L’Abkhazia guarda ad Ankara
Le de facto autorità abkhaze cercano di stabilire rapporti con Paesi vicini e lontani, per rompere il proprio isolamento e ridurre la dipendenza da Mosca. La Turchia, accessibile direttamente via mare e con una ricca minoranza abkhaza, è il candidato ideale per ricevere le attenzioni di Sukhumi
"La Turchia assegna la massima importanza alla sua partnership strategica con la Georgia, basata su un’amicizia tradizionale e su una completa cooperazione in tutti i campi. La Turchia condivide perfettamente la sensibilità georgiana per quanto riguarda la sua integrità territoriale. A questo proposito la Turchia rispetta e sostiene l’integrità territoriale della Georgia all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti, una politica che rimane saldamente la sua posizione fondamentale. La visita del sig. Sergey Bagapsh in Turchia avverrà per puri motivi medici su invito di associazioni della società civile fondate da cittadini turchi sotto l’esclusiva loro responsabilità. La visita non ha alcun carattere ufficiale. La Turchia conferma il suo impegno ad approfondire le relazioni strategiche fra Turchia e Georgia per il beneficio dei nostri popoli e più estesamente della regione”.
Così il governo turco liquida l’episodio che in questi giorni poteva causare un piccolo incidente diplomatico. Il 7 aprile una delegazione abkhaza sotto la guida del presidente de facto si è recata in Turchia, cominciando dalla capitale, per una visita conclusasi lunedì 11. La delegazione includeva numerosi rappresentanti della autorità de facto di Sukhumi: oltre al presidente Bagapsh, il ministro degli Esteri Maxim Gvinjia, il ministro dell’Economia Kristina Ozgan, il presidente della Banca nazionale Ilarion Argun e personale delle istituzioni e del mondo degli affari. Dopo che nel 2007 il suo viaggio era stato cancellato per volontà della parte turca, Bagapsh si è presentato con i vertici del mondo diplomatico e produttivo, il che evidenzia la chiara volontà di rafforzare i rapporti Sukhumi-Ankara. La prima ha infatti sempre malcelato un certo disagio per la condizione di unilateralità coatta delle proprie relazioni, dando sentore di tollerare come un male necessario la forte ingerenza russa nella propria sovranità.
Pur consapevole del debito contratto nel 2008, per il sostegno militare e per il riconoscimento, nonché per storici e consolidatisi rapporti con la Russia, la società abkhaza ha dato comunque prova di vigilare sull’amicizia con la Russia, e di saper dare voce al disappunto, qualora questa amicizia arrivasse a ledere gli interessi nazionali. Questo riguarda tutti i possibili oggetti di contenzioso, dai beni immobiliari ai requisiti di statualità. Il 14 marzo il giornale abkhazo Novyj Den’ aveva pubblicato un articolo in cui si accusava il governo di cedere parte del territorio alla Russia. Per una discrepanza nella delimitazione delle frontiere il villaggio di Aibga risulta secondo la cartografia di Sukhumi facente parte della neo-proclamatasi repubblica, secondo Mosca facente parte del distretto di Sochi, Territorio di Krasnodar. Sulla questione si è aperto un tavolo di confronto. Il rappresentante abkhazo che vi siede ha precisato di non ritenere Mosca responsabile del contenzioso, bensì operatori politico-economici di Krasnodar, che già nel 1999 avevano espresso pretese riguardo un’area di 160 chilometri quadrati.
L’ambizione di multivettorialità
L’episodio è la riprova del desiderio abkhazo di salvaguardare la propria autonomia e di tutelarsi da un protettore il cui abbraccio potrebbe rivelarsi troppo stretto. Anche in questa ottica Sukhumi cerca di perseguire un certo multilateralismo. Gli altri stati che l’hanno riconosciuta come repubblica indipendente (Venezuela, Nicaragua, Nauru) sono troppo remoti per poter essere controparti significative di relazioni economiche e politiche. Un’opzione è cercare di massimizzare i contatti e le relazioni di quanti – pur attenendosi a una rigida politica di non riconoscimento – adottano un atteggiamento status-neutral in tutti quei contesti in cui pragmaticamente non si può ignorare l’esistenza o l’attività di un governo de facto. Così operano i Rappresentanti Speciali dell’Unione Europea (EUSR), Pierre Morel, EUSR per la Crisi in Georgia e, fino allo scorso febbraio, Peter Semneby, EUSR per il Caucaso meridionale, carica in via di transizione. Altrettanto dicasi per la delegazione europea (ex delegazione della Commissione europea) e il parlamento europeo, che ha recentemente omesso nella propria risoluzione un esplicito riferimento alle autorità de facto.
Anche la Turchia, pur non riconoscendo la repubblica secessionista, ha mantenuto rapporti informali con l’Abkhazia prima e dopo il conflitto. In questo quadro nel 2009 i rapporti fra Ankara e Tbilisi avevano vissuto una frizione. Nel mese di settembre il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu si era recato nella capitale georgiana per facilitare il rilascio del capitano di una nave turca accusato di aver violato la “Legge sui territori occupati” commerciando con l’Abkhazia e condannato per questo a 24 anni di prigione. Il fatto si ascriveva in un contesto di insofferenza georgiana per la pratica di rifornire via mare l’Abkhazia dai porti turchi, e avveniva dopo il passaggio della guardia costiera georgiana al ministero degli Interni, fortezza del nazionalismo georgiano.
La Turchia rappresenta un’ottima possibilità per l’Abkhazia: ha un mercato accessibile via mare, una ricca minoranza abkhaza (quella stessa che, attraverso la “Federazione delle Associazioni del Caucaso” e la “Federazione delle Associazioni Abkhaze” ha invitato la delegazione di Sukhumi), storica e ben integrata nel tessuto sociale e produttivo turco. Insomma, un sogno di multivettorialità che percorre il mar Nero verso nord, ma anche verso sud.
Problemi di sovranità interna: fra sicurezza e accuse di violazione del cessate il fuoco
Mentre questo sogno viene rimbeccato dalle parole secche del governo turco, peraltro non inattese per Sukhumi, anche la politica interna soffre. L’8 aprile a Gali, distretto abkhazo popolato da una maggioranza georgiana, si è registrato un episodio di sangue destinato a far discutere. Innanzitutto perché è il primo incidente che, avendo lasciato a terra un agente dell’FSB (i servizi segreti russi) e due georgiani, potrebbe indicare una violazione del cessate il fuoco, e poi perché riconduce all’annoso problema del livello di sicurezza e di controllo del territorio esercitato dalle agenzie preposte da Sukhumi. Tbilisi sostiene che si tratti in sostanza di questo, che la sparatoria sia da ricondursi alla dilagante criminalità nella Repubblica secessionista. Sukhumi muove l’accusa che i due uccisi, Lasha Sichinava e Malkhaz Kharchilava, fossero agenti del dipartimento della Sicurezza costituzionale, ex ministero della Sicurezza, attuale ministero degli Interni. La sparatoria sarebbe un atto di sabotaggio trans-frontaliero, il che ha portato il ministro degli Esteri Russi Lavrov ad accusare Tbilisi di voler destabilizzare i “confini”, pur non additando il ministero degli Interni come mandante bensì il gruppo criminale para-militare dei Fratelli della Foresta, che operava tra Abkhazia e Georgia fino alla “Rivoluzione delle Rose” e il cui leader Davit Shengelia sarebbe stato scarcerato da Tbilisi.
Vi sono quindi tutti gli elementi perché il confronto diventi russo-georgiano, il che non può che ulteriormente mettere a nudo quanto sia flebile la statualità abkhaza.