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Nazionalismo formato ONG
Dopo l’indipendenza del Kosovo è divenuto un vero e proprio tabù e i politici di Pristina e Tirana preferiscono non parlarne. E’ la Grande Albania. Mito evocato però a sorpresa da numerose organizzazioni giovanili in Albania e Kosovo
Dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo, la Grande Albania, è diventata un argomento tabù, che i politici di Tirana e di Pristina non perdono occasione a sconsacrare pubblicamente per inviare messaggi rassicuranti di pace e stabilità nei Balcani.
Ma come qualcuno temeva l’indipendenza del Kosovo rischia di alimentare il nazionalismo albanese, almeno negli ambienti al margine del mondo politico e della vita pubblica di entrambi i paesi. Fa pensare a ciò l’iniziativa presa da una decina di ONG panalbanesi che si sono prefisse di convincere l’opinione pubblica albanese e in particolar modo i giovani sul fatto che un’unione tra Albania e Kosovo "non comporta che vantaggi per entrambe le parti".
Protagonisti della rete (ROSH – rete delle ONG albanesi) sono il Vetëvendosja di Albin Kurti, diverse ONG di svariato carattere degli albanofoni nei territori ex-jugoslavi, e per lo stupore di tutti il Mjaft, il movimento che per anni si era fatto carico dei problemi della società albanese denunciando spesso limiti e inefficienze dei politici di Tirana.
La ROSH ha intrapreso una serie di incontri con i giovani di tutte le ”terre albanesi”, organizzando convegni in diversi atenei, tra cui quelli di Tirana. Lo scopo è quello di convincere i giovani a sostenere qualcosa che i politici non hanno coraggio di dire. Il linguaggio usato dai relatori, riportato con grande fedeltà nei media albanesi, è stato estremamente nazional-romantico, tanto che difficilmente si poteva scorgere qualche argomentazione razionale o analisi degli attuali itinerari socio-politici, geopolitici o economici ecc.
Tra i relatori principali come ovvio vi era Albin Kurti, leader di Vetëvendosja, che negli ultimi anni sta vivendo un pesante calo di popolarità tra i cittadini kosovari delusi ed esausti dagli sviluppi politici e i risultati concreti che stentano a vedersi. Da tempo le manifestazioni di Vetëvedosja ricevono scarsa adesione e diminuisce radicalmente l’attrazione verso l’alternativa politica che propone, idealista e revanscista.
Negli atenei albanesi Kurti ha espresso senza mezzi termini anche le sue posizioni politiche nei confronti dei suoi rivali di Pristina. "Basta un referendum in Kosovo e in Albania, per dimostrare a tutti ciò che gli albanesi vogliono per il futuro della loro nazione", ha semplificato Kurti. "Gli albanesi divisi sono dei bocconi appetibili per i loro vicini serbi e greci, ma uniti fanno un boccone che non può essere divorato da nessuno in alcun modo", ha argomentato il leader del Vetëvendosja, ritenendo che il Kosovo e l’Albania divisi rischiano di diventare un giorno multietniche a causa delle minoranze etniche inventate dai vicini. "I politici di Tirana e di Pristina non vogliono che il Kosovo e l’Albania si uniscano a causa dei loro interessi personali, e dei business che gestiscono ognuno per sé" ha denunciato.
Tra gli argomenti che secondo Kurti porterebbero gli albanesi da entrambe le parti del confine a unirsi sarebbero: "Una storia comune fatta di resistenza", "caratteristiche comuni, la lingua albanese, la cultura, le tradizioni", "una comune volontà di unificarsi", "comune interesse a raddoppiare il mercato economico" e infine "un comune interesse a costruire un sistema di sicurezza per poter difendersi dai fascismi dei greci e dei serbi". Puntando su un’alternativa nazionalista, Kurti si propone di superare in un batter d’occhio la lentezza e la cautela dei leader attuali del Kosovo.
Stupisce a prima vista vedere tra i principali sostenitori dell’iniziativa il movimento Mjaft di Tirana, ONG nata per farsi portavoce della società civile albanese. Negli ultimi anni, dopo determinate crisi interne, il Mjaft si è visto poco attivo, partecipando solo in casi sporadici in cui si è unito alle proteste di altri gruppi.
Nonostante l’entusiasmo iniziale Mjaft ha notevolmente perso la fiducia della popolazione, ed è molto diffusa la convinzione che non faccia altro che "show per le strade di Tirana", senza presentare alcun progetto politico, e alcuna azione strutturata.
