Verso elezioni anticipate

Lo pensa Lorenc Vangjeli, tra i più attenti analisti politici albanesi, secondo il quale in Albania si sta uscendo dalla fase di stallo e si arriverà ad elezioni anticipate. Le previsioni del politologo a pochi giorni dalla manifestazione in cui l’opposizione ritornerà nelle piazze

26/04/2010, Marjola Rukaj - Tirana

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Proteste a Tirana

Nove mesi dalle ultime elezioni politiche e l’Albania rimane in una situazione di stallo post-elettorale. A chi attribuirne la responsabilità?

L’Albania giace in una profonda crisi, di cui la parte più visibile è quella politica, ma non è l’unica. La crisi che ha colpito il paese negli ultimi mesi riguarda più aspetti: l’economia, la società e persino una crisi profonda degli albanesi, costretti a dover convivere con tale situazione di stallo.

Secondo la Costituzione ai governanti sono affidate le redini dello Stato per quattro anni. Ma questo avviene se coloro che concedono questo diritto, cioè i cittadini, sono convinti di aver fatto la scelta giusta e che il risultato ottenuto dalle elezioni sia la loro vera volontà.

Oggi persino i più scettici si stanno convincendo del fatto che questo non sia avvenuto nelle elezioni dello scorso 28 giugno. Oggi è evidente che l’Albania dopo vent’anni dalla caduta del comunismo è l’unico paese dei Balcani occidentali a non essere riuscito ad organizzare delle elezioni libere e democratiche. La responsabilità in senso lato appartiene a tutta l’attuale classe politica albanese, la quale ha costantemente dimostrato di avere un rapporto difficile con il potere, ma la responsabilità diretta va in primis al governo attuale. Si tratta di una responsabilità con cui gli albanesi devono fare i conti giorno dopo giorno.

Nei prossimi giorni l’opposizione ha intenzione di riprendere una campagna di manifestazioni di piazza, a cosa porteranno?

Questi nove mesi post-elettorali possono essere suddivisi in due fasi: la prima va fino alla grande manifestazione in piazza il 20 novembre 2009, la seconda fase, che stiamo attraversando tutt’ora, a mio avviso si concluderà il prossimo 30 aprile, alla prossima grande manifestazione che l’opposizione ha indetto su scala nazionale. Nella prima fase l’opposizione è riuscita ad ottenere un biglietto d’entrata per partecipare alla discussione sulle modalità della soluzione della crisi, nella seconda fase si cerca di staccare il biglietto per un possibile compromesso. E’ infatti chiaro a tutti che non si possa andare oltre in questo vicolo cieco.

La contestazione dell’opposizione non è legata solo alla futura presa del potere, è bensì qualcosa di più, che riguarda la negazione del potere di oggi, e la discrepanza percepita tra la volontà dell’elettorato e l’attuale governo. Se l’opposizione riuscirà ad accogliere attorno a sé tutto lo scontento della società civile, le delusioni e la mancanza di legittimità con cui è andato al potere questo governo, ecco che si andrà verso elezioni anticipate. Le elezioni anticipate non sono né un dramma, né un trauma. E’ un mezzo di cui la democrazia dispone per sfogare una pressione sempre più crescente della società. Non sconvolgeranno nessuno in un paese come l’Albania, dove i drammi e i traumi sono stati tutt’altro che una rarità.

Quale sarebbe la soluzione in termini concreti?

In sostanza tutte le infinite crisi cicliche che hanno colpito l’Albania scaturiscono dalla sfiducia immutabile dei governati nei confronti dei governanti, che da anni trattano l’Albania come un feudo personale. Le libere elezioni sono a mio avviso l’unica soluzione. Finora l’impossibilità di avere elezioni libere è stata un vero e proprio tumore della società albanese, che non potrà essere guarito con mezze misure, compromessi o soluzioni temporanee e parziali.

Nella crisi attuale in Albania è difficile definire la posizione assunta dagli osservatori e dai diplomatici internazionali. Spesso la percezione è che sostengano lo status quo e il premier Berisha, a scapito della soluzione della crisi passando per le urne contese…

Noi albanesi non siamo ancora riusciti a stabilire un equilibrio tra quello che succede nel nostro piccolo orto e quello che avviene nel grande mondo globalizzato. Durante il comunismo la convinzione grottesca che fossimo l’ombelico del mondo rendeva più sopportabile la povertà e la mancanza di libertà. Oggi la libertà ci ha aperto gli occhi davanti alla nostra povertà non solo economica, e ci ha fatto scendere coi piedi per terra facendoci realizzare che non siamo proprio il centro del mondo. Dall’estero possono venire solo ricette, ma l’azione per risolvere i nostri problemi cronici spetta esclusivamente a noi. Sembra però che non ce ne siamo ancora capacitati, oggi come ieri.

Un elemento tipico di questo conflitto infinito è il linguaggio estremamente aggressivo e spesso poco etico, con cui il premier Berisha si rivolge ai propri avversari politici…

Purtroppo questo fatto prova che nella nostra società, secondo la peggior tradizione possibile, il più forte e il più abile continua ad essere chi ottiene il potere manifestando arroganza, non maturità. Secondo i nostri canoni tradizionali, il più abile è il capoguerriero, non il diplomatico, quindi quello che è predisposto alla guerra e non alla pace. Offendere, insultare, incitare all’odio, sono tutti elementi che manifestano la forza; e questo purtroppo nella politica albanese è diventato una normalità, al punto che il premier non stupisce più nessuno. E’ sconcertante. Il premier può vantarsi di aver introdotto questo meccanismo parapolitico che gli permette di utilizzare i media per apparire in diretta gettando fango su tutto e tutti. Al suo seguito si raduna una schiera di seguaci obbedienti il cui scopo è amplificare gli effetti dello stesso fango, che una volta giunto al bersaglio, viene ricambiato per nostra sfortuna più o meno con la stessa nefasta moneta.

Nel frattempo ai cittadini albanesi è stata negata la liberalizzazione dei visti. Quale il messaggio da Bruxelles?

Dire che ci sia stata negata la liberalizzazione dei visti significa implicitamente sostenere che si trattava di qualcosa che ci meritavamo, ma che Bruxelles non ci ha concesso. Sarebbe una gran consolazione se così fosse, ma non sono di questo parere. Secondo gli standard europei della democrazia e i criteri tecnici di cui per ora disponiamo, noi albanesi abbiamo meritato di rimanere al di qua del recinto delle ambasciate, con il solito fascicolo voluminoso in paziente attesa del tanto bramato visto Schengen. I colpevoli, sono sempre e comunque i governanti che hanno gestito troppo arbitrariamente questo paese.

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