Albania: accordo politico per la riforma elettorale

Un accordo sottoscritto il 5 giugno – che prevede tra le altre cose identificazione elettronica dei votanti, aumento del finanziamento ai partiti e quote riservate alle donne – potrebbe riportare l’opposizione albanese in parlamento dopo le politiche previste per il 2021

08/06/2020, Gjergji Kajana -

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© Maddas/Shutterstock

Adempiendo alle richieste dell’Osce/Odhir (che monitora le elezioni) e Ue (in procinto di aprire tecnicamente i negoziati di adesione con il paese) il 5 giugno in Albania maggioranza e opposizione hanno trovato un accordo di massima – che necessita di approvazione parlamentare – sulla riforma elettorale. Mediato fortemente da Usa e Ue, l’intesa ha come capisaldi l’identificazione elettronica dei votanti e la permanenza nell’attuale format (con forte presenza dei partiti politici) delle commissioni elettorali. Inoltre, dovrebbero aumentare i finanziamenti pubblici ai partiti e 1/3 dei posti per i candidati al parlamento spetterà alle donne.

Tutti e due i capisaldi erano richiesti dai partiti d’opposizione PD (Partito Democratico) e LSI (Movimento Socialista per l’Integrazione). Nell’accettarli il Partito Socialista (PS) del premier Edi Rama può ritenersi soddisfatto (malgrado insistesse su una revisione del format delle commissioni) per aver assicurato la partecipazione di PD e LSI alle elezioni politiche del 2021, che – in base all’intesa – si svolgeranno in una data tra il 15 aprile e il 15 maggio 2021 al fine di non interferire con la prossima stagione turistica. Da 15 mesi i due principali partiti d’opposizione boicottano permanentemente il parlamento (dal febbraio 2019 imitati dai restanti partiti d’opposizione, ndr), con i loro deputati che hanno rinunciato al mandato.

Ciò che non cambierà

I lunghi negoziati che hanno condotto all’intesa sono stati una opportunità di discutere di sistemi elettorali nel paese. L’opposizione parlamentare, rappresentata al tavolo dei negoziati da Rudina Hajdari (deputato proveniente dalle liste del PD), chiedeva una revisione del sistema elettorale per le elezioni politiche: proporzionale a liste aperte la sua variante di modifica. Il sistema in vigore è un proporzionale regionale a liste bloccate, con una soglia di sbarramento del 5% per le coalizioni e 3% per i singoli partiti. Nessuna intesa però nel tavolo dei negoziati sulla proposta Hajdari, a prova del fatto che ai tre principali partiti tutto sommato l’attuale sistema (in vigore dal 2008) conviene per poter far eleggere in parlamento dei fedelissimi.

Altro tema attinente con i negoziati il voto degli albanesi residenti all’estero, tantissimi e che attualmente possono esercitare questo diritto costituzionale solo presso i seggi in madrepatria. Nel 2016 l’Albania approvò la legislazione atta a registrarli anche in vista della eventualità di farli votare da dove risiedono. Per materializzare l’opzione si necessita però di una modifica della legge elettorale, posizione fortemente caldeggiata dal ministro dello Stato per la Diaspora Pandeli Majko.

Una petizione per rendere possibile l’esercizio di questo diritto è stata lanciata dal Consiglio della Diaspora albanese, organo di raccordo tra Tirana e gli immigrati. Rama e Damian Gjiknuri, caponegoziatore del PS sulla riforma, hanno informato che la Commissione Elettorale Centrale (CEC) potrà esercitare, tramite un atto normativo avente valore legale, la delega di rendere possibile il voto degli albanesi all’estero e di computarlo ai voti delle loro circoscrizioni di residenza in Albania. Materializzare questo impegno sarà un’ardua sfida tecnica e logistica da tenere d’occhio in vista delle Politiche 2021. Sicuramente – grazie anche all’energia di Majko – il tema è diventato più vistoso in tutta la legislatura in corso e sta imponendosi sia in patria e sia all’estero.

Pressioni esterne

L’intesa ha certificato il ruolo decisivo da “dominus” negli equilibri politici del paese di Usa e Ue. Negli ultimi giorni il raggiungimento dell’accordo è diventato la “mission” del nuovo ambasciatore americano a Tirana Yuri Kim, che ha ospitato gran parte degli incontri finali tra i gruppi e ha pressato il leader del PD Lulzim Basha ad accettarlo dopo che i socialisti hanno detto “Si” all’identificazione elettronica e ha anche avuto degli incontri con Rama e il Presidente della Repubblica Ilir Meta.

Dal canto suo questi (proseguendo a distanza delle continue polemiche con la maggioranza, la quale ha avviato contro di lui una procedura di “impeachment”) ha assicurato telefonicamente il rispetto delle regole del gioco democratico a Basha, che si è ostinato fino all’ultimo nei negoziati (ottenendo il punto) a non ammettere un declassamento dei partiti dalle commissioni elettorali.

Gli accordi interpartitici sono rari in Albania e sicuramente senza l’insistenza di Washington e Bruxelles anche il 5 giugno sarebbe stato più difficile. Tatticamente l’insistenza degli internazionali può essere usata da Basha come carta vincente nel convincere il PD della bontà dell’intesa, dopo che pubblicamente tre settimane fa si era dichiarato pentito dell’accordo del 2017 con Rama. Altresì il leader dell’opposizione può tentare così di rilegittimarsi di fronte agli alleati del paese, che non hanno approvato in sequenza durante il 2019 l’abbandono del parlamento, le violente proteste antigovernative e la mancata partecipazione alle elezioni amministrative.

Potrebbe non essere un caso il fatto che ai recenti negoziati PD e LSI hanno accettato il principio che le eventuali illegalità durante le elezioni vengano giudicate dalla  procura speciale SPAK  e da un Collegio Elettorale dove i nuovi membri dovranno essere dei giudici già sottoposti alle maglie del “vetting”. SPAK e controlli del “vetting” sono capisaldi della riforma della giustizia, che l’opposizione attacca come lenta, inefficace e politicamente controllata da Rama e suoi “protettori” internazionali ma che così implicitamente accetta di vederla arbitro legale elettorale. Questo accade perché l’opposizione è al corrente del fatto che gli sponsor della riforma (Usa e Ue) non accetteranno un suo deragliamento secondo quanto chiaramente ribadito da Yuri Kim e Commissione europea.

Armistizio mediato, dunque, sotto il cielo politico di Tirana, dove solo un anno fa piovevano molotov e reciproche scomuniche.

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