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Albania: la testimonianza dei primi rifugiati arrivati da Kabul
Sono arrivati a Tirana nella notte tra venerdì e sabato. Sono i primi 121 rifugiati afgani arrivati in Albania a seguito del ritiro internazionale dall’Afghanistan
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 31 agosto 2021)
"Lavoravo per il ministero dell’Agricoltura su un progetto finanziato da USAID. Mi occupavo di comunicazione. Ho un master ottenuto presso la Khazak American Free University e ho più di tredici anni di esperienza, ma non so ancora se la mia laurea sarà riconosciuta da qualche parte. Avevo un buon lavoro, un buon stipendio, tutto andava bene. Ora non so se dovrò lavorare come cameriere da qualche parte o come autista di Uber. La mia vita ne è uscita stravolta", dice Ahmad, uno dei primi rifugiati afgani arrivati in Albania.
"Io ci credevo, ero fiducioso. Pensavo che i giovani avessero il dovere di contribuire allo sviluppo dell’Afghanistan, ma non ci è rimasta altra scelta se non andarcene”. La fuga non è stata facile. Ahmad (non è il suo vero nome, ndr) e la sua famiglia, come molti altri, hanno dovuto aspettare per ore, anche giorni, per entrare nell’aeroporto di Kabul, dove migliaia di persone s’accalcavano per fuggire.
39 dei primi afgani arrivati in Albania sono ex dipendenti del ministero dell’Agricoltura. Stavano lavorando su un progetto americano in collaborazione con l’Università del Michigan. La loro evacuazione è stata ben organizzata. "E’ stato difficile salire su un aereo anche con un visto valido", dice Ali, sulla quarantina. "Ma i nostri amici e colleghi americani ci hanno aiutato. Una volta sull’aereo, la vita è sembrata di nuovo semplice”.
Prima di partire, non sapevano che sarebbero stati portati in Albania. La destinazione è stata comunicata loro solo due o tre ore prima del decollo. Comunque, il loro obiettivo era quello di salire su un aereo, qualunque fosse la destinazione. "Quando me ne sono andato, avevo perso ogni dignità. All’aeroporto, abbiamo dormito in mezzo ai rifiuti. Non doveva accadere tutto questo, siamo tutti esseri umani… Abbiamo dei sentimenti", confida Ahmad, sull’orlo delle lacrime.
I rifugiati arrivati in Albania sabato 28 agosto sono stati accolti dal ministro degli Esteri Olta Xhaçka e dall’ambasciatore americano in Albania. Dall’aeroporto, sono stati immediatamente portati agli edifici 11 e 12 della Città universitaria di Tirana. Vi saranno alloggiati fino a nuovo avviso.
La registrazione dei documenti ha avuto luogo sabato mattina. Funzionari del comune di Tirana hanno accompagnato i rifugiati per la maggior parte della giornata, mostrando loro dove andare e dando loro indicazioni su cosa fare. Una delle cose che non si consigliava loro di fare era parlare con i giornalisti. E la raccomandazione non valeva solo per gli afghani: anche la direzione della Città universitaria e il comune non hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti.
La registrazione dei rifugiati presso la polizia è stata piuttosto semplice, spesso non è durata più di mezz’ora.
“Non ho informazioni specifiche, ma secondo le voci che girano tra gli sfollati, i paesi terzi come l’Albania stanno facilitando i contatti con l’ambasciata afgana in modo da riavere i nostri passaporti e poter ottenere un visto per gli Stati Uniti", dice Ahmad. I suoi figli non hanno documenti d’identità. Ahmad spera di ricevere il prezioso visto americano entro i prossimi 20 giorni. In generale, i rifugiati afgani non vogliono rimanere in Albania, ma partire per gli Stati Uniti o per altri paesi europei.
Quando si sono imbarcati a Kabul hanno portato con loro solo una piccola borsa: non hanno con loro alcun cambio di vestiti e, il più delle volte, neanche un centesimo in tasca. Insieme agli Stati Uniti, il governo albanese aiuterà queste persone per le loro necessità di base. E’ stata stilata una lista di tutto ciò di cui i rifugiati avevano bisogno. "Abbiamo compilato dei moduli, ma non ci hanno preso le misure… Non so che tipo di vestiti mi porteranno", scherza Ahmad.
Nonostante la presenza di operatori sanitari, l’unico controllo medico effettuato finora è stato il test Covid-19. I rifugiati non sono ancora stati invitati a consultare un’unità di supporto psicologico. Poco informati su ciò che sono e non sono autorizzati a fare, non si allontanano dalla via che collega gli edifici dove sono alloggiati e quelli destinati ad ufficio della polizia. Non vogliono causare problemi e vogliono fare una buona impressione sugli albanesi. Preoccupati per la famiglia che hanno lasciato e per la situazione in Afghanistan, dove vorrebbero tornare un giorno, il loro obiettivo immediato è quello di capire dove finiranno e dove ripartiranno con una nuova vita.