Giornalismo senza personalità
Dalle vicende della chiusura del quotidiano Tema, alla situazione del giornalismo investigativo in Albania al rapporto tra media e politica. Un’intervista a tutto tondo al giornalista Mero Baze
Come mai Tema, uno dei giornali più seguiti in Albania, ha dovuto chiudere?
Non siamo riusciti a sopravvivere economicamente dopo il blocco finanziario impostoci da parte del governo. Da un anno svolgevamo il lavoro di redazione fuori dai nostri uffici, dove avevamo concentrato tutti i nostri investimenti. Gli investimenti della società che pubblicava il giornale erano sostenuti da un mutuo che il governo ci ha bloccato e ci ha obbligato a sgomberare l’edificio dove avevamo i nostri uffici, non permettendoci neanche di portare via le macchine della casa editrice che stanno tuttora all’interno di quell’edificio. Il governo ha intrapreso anche un’altra azione a nostro danno: un controllo finanziario della nostra società comminandoci una multa poiché svolgevamo la nostra attività in luogo diverso dalla nostra sede, nonostante a costringerci a fare ciò fosse stato il governo. Ci hanno dato una multa di circa 200mila euro, che naturalmente non può che renderci impossibile la sopravvivenza. Stiamo ora cercando di sopravvivere attraverso la pubblicazione su internet e con la collaborazione con altri media.
Come sono state giustificate da parte delle autorità le misure prese contro la redazione di Tema?
Le autorità non si sono preoccupate di fornire motivazioni precise sulle misure applicate. Ormai si è consolidata una sorta di prassi su come assalire i media: producendo uno scandalo dopo l’altro. Dopo che ci hanno obbligato allo sgombero dei nostri uffici, per un anno intero hanno avuto luogo una serie di provocazioni di vario tipo, che ci hanno messo persino in difficoltà con le imprese che prima pubblicavano la pubblicità nel nostro giornale. Alcune di queste imprese ci hanno detto di aver subito delle pressioni e hanno ritirato la pubblicità. Tutto questo poiché Tema ha assunto un atteggiamento critico nei confronti del premier Berisha e della sua famiglia. Eppure siamo sempre stati critici e in conflitto anche con i premier precedenti come Ilir Meta o Fatos Nano, senza però che si verificasse mai un’escalation del genere.
Com’è nato il conflitto con il premier Berisha?
Il nostro giornale si è impegnato molto su una questione molto delicata, che si è in seguito trasformata in qualcosa di fortemente sentito da Berisha e la sua famiglia dopo l’esplosione della fabbrica d’armi di Gerdec. Il punto è che noi avevamo scritto su questo almeno sei mesi prima dell’esplosione. In alcuni miei editoriali avevo lasciato capire che il figlio del premier era coinvolto nella questione poco trasparente di lobbying nella concessione e nella firma di contratti tra diversi uomini d’affari e il governo. Poi con l’esplosione di Gerdec si è scoperto che Shkelzen Berisha – appunto il figlio del premier – era la terza persona con cui Mihal Delijorgji, il proprietario della fabbrica d’armi, aveva parlato al telefono appena saputo dell’esplosione. Le altre persone erano il ministro della Difesa Fatmir Mediu e la moglie. Tema è stato il primo giornale a scrivere di questo. E lì è iniziato il conflitto con Berisha.
In seguito ha subito una serie di aggressioni…
Il modello è lo stesso seguito come anche in altri casi nei confronti dei media liberi in Albania. Al premier Berisha stanno molto a cuore i modelli, e Tema è stato scelto per dare una lezione a tutti i media liberi del paese, per far capire loro come non si devono comportare per evitare quindi di subire la stessa sorte. Mentre con il resto dei media stabilisce dei rapporti armoniosi e concede addirittura dei diritti di appalti per varie opere pubbliche, com’è successo con il proprietario di TV Klan, Aleksander Frangaj, o Fahri Balliu, che stanno costruendo le strade del paese attraverso la cooptazione di parenti e familiari. Ci sono quindi due modelli, uno del bastone e l’altro della carota. E’ in questo modo che si riescono a tenere sotto controllo i media in Albania, che a loro volta già sono deboli e conformisti. I media critici ormai si sono ridimensionati, e i media in Albania spesso e volentieri si trovano a dover vendere il proprio silenzio e non il proprio servizio. A mio avviso, la libertà di stampa viene violata di più da chi tace.
