La prima volta, senza visto
Un’occhiata nervosa ai documenti, alla ricerca del visto Schengen. Poi un sorriso. Il visto non serve più. Il primo viaggio da Tirana a Roma dopo che l’Albania ha ottenuto la liberalizzazione dei visti. Un reportage
Biglietto, portafoglio, passaporto, e… no, solo biglietto, portafoglio e passaporto. Questa volta non devo controllare mille volte se ho preso e messo al sicuro il mio permesso di soggiorno in uno Stato Schengen, né ricontrollare la pagina del passaporto con l’eventuale visto.
Tutto questo mi provoca un senso di sollievo; ma anche di disagio, come se stessi per intraprendere un viaggio da clandestina, come se le guardie di frontiera potessero fermarmi con un “Dove pensi di andare? Tu non sei europea!”.
La prima volta
Il mio volo è di pomeriggio ma mi sveglio presto, come se dovessi partire all’alba. E’ la mia prima partenza verso Roma, senza visto.
La mattinata passa in fretta. Esco a pranzare con due amici in un ristorante tradizionale e ordino piatti elaborati che mia madre non cucina mai. Fa parte del mio rituale prima di partire per lunghi viaggi. E’ una bella giornata, Tirana dà il meglio di sé in questa stagione, con questa luce calda e vento primaverile.
Il Paese sta attraversando un momento incerto, c’è di che preoccuparsi, ma a poche ore dalla mia prima partenza senza visto, e con questa giornata, tutto mi sembra più facile. Mentre cammino per il boulevard principale per infilarmi nei vicoli del Bllok, mi sembra un Paese normale.
Durante il pranzo anche i miei amici sembrano ottimisti, programmiamo di fare viaggi insieme, sud della Francia, Olanda, Portogallo rurale. Finora hanno viaggiato solo con pacchetti turistici offerti dalle numerose agenzie che provvedevano anche al visto, mentre io non ho mai viaggiato con degli amici albanesi in giro per l’Europa. Tutto questo è ormai possibile. Dal 15 dicembre i cittadini albanesi possono viaggiare senza visti nello spazio Schengen. Un giorno vissuto dagli albanesi con grandissimo entusiasmo.
Violenza
Poco più di un mese fa però l’Albania è tornata sugli schermi europei, con la violenza in piazza: 4 morti, decine di feriti, e una crisi politica e istituzionale che ha portato il Paese in un vicolo cieco. Tutti speravano nell’intervento di Bruxelles, che avrebbe potuto negoziare su elezioni anticipate, la formazione di un governo tecnico, o qualsiasi altra soluzione alternativa che potesse risolvere la situazione. Invece da Bruxelles è arrivata una risposta percepita, da molti in Albania, come balbettante e c’è stato qualcuno che ha persino proposto di inserire nuovamente il Paese nella lista nera di Schengen e condannare gli albanesi al già conosciuto calvario burocratico umiliante e snervante presso gli sportelli dei consolati europei.
“Tutto questo per colpa di quei due, di Rama e Berisha” si innervosisce la mia amica durante il pranzo. “Dovessero prendere davvero misure del genere, giuro che fonderò un movimento euro-scettico, voi ci prendete in giro, e noi non vi vogliamo” commenta l’altro mio amico, con un tono ambiguo, tra lo scherzo e la rabbia.
Augurandomi che questa non sia la mia prima e ultima partenza senza visto, mi dirigo verso l’aeroporto, immergendomi nel traffico di Tirana. Penso a un giornalista italiano che nelle sue corrispondenze da Tirana durante gli scontri di fine gennaio, scriveva che la capitale “assomiglia sempre più a una città mitteleuropea, ha un aeroporto efficiente e modernissimo, forse il più moderno dei Balcani…” e mi viene da aggiungere: e un traffico ancor più caotico di quello romano. L’aeroporto è davvero un capolavoro architettonico, e molto efficiente. “L’hanno fatto i tedeschi” si usa dire, per spiegare il perché. “Coi tedeschi bisogna lavorare, onesti, efficienti… ecco il risultato…”.
In aeroporto
Arrivo molto in anticipo, pensando che data la liberalizzazione dei visti, l’aeroporto sarà stracolmo di gente. Il mio volo Tirana-Roma, in particolare. Invece l’aeroporto è quasi deserto, ordinato, con meno gente rispetto alle altre volte che ci sono stata. E’ silenzioso e le conversazioni di vari gruppi di persone si sovrappongono nella hall. Una ragazza italiana cerca invano di farsi capire in italiano con la commessa kosovara della low cost albanese Belle air, una signora anziana in lacrime che si congeda con la figlia che parte per Vienna, e poi per gli Stati Uniti, un gruppo di uomini d’affari italiani che parlano dello strano carattere delle ragazze albanesi.
Poi entra una signora anziana con il costume tradizionale delle montagne del nord. Tra i presenti, alcuni si mettono a ridere, altri tirano fuori i cellulari e scattano delle foto. E’ molto anziana, le darei 90 anni. Va a trovare la figlia sposata in un paese del Lazio. Ha l’aria sperduta e si fa aiutare per orientarsi tra le uscite aeroportuali. In tutti questi anni non è mai andata a trovarla perché al consolato non le davano il visto. “Mi dicevano, se ti diamo il visto, poi tu rimani lì e non torni più. Ma dove vado io? Io non riesco neanche a stare in città dai miei figli, figurati se riesco a stare in Italia”. Ho voglia di fotografarla anch’io. Porta l’acconciatura antica con il foulard bianco, due boccoli folti e nerissimi di capelli arricciati sulle tempie, una tunica bianca e una gonna nera pesantissima e ondeggiante che si chiama xhubleta ed è patrimonio culturale dell’UNESCO. Sembra uscita da un museo etnografico, ma è una donna saggia e sicura di sé, proviene da un mondo a me sconosciuto. Mi vergogno e non oso chiederle il permesso di fotografarla.
