimostrare quanto sia importante la pace. Attualmente stiamo lavorando ad un accordo di pace. E questo può essere un buon esempio di come la pace possa porre fine al dolore e alle tragedie dei conflitti”.

Eppure alle domande del moderatore, il presidente della Conferenza sulla sicurezza di Monaco Christoph Heusgen, il clima tra Aliyev e Pashinyan si è rapidamente deteriorato, lasciando il primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, scomodamente nel mezzo. Il nodo della discordia era, ovviamente, Lachin.

"La continuazione della crisi può causare conseguenze umanitarie irreversibili per gli armeni del Nagorno Karabakh", ha accusato Pashinyan, riferendosi al lungo stallo. Per tutta risposta, Aliyev ha chiesto che il termine "Nagorno Karabakh" non fosse più utilizzato negli ambienti internazionali.

Pashinyan ha ribattuto che il termine era nella dichiarazione di cessate il fuoco del novembre 2020 e anche che il corridoio di Lachin non era stato posto sotto il controllo dell’Azerbaijan.

A sorpresa, Pashinyan ha poi fatto riferimento alle affermazioni di Baku secondo cui dozzine di moschee erano state distrutte dalle forze armene durante i quasi tre decenni in cui controllavano di fatto sette regioni adiacenti all’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO). Quei territori sono stati restituiti a Baku dopo la guerra del 2020, ma Aliyev non aveva sollevato la questione delle moschee.

“Sembra che l’Azerbaijan stia cercando di dare a tutta questa situazione un contesto religioso. Ma non c’è un contesto religioso in questo conflitto. C’è una minoranza musulmana in Armenia e abbiamo una moschea funzionante", ha affermato Pashinyan, presumibilmente riferendosi ai minuscoli resti di ciò che resta della comunità curda musulmana dell’Armenia e alla Moschea Blu nel centro di Yerevan.

Tuttavia, Pashinyan ha tentato di concludere con una nota più costruttiva.

"Abbiamo una storia molto complicata", ha detto. “E anche questo è un incontro storico, ma a che scopo vogliamo usarlo? Per fomentare intolleranza, odio, retorica violenta? O, al contrario, vogliamo utilizzare questa piattaforma per migliorare la situazione?".

Anche Aliyev, in risposta ad una domanda del pubblico, ha ribadito l’impegno di Baku nei confronti del processo di Bruxelles dei colloqui di pace con Yerevan, facilitati dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Tuttavia, in precedenza aveva anche giustificato la devastante guerra del 2020 che ha causato la morte di oltre 6.000 persone.

“I negoziati di pace a volte richiedono troppo tempo. Il nostro è durato 28 anni. Questo andava bene per l’Armenia e i suoi sostenitori, che volevano continuare l’occupazione delle nostre terre", ha detto, riferendosi anche alla dichiarazione di cessate il fuoco del novembre 2020 che ha posto fine alla guerra lo stesso anno come "un atto di capitolazione", facendo arrabbiare gli spettatori armeni.

Nonostante i problemi tecnici con la diretta, quella che avrebbe potuto rivelarsi un’opportunità costruttiva e storica per i tre leader del Caucaso meridionale per discutere di cooperazione e sicurezza regionale ha invece messo a nudo ancora una volta le divisioni che affliggono la regione da oltre trent’anni.

Tuttavia, il Segretario di Stato americano Antony Blinken si è mantenuto positivo riguardo al proprio incontro con i leader. "Lieto di sentire che il processo di pace Armenia-Azerbaijan è sulla buona strada e che i negoziati tra le due parti stanno continuando", ha twittato il giorno successivo, glissando sulle tensioni emerse.

In una conferenza stampa del 22 febbraio, anche il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price è apparso ottimista e ha detto ai giornalisti che le parti armena e azerbaijana “si riuniranno a Bruxelles nei prossimi giorni nei colloqui ospitati dal presidente UE Michel. […] ci sono stati progressi significativi di cui abbiamo preso nota. Faremo tutto il possibile affinché i progressi continuino”.

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