L’affluenza alle urne nelle ultime elezioni politiche in Kossovo sembra confermarlo. La comunità serba originaria del Kossovo crede ancora nella possibilità di ritorno alle loro case dovute abbandonare in seguito al bombardamento NATO. Per questo hanno votato, per dire che ci sono anche loro e che la stabilità nella regione si può raggiungere solo con un Kossovo nuovamente multietnico dove appartenere ad una minoranza non significhi essere rinchiuso in un enclave o rischiare la vita ogni giorno. Livio Vicini,operatore del "Comitato Bergamo per il Kossovo", ha passato alcuni giorni a cavallo tra il mese di ottobre e di novembre in Serbia, tra i profughi serbo-kossovari, per capire se sia arrivato il momento di discutere di rientro. Di seguito un suo breve racconto.
Belgrado è una città mitteleuropea simile ad altre del nord-Europa ma con una particolarità che subito balza agli occhi: la capacità comunicativa della gente. Piacevole almeno quanto i grandi parchi della città, la Sava ed il Danubio che l’attraversano creando piccole oasi verdi con locali e ristorantini.
In centro città si notano ancora, dopo due anni e mezzo, gli edifici colpiti dai bombardamenti NATO, rimasti tristemente vuoti e violentati dalle fiamme. Il tutto contrasta con il brulichio di gente e macchine per le strade.
La prima sera di permanenza nella capitale jugoslava siamo stati a visitare un campo profughi a pochi chilometri dal centro città. Qui abbiamo incontrato il responsabile del campo, un ex-assistente nell’Università di Pristina. Non nasconde le difficoltà: i profughi non hanno alcuna possibilità di lavorare se non saltuariamente ed in nero. Il campo è finanziato in parte da Caritas iugoslava che provvede a fornire un pasto al giorno. Un pezzo di pane, una zuppa, pasta o pita. A volte arrivano anche dei capi di vestiti usati. Acqua e luce per il campo sono concessi gratis dal comune.Attorno a Belgrado vi sono 10 di questi campi, per un totale di 1500 persone ospitate.
Dopo aver spiegato la situazione subito una domanda a noi che veniamo dal Kossovo: "ci sarà la possibilità di rientrare nelle nostre case dopo due anni passati in queste condizioni?". Tutti vogliono rientrare ma vi è anche una forte paura sui rischi che questo comporta e sulle intenzioni della comunità internazionale di appoggiare veramente con forza questo rientro "come è stato fatto con i kossovari di etnia albanese all’indomani della fine della guerra".
Il giorno dopo, in seguito ad un paio di incontri con alcune ong di Belgrado, decidiamo di dirigerci verso Kraljevo dove contiamo di fare altri incontri. Sulla strada poco traffico ed in poche ore arriviamo a Kragujevac, città con alcune grandi imprese che non hanno ancora nascosto i segni dei bombardamenti del 1999. Qui incontriamo un certo numero di famiglie di profughi, che vivono in case private pagando un affitto di 150/200 DM al mese. Alcuni di questi profughi ha già partecipato in passato alle cosiddette "go and see visits", organizzate da UNHCR ed UNMIK, avendo così l’occasione di rivedere le proprie case, o ciò che è rimasto, ed incontrare le poche persone di etnia serba rimaste a vivere in Kossovo. Anche qui emerge il desiderio forte di rientrare nei luoghi d’origine, di ricominciare una vita normale, di poter lavorare, di poter mandare i propri figli a scuola, di ritornare nella propria terra.
Un’altra visita a Nis, il giorno dopo, ad alcune associazioni serbe che si occupano di sostenere le famiglie di profughi più in difficoltà: con una strana ma significativa commistione tra la fornitura di legna da ardere per poter superare il rigido inverno, e l’ottenimento di documenti necessari sia in vista di un eventuale rientro che per condurre una vita più normale in Serbia. Anche a Nis il solito leit-motiv: "vogliamo ritornare nelle nostre case e la comunità internazionale deve prendersi le proprie responsabilità per garantire questo rientro". Qui abbiamo anche incontrato i rappresentanti di ICS che già da alcuni anni svolgono attività in favore dei profughi non solo nel sud della Serbia.
Saranno importanti le prossime elezioni, sarà importante vedere se i serbi andranno a votare assecondando le forti pressioni in tal senso che stanno arrivando da Belgrado. In modo che i circa 250.000 serbi del Kossovo possano avere una propria rappresentanza. Sperando che col tempo si possa ripetere l’esperienza che il Comitato di Bergamo ha sperimentato in Bosnia-Erzegovina nei 7 anni di costante presenza nel comune di Kakanj (Cantone di Zenica-Doboj), dove un ritorno delle minoranze che sembrava impossibile pian piano è diventato realtà.
Bergamo per il Kossovo