Ma il coinvolgimento di Mjaft in questioni dal sapore nazionalista non è nulla di nuovo. Già negli scorsi anni oltre a fungere da punto di pressione per l’ulteriore democratizzazione del paese, Mjaft ha anche fatto pressione sui politici di Tirana per abbandonare la loro politica remissiva, in particolar modo verso la Grecia. "Siamo un popolo e una cultura, l’unione dell’Albania con il Kosovo non è un tabù e non è un’utopia" hanno affermato nel corso dell’incontro a Tirana i suoi rappresentanti.
I media albanesi hanno seguito gli incontri che sono stati tenuti finora, sfruttando la notizia come scoop del giorno, titolando: "Ciò che non riescono a dire i politici, lo fa la società civile", o "La società civile rompe un tabù". Al contempo sono stati pubblicati sulle pagine dei giornali nazionali gli interventi e diversi articoli di Albin Kurti, ed Enis Sulstarova, capo dell’associazione Klubi Kombëtar (Club nazionale) che ricorda molto le unioni intellettuali della Rilindja albanese a fine ‘800. Anche le idee che Sulstarova sostiene sembrano in perfetta sintonia con quelle dei padri della nazione. Uno studioso tra i più promettenti delle nuove generazioni, Sulstarova sembra inaspettatamente essersi convertito al nazionalismo negli ultimi mesi.
In diversi articoli apparsi per lo più nelle pagine del quotidiano Shqip, Enis Susltarova, mette in discussione ciò che ormai è un mito positivo in Albania: rinunciare a qualsiasi unione tra gli albanesi per vedersi uniti solo una volta integrati tutti nell’Ue. "Loro non vogliono la nostra grande Albania ma nessuno si è opposto alla riunificazione delle due Germanie, riconoscono una sola Cina, e un solo Cipro, e sicuramente non si opporranno quando le due Coree si uniranno" commenta Sulstarova.
In uno degli incontri del ROSH egli denuncia: "I politici albanesi invece credono che ad unirci sarà la stessa Europa che ci ha divisi. E noi dobbiamo aspettare perché il tempo lavora per noi. Invece non è così il tempo non lavora a nostro favore se noi non ci diamo da fare. Noi in Albania ci ricordiamo della nazione solo in occasione delle feste nazionali, per il resto nessuno sa ad esempio che la città che tutti chiamano Bitola in realtà è Manastir, dove venne deliberato l’uso del nostro alfabeto attuale".
Tali affermazioni arrivano in un momento di profonda delusione degli albanesi, che vedono il proprio paese sempre più isolato e lontano dall’Ue, mentre le promesse di Berisha sulla presentazione della candidatura ufficiale dell’Albania passano per demagogia pre elettorale, sotto lo sguardo critico di Bruxelles che ha persino posticipato a data per definire la liberalizzazione dei visti per i cittadini albanesi, inizialmente prevista per il 2009. "L’Ue – sostiene Sulstarova – non cancella i confini bensì li rafforza."
Nell’ultimo anno, l’indipendenza del Kosovo, era stata a più riprese definita come "rafforzamento del fattore albanese nei Balcani" o "nascita di un secondo stato albanese" dagli intellettuali nazionalisti più in vista tra cui lo scrittore Ismail Kadaré, e l’accademico kosovaro Rexhep Qosja.
Quest’ultimo in lunghe interviste apparse sul quotidiano Shqip, ha inoltre più volte invitato l’Albania e il Kosovo a unirsi, attraverso un semplice referendum. Dello stesso avviso anche Sulstarova, che considera l’indipendenza del Kosovo solo il primo passo verso la formazione della nazione albanese, in quanto processo iniziato dalla Rilindja albanese.
L’emersione di un’identità kosovara, diversa da quella albanese viene considerata dagli intellettuali summenzionati come un artificio di chi vuole decomporre la nazione albanese. Riguardo le possibili barriere imposte dalle costituzioni di entrambi gli stati, Sulstarova, risponde con parole sconcertanti: "Per fortuna gli albanesi non si sono mai curati granché della carta scritta, e non hanno mai obbedito alle costituzioni".
