Musulmani ad alta tensione

All’indomani della riconferma di Selim Muca alla guida della comunità musulmana dell’Albania accuse nei suoi confronti di irregolarità nelle elezioni interne, speculazioni sugli immobili della comunità e promesse mancate. Lui taccia i detrattori di estremismo

06/04/2009, Indrit Maraku -

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Dervisci in Albania

Lo scorso 21 marzo i musulmani albanesi hanno riconfermato Selim Muca a capo della Comunità islamica albanese, per un secondo mandato di 5 anni. L’occasione ha riportato a galla i vecchi rancori tra le due correnti che dividono i fedeli di questa religione nel Paese: nonostante le accuse di irregolarità e violazione dello statuto, Muca ha vinto con l’85% dei voti, mentre fuori un centinaio di fedeli protestava contro la sua candidatura.

Una norma dello statuto della Comunità obbliga, infatti, a svolgere le elezioni minimo 15 giorni dopo la convocazione delle stesse e secondo i contestatori di Muca, questa scadenza non è stata rispettata. Inoltre, il regolamento prevede che in gara ci siano almeno due candidati, i quali devono proporre un loro programma. Ma come più volte sottolineato anche dai media di Tirana, fino a due giorni dal voto non si sapeva dell’esistenza di nessun altro candidato. 

Gli altri due nomi sono venuti fuori all’ultimo: si tratta di Karajfil Manaj (che poi si è ritirato) e di Sabri Hushi, il quale ha preso solo 9 voti. "Due candidature giusto per fare numero e per di più parte dell’organico della Comunità che è diretta da Muca", accusano gli oppositori che parlano di "elezioni finte" e definiscono l’unica organizzazione che unisce i musulmani albanesi come "bella fuori ma marcia dentro". 
Le accuse
In realtà i toni del dibattito erano diventati accesi già prima delle elezioni. I più giovani all’interno dei musulmani albanesi, che spesso hanno studiato la religione all’estero, accusano Muca di abusi con le proprietà immobili della Comunità durante il suo primo mandato. Inoltre, ai suoi avversari non è andata giù l’attivazione di alcuni conti correnti da parte del direttivo dell’organizzazione, dai quali viene percepito anche un certo interesse. Questa pratica, secondo l’ala oppositrice, è fortemente condannata dall’Islam. "Uno scandalo" viene invece definita la decisione di Muca di far pagare un biglietto da visita ai turisti che vogliono vedere la moschea di Et’hem Beu, nel pieno centro di Tirana. 

E poi ci sono le promesse mancate: "Muca non ha ancora realizzato ciò che ha promesso per il primo mandato, ossia la costruzione della grande moschea a Tirana e dell’Università islamica per non mandare i fedeli a studiare all’estero". Dopo 5 anni "nessun progetto su questo è stato presentato al Comune di Tirana", dice Ilir Hoxholli, membro del consiglio generale del Comitato islamico.

Alla protesta dei più giovani, che spesso vengono etichettati come estremisti, si sono uniti diversi imam delle mosche capitoline e di altre città. Secondo loro, le modalità dello svolgimento di queste elezioni permettono a Muca di evitare un confronto su questi temi e un’analisi profonda del suo lavoro. Per questo in molte mosche è partita la raccolta firme per una petizione, mentre al Tribunale di Tirana è stata presentata una denuncia sulle presunte irregolarità. 

Lo stesso Muca si è sempre rifiutato di parlare di estremismo o di correnti all’interno dei musulmani albanesi. Ma davanti a queste accuse è sbottato definendo i suoi oppositori gente manovrata da estremisti kosovari e macedoni. "C’è gente che mente, manipola e divide. Persone dal Kosovo e dalla Macedonia che accendono la tensione e attaccano la Comunità islamica albanese", ha detto. 

Pochi giorni dopo, lo stesso direttivo della Comunità si è trovato costretto a rettificare: "Il dibattito creato ultimamente nei media – si legge in una nota – a prescindere da alcuni momenti emotivi, serve alla trasparenza della stessa istituzione. Al di là delle emozioni del momento, sottolineiamo che i musulmani albanesi non sono estremisti, né a Tirana né in tutta l’Albania". Secondo il direttivo, alla base del dibattito c’è solo una scarsa conoscenza della democrazia da parte della società, dalla quale non si salva nemmeno la religione: "Noi siamo un’istituzione religiosa, ma che funziona in modo completamente democratico. Per questo, non siamo immuni dalla poca esperienza e cultura democratica che abbiamo noi albanesi".
Il conflitto
Dopo aver analizzato il dossier per qualche giorno, il Tribunale di Tirana ha dato il nulla osta alla registrazione di Selim Muca a capo della Comunità islamica albanese presso l’apposito registro delle organizzazioni non a scopo di lucro. Muca può così essere anche ufficialmente il numero uno dei musulmani albanesi, ma sembra difficile che le tensioni tra i due schieramenti sfumino in breve tempo. 

Il conflitto, infatti, va avanti da anni. Da una parte ci sono i radicali, o i "giovani" come li chiamano spesso sui giornali, che hanno studiato all’estero (Egitto e Siria prevalentemente) e tentano una virata verso ideologie coraniche più estremiste. Dall’altra i "vecchi" dirigenti che rappresentano quell’ala moderata alla quale tradizionalmente l’Islam albanese è collegato. 

Già durante il primo mandato di Muca i radicali hanno tentato diverse volte di modificare lo statuto della Comunità senza riuscirci. Il leader islamico albanese ha sempre criticato questo cambiamento e nel giugno del 2005 ha ricevuto anche delle minacce di morte. Ai tempi la polizia interrogò diverse persone tra cui 6 imam. 

L’episodio più grave risale al gennaio 2003 quando Salih Tivari, segretario generale e numero due della Comunità, fu ucciso nel suo ufficio a Tirana. La sua morte è ancora avvolta da un fitto mistero. La polizia puntò il dito verso i radicali e da quel momento in poi in Albania si cominciò a parlare di estremisti tra i musulmani. 

Qualcuno ha chiesto allo Stato di intervenire per riportare la pace tra i due gruppi. Ma "noi siamo uno stato laico, diviso dalla religione", ha spiegato Rasim Hasanaj, capo del Comitato statale per i culti. "La nostra Costituzione dice che nella Repubblica d’Albania non c’è una religione ufficiale e lo Stato è sopra le parti". Dunque, l’ultimo dibattito sulle elezioni "è un problema totalmente interno a questa Comunità". 

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