Balcani, debito e Fondo Monetario Internazionale

Francesco Terreri, di Microfinanza, cura una breve analisi dello stato di indebitamento dei Paesi del sud est Europa. E quale, in questo contesto, il ruolo del Fondo Monetario Internazionale?

04/02/2002, Redazione -

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Le giornate di Praga contro il FMI

Le giornate di Praga contro il FMI

1. Dal dopoguerra all’89

Nel secondo dopoguerra l’area balcanica, pur vedendo una prevalenza di regimi politici comunisti, è stata ampiamente inserita nel quadro istituzionale e nelle dinamiche dell’economia mondiale. Grecia e Turchia sono stati da sempre non solo paesi membri della Nato, ma anche delle principali istituzioni finanziarie internazionali, in primo luogo il Fmi, Fondo Monetario Internazionale, istituito con gli accordi di Bretton Woods (1944). La Jugoslavia è membro originario del Fmi e ha confermato questa collocazione al momento della rottura con l’Urss, che invece non ratificò gli accordi di Bretton Woods. La Romania ha aderito al Fmi nel 1972, nel quadro di una politica estera relativamente autonoma dal blocco di appartenenza, il Patto di Varsavia. Gli altri paesi dell’area sono entrati solo dopo l’89.
Nel 1944 a Bretton Woods, cittadina dello Stato del New Hampshire (Usa), si incontrarono i delegati di Stati Uniti, Gran Bretagna e altri 42 paesi per decidere quale sistema monetario internazionale instaurare dopo la guerra. Il sistema progettato, che fu poi conosciuto come Sistema di Bretton Woods, prevedeva l’istituzione di due organismi finanziari internazionali: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
In particolare al Fondo Monetario Internazionale erano affidati i seguenti compiti:
1) controllare che i paesi si attenessero all’insieme di regole concordate in ambito commerciale e finanziario;
2) concedere prestiti ai paesi che presentassero rilevanti deficit di bilancia dei pagamenti.
Il sistema di Bretton Woods rifletteva il progetto della delegazione americana, guidata da Harry D. White, piuttosto che quello proposto da John Maynard Keynes, che guidava la delegazione britannica. Il progetto di Keynes prevedeva l’istituzione di un ente, la Clearing Union, in grado di creare liquidità internazionale sulla base di una nuova moneta internazionale, chiamata bancor, allo stesso modo in cui la banca centrale di ogni paese è in grado di creare moneta interna.
Il Fondo Monetario Internazionale iniziò a funzionare il 1° marzo 1947, con l’adesione di trenta paesi. Con l’ammissione delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica e di altri paesi all’inizio degli anni novanta, i membri hanno raggiunto il numero di 181. Oggi ne restano fuori solo pochi paesi, come Cuba, Corea del Nord e Vietnam.

I regimi comunisti balcanici avevano impostazioni economico-sociali diverse: l’"autogestione" in Jugoslavia, la permanenza del modello "stalinista" in Albania, l’ortodossia sovietica in Bulgaria, la variante nazionale in Romania. Tutti però avevano caratteristiche autoritarie sul piano politico e propugnavano una crescita basata sull’industrializzazione accelerata sul piano economico. Nel giro di tre decenni società agricole furono trasformate in economie semi-industriali.
Nel 1943 l’economista Paul Rosenstein-Rodan (1) descriveva «l’Europa orientale e sudorientale» come un’area con un «eccesso demografico agrario» pari a 20-25 milioni di persone. Un quarto della popolazione cioè lavorava in campagna solo perché non c’era altro da fare ("disoccupazione mascherata"). L’intera regione – non solo quindi i Balcani ma «tutta l’area tra la Germania, la Russia e l’Italia» – produceva un reddito pari al 40% del reddito nazionale della Gran Bretagna di allora.
Nel 1965 in Jugoslavia il 57% della popolazione attiva lavorava ancora nell’agricoltura e il settore costituiva il 23% del prodotto interno lordo totale, mentre l’industria, comprese miniere e costruzioni, con il 26% della popolazione attiva produceva il 42% del reddito nazionale(2). Dieci anni dopo, nel 1975, la sola industria manifatturiera produceva il 35% del prodotto interno lordo e impiegava 1 milione 640 mila persone, che saliranno negli anni ’80 fino a 2 milioni e mezzo di lavoratori. La Romania a metà degli anni ’60 aveva la stessa percentuale di addetti all’agricoltura, il 57% del totale della forza lavoro. Nel 1975 invece il prodotto lordo proveniente dall’industria manifatturiera era il 52% del totale, una quota che avrebbe sfiorato il 60% negli anni ’80 per poi ridiscendere sotto il 50% negli anni ’90, con il 44% della popolazione attiva impiegata nel settore industriale. Anche la Bulgaria vede negli anni ’70 il sorpasso della forza lavoro industriale su quella agricola. Il prodotto manifatturiero si avvicina al 50% del totale negli anni ’80 con 1milione 300 mila addetti. L’Albania è il paese che resta più a lungo agricolo, con ancora più di metà della popolazione impiegata nel settore primario negli anni ’80, anche se la produzione industriale è arrivata a toccare il 53% del prodotto interno lordo nel 1983(3).