Tali manifestazioni sicuramente non riusciranno a materializzare il fantasma della Grande Albania, ma fanno riflettere sull’attuale situazione della società civile albanese, che si trova in questo modo totalmente snaturata nei suoi obiettivi principali. La presenza saltuaria e molto limitata delle ONG nel mondo politico albanese, e in seguito la facilità con cui si è scivolati in tali manifestazioni di nazionalismo radicale, dimostrano la poca maturità, e lo scarso contenuto della loro attività civile. Molto è naturalmente dovuto al poco spazio che la politica albanese riserva alla società civile, facendo sì che la sua esistenza si riesca a percepire appena.
E’ inoltre preoccupante il fatto che tale campagna di sensibilizzazione nazionalista si rivolga ai giovani i quali costituiscono oggi la parte più suscettibile e meno preparata della società albanese. Per ora il nazionalismo albanese è una forma latente basata per lo più sui miti delle origini, e del particolarismo etnico, ma se alimentato vi è un notevole rischio che assuma forme aggressive e irrazionali che non sono una novità in questa parte d’Europa. I giovani albanesi di oggi fanno parte di intere generazioni cresciute nella profonda e infinita transizione postcomunista, in continua crisi di valori, e in piena crisi del sistema scolastico. Inoltre si tratta di generazioni che vivono in un’Albania culturalmente isolata, e poco conscia di quanto succeda nel resto dei Balcani.
Oltre a ricevere un’educazione più che monca per quanto riguarda la storia nazionale e quella dei Balcani, i giovani albanesi continuano a studiare su libri di testo per certi aspetti revisionati ma che conservano gli stessi principi nazionalisti e autoreferenziali del nazional-comunismo. E’ in tal modo un sistema in cui si impara a essere vittime della storia, costruendo un’identità nazionale in funzione di quella dei vicini considerati nemici espansionisti che circondano l’Albania nei Balcani, senza coltivare alcun senso critico e alcun tentativo di elaborare i conflitti del passato. In queste condizioni, e nell’apatia che caratterizza i giovani albanesi, è difficile pretendere che i tragici fatti che hanno coinvolto i vicini balcanici negli anni ’90 possano fungere da lezione di storia su episodi che non vadano ripetuti.
Il Kosovo non gode di buona reputazione presso i giovani di Tirana che si sentono superiori agli albanofoni ex-jugoslavi, ma l’idea di una grande Albania, con Tirana che domina, potrebbe trasformarsi in qualcosa di interessante per le giovani generazioni frustrate dalla percezione del proprio paese come uno stato di serie B.
Lo stesso vale per i giovani kosovari, che presentano un livello di scolarizzazione molto basso a causa dell’istruzione minimalista che è stata applicata durante gli anni della società parallela in Kosovo. La complessa situazione interetnica imbevuta di nazionalismo radicale in cui sono cresciuti e che prevale tuttora in Kosovo, non garantirebbe affatto buone capacità di moderazione e pragmatismo.
Ma la retorica nazionalista della società civile albanofona non dovrebbe spaventare. Oltre all’impossibilità di permettere un referendum che sarebbe fatale per tutti i paesi balcanici, a fungere da barriera principale è il fatto che le due società albanesi hanno poco in comune. Nonostante il confine tra Kosovo e Albania non costituisca più una barriera, come anche gli altri confini più agibili via Macedonia, o Montenegro, i rapporti tra gli albanesi dell’Albania e quelli del Kosovo si limitano al "turismo patriottico" dei kosovari che frequentano le spiagge dell’Albania centrale e settentrionale. Un’intensificazione degli scambi riguarda esclusivamente la zona confinante col Kosovo, che isolata dalle montagne difficili da penetrare, e dimenticata dalle politiche di Tirana, si collega molto più facilmente ai maggiori centri urbani del Kosovo piuttosto che a quelli dell’Albania. Negli ultimi anni nonostante gli sforzi e le agevolazioni, gli economisti affermano che i legami economici tra i paesi sono irrisori, e il Kosovo continua a essere intrinsecamente dipendente dalla Serbia.
Oltre ai percorsi storici che diversamente da quanto affermano gli intellettuali nazionalisti albanofoni, sono sempre stati differenziati, le due società oggi presentano caratteristiche differenti, difficilmente conciliabili sotto il vessillo di uno stesso stato. Pragmaticamente è difficile scorgere vantaggi da una tale unione che in siffatte condizioni sembra piuttosto artificiosa, e impossibile da essere sorretta solo dal nazionalismo ottocentesco. Ciò che preoccupa è l’impegno della società civile nell’alimentare il nazionalismo, imboccando un percorso che può rendere ancora più difficili i rapporti tra gli stati balcanici.