Al gate la sala d’attesa si riempie velocemente di coppie di anziani: uomini distinti con borsalino e abito elegante, signore con tailleur scuri e tacchi alti; signore del nord dagli occhi chiarissimi e il viso molto lungo; qualche VIP del giornalismo e della società civile, che si mette in disparte incurvandosi sullo smartphone dell’ultimo modello; una famiglia bosniaco-albanese che vive a Perugia; e alcuni studenti, che solidarizzano tra di loro, scambiando opinioni sulle burocrazie universitarie italiane.
Come un ascensore
L’aereo è uno degli ultimi acquisti della Belle air, che si è espansa facendo concorrenza a numerose compagnie aeree spesso costrette a chiudere le tratte da Tirana. “E’ molto grande questo aereo, meno male” commentano tra di loro due anziane signore che volano per la prima volta. Mi viene in mente, che anch’io, da bambina, nei miei primi voli credevo che più un aereo fosse grande più c’era da stare sicuri. Durante il decollo altri commenti di chi a ottant’anni viaggia per la prima volta in aereo: “Quindi… è come un ascensore…”.
Come sempre in volo mi capita di incontrare per caso gente che conosco. L’Albania è un Paese troppo piccolo. Un mio conoscente, giornalista economico presso uno dei giornali più diffusi del Paese, come me sta inaugurando il primo viaggio senza visti verso un Paese Schengen. E’ contento. “Finalmente siamo diventati normali anche noi” ironizza. “Anche se non è tutto rose e fiori. Vedrai alla frontiera ci scannerizzeranno completamente. E sarà comunque a discrezione dei poliziotti”. Gli dico che mi aspettavo più entusiasmo, più gente in aeroporto. “Non c’è stato nessun esodo. Non è più come una volta", risponde senza stupore, "anche chi non ha mai viaggiato è informato, sa come si sta all’estero. E poi con questa crisi economica, dove vuoi che vadano?”.
Il volo è breve, poco più di un’ora, il tempo di attraversare l’Adriatico, farsi offrire del caffè, uno spuntino frugale e prepararsi all’atterraggio. Roma diventa sempre più visibile, provo a indovinare i parchi e i quartieri che vedo dal finestrino. Dopo l’atterraggio siamo costretti a rimanere in aereo, la scala non è ancora pronta. Dieci minuti di ritardo, e scatta il panico. Sono tutti in piedi e discutono. “Avrà dei problemi Belle air, dato che è di proprietà della figlia di Berisha” scherza un ragazzo. “Sei un socialista tu? Chi te li ha liberalizzati i visti? I tuoi socialisti? No, Berisha, ringrazia e stai zitto” risponde una signora altissima, con l’accento del nord e gli occhi di un azzurro cristallino. Afferma di essere delle montagne nei pressi di Scutari, ma vive ormai in città. Adora Berisha e il suo partito. Si anima una discussione, un teatro di tutti gli stereotipi che spaccano la società albanese, in montanari, cittadini, geg, tosk, socialisti, berishiani, tra cinismi e ironie reciproche.
Siamo sul suolo italiano. “Siamo sul suolo Schengen” sdrammatizza il mio conoscente. Come sempre, una volta usciti dall’aereo, tutti corrono, per farsi timbrare il passaporto il prima possibile e andare ad aspettare con calma i bagagli. Si forma la solita fila irregolare. Gente che avanza sgomitando. Il poliziotto italiano è lentissimo. Stanno tutti in silenzio cercando di capire cosa chiedono. “Gli hanno chiesto l’assicurazione sanitaria…”; “L’invito? Quale invito? Ma i visti li hanno tolti o no?”; “Oddio, dicono che vogliono l’invito di chi ti ospita, per iscritto e timbrato in questura”; “Avevano ragione quelli di Fiks Fare, alla fine servono tutti i documenti di prima, ma questa volta il consolato è stato spostato alla frontiera”.
Davanti a me una coppia di anziani, poi due giovani ragazzi che non parlano italiano. Una ragazza bionda, degna rappresentante della gioventù trendy di Tirana. “Ma come, nessuno parla italiano?” chiede il poliziotto stupito, che come lo stereotipo vuole, crede che l’italiano sia la lingua straniera più diffusa in Albania. Poi chiede: “Quanti soldi hai? Perché sei in Italia?”; “Shopping… shopping…” risponde la ragazza e tutti sorridono.
Arriva il mio turno. Il poliziotto mi da un’occhiata. Mi timbra il passaporto. Non mi chiede dove vado, quanti soldi ho o se ho l’assicurazione sanitaria. Mi ero preparata le carte di credito da mostrare, un estratto conto, l’assicurazione sanitaria e gli indirizzi di diversi miei amici romani, tutto a portata di mano. Rimango per un attimo perplessa. Verifico il timbro sul passaporto, saluto e mi comporto come sempre, come quando vivevo a Roma e avevo un permesso di soggiorno italiano.