In seguito ai diversi episodi di violenza e di minacce che ha subito, ha chiesto l’assistenza delle forze dell’ordine?
L’episodio più brutto di violenza è avvenuto contestualmente alla vicenda che coinvolge Rezart Taçi, presidente dell’azienda ARMO. Taçi ha ottenuto un grosso appalto con modalità tipiche delle privatizzazioni in Albania: l’appalto, a scapito di tanti concorrenti americani e occidentali di varia provenienza, lo vince un albanese, che però ad un certo punto prima di sborsare il denaro pattuito dice di non disporre dell’ammontare necessario e ricorre al credito bancario. In questo caso specifico ad una piccola banca privata è stato chiesto un ammontare in prestito di 77 milioni di euro, che è maggiore del 10% delle riserve della banca stessa.
A norma del regolamento degli istituti di credito albanesi alla banca si sarebbe dovuto togliere la licenza, invece le istituzioni pubbliche hanno versato i loro budget nella banca stessa, per poter permettere il prestito a Rezart Taçi. Questo è avvenuto poiché il governo aveva garantito a Taçi di concedergli il monopolio del petrolio.
Dopo che Tema ha reso noto il caso sono stato aggredito dallo stesso Taçi. Ma non mi sento minacciato, non perché non abbia paura, ma perché ho scelto questa professione e so che episodi del genere possono anche verificarsi. Fa parte della professione da giornalista. E’ un po’ come andare in guerra e chiedere a qualcuno di assumersi la responsabilità nel caso tu muoia: nessuno ne sarà responsabile, una volta che hai scelto volontariamente di andarci. L’aggressore si muoveva con le macchine della polizia e si è consegnato alle autorità solo in seguito ad una sentenza del tribunale sul suo arresto. Essendo il giudiziario un potere non dipendente dal premier, la cosa sarebbe stata piuttosto difficile da aggirare e Taçi ha deciso di consegnarsi.
Ma Tema non è un caso isolato. Secondo Reporters without borders, l’Albania occupa l’ultimo posto nei Balcani per quanto riguarda la libertà di stampa, ed è scivolata nell’ultimo anno di ben 9 posti… Nell’ultimo anno, per un giorno Gazeta Shqiptare era stata ritirata misteriosamente dai punti di vendita, Top Channel, la televisione più critica del paese sembra essersi decisamente moderata, e poi Tema…
Sì, c’è un netto peggioramento. E’ sconcertante ad esempio il caso di Top Channel, che è il maggior canale informativo in Albania, dove lavorano i migliori giornalisti albanesi. Loro hanno il coraggio di opporsi ma le condizioni che il premier Berisha ha imposto a questa grande struttura, hanno fatto sì che i migliori giornalisti albanesi siano costretti a tacere.
A che punto si trova in quest’atmosfera il giornalismo investigativo?
E’ difficile dire che in Albania sia mai decollato il giornalismo investigativo. Spesso mi definiscono come un giornalista investigativo, ma è qualcosa di erroneo poiché non è vero, non ne sono molto capace in realtà, ho un approccio più descrittivo che investigativo. Io non scopro e non investigo su nulla, questi sono fatti che sono facilmente reperibili ovunque, io ho sempre parlato in pubblico di questi fatti.
Il giornalismo investigativo è l’altra fase, quella in cui uno cerca di gettare luce sulle cose che non sono a portata di tutti. Noi invece siamo ancora nella fase in cui non riusciamo a dire apertamente fatti che sono palpabili. In particolar modo è preoccupante il fatto che si stia creando un giornalismo da bar, in cui i giovani giornalisti e i reporter sono capaci di scrivere bene, ma non di pensare, e l’unica cosa che sanno fare è correre e mettere il microfono davanti ai politici, per poi riferire acriticamente quello che è stato detto. Si occupano infatti tutti di quello che il governo dice ma non di quello che il governo fa.
Non è professionale quindi, è superficiale. E su questo non è solo colpa delle pressioni di Berisha. A mio avviso il modello attuale di concepire i rapporti tra i media e il governo è stato introdotto nel 2000, quando il premier era Ilir Meta. Allora numerosi uomini d’affari per riuscire ad avere buoni rapporti col governo hanno iniziato a investire in giornali e televisioni che si mettevano acriticamente al servizio del governo. Questi media sono senza personalità, e non fanno giornalismo, e tanto meno sfornano professionisti.