I paesi inseriti nel sistema monetario internazionale, la Jugoslavia di Josip Broz Tito e la Romania di Nicolae Ceaucescu, fecero ampio ricorso per finanziare gli investimenti alle nuove risorse messe a disposizione dalle banche, soprattutto occidentali, dopo la crisi petrolifera del 1973 e il "riciclaggio" dei cosiddetti "petrodollari". Insomma si indebitarono con l’estero. I tassi di crescita del prodotto pro capite negli anni ’70, peraltro, non furono molto diversi da quelli della Bulgaria che invece era integrata nel Comecon: intorno al 5-6% annuo. Caso a parte era l’Albania, impegnata in uno sforzo autarchico con tassi di crescita che superavano il 10% annuo. Comunque il debito jugoslavo passò da 4,6 miliardi di dollari nel 1973 a 18,5 miliardi di dollari nel 1981, superando ampiamente l’intero valore delle esportazioni del paese, mentre quello rumeno arrivò nel 1982 a 8,2 miliardi di dollari(4).
Con la crisi del debito estero (1982) il Fondo Monetario Internazionale rientra in gioco. Da strumento dell’aggiustamento di squilibri esterni, diventa protagonista dell’aggiustamento delle strutture interne e degli squilibri inflazionistici in presenza di vincolo finanziario estero, cioè impone di "tirare la cinghia" ai paesi indebitati con l’obiettivo di migliorare la loro capacità competitiva e la loro possibilità di ripagare i debiti. La ricetta però provoca essenzialmente recessione con pesanti costi sociali. Infatti a partire dal 1981 la crescita dell’export dei paesi indebitati, compresi Jugoslavia e Romania, scende sotto il tasso di interesse sui debiti, aumentato a causa della nuova politica monetaria Usa a livelli del 15-17%, cioè di oltre l’11% al netto dell’inflazione(5). Quindi i debitori lavorano solo per pagare le rate del debito, e non ce la fanno neanche. Non è probabilmente estranea alla crisi la rivolta di Priština (Kossovo) della primavera 1981, ma è sicuramente una conseguenza dell’aggiustamento recessivo targato Fmi la rivolta alimentare partita nel 1983 a Brasov, in Romania.
La pressione del sistema finanziario internazionale per incrementare le esportazioni e migliorare così la capacità di pagare i debiti contribuisce in Jugoslavia all’affermazione di due tendenze che avranno pesanti conseguenze nel decennio successivo, in particolare nelle dinamiche che hanno portato alla rottura della federazione e alla guerra: la minore rilevanza data al mercato interno e quindi al commercio tra le repubbliche e il rafforzamento dei monopoli statali rispetto al fragile ma non inesistente tessuto di imprese private e autogestite.
– La sovranità valutaria attribuita alle repubbliche della federazione aveva permesso loro di contrarre debiti con l’estero per proprio conto, al di fuori del controllo centrale. Quando nel 1983 viene ufficializzato l’ammontare del debito estero jugoslavo, viene posto il segreto di stato sulla distribuzione del debito tra le repubbliche per evitare accuse reciproche. Le ricette del Fmi spingono comunque le repubbliche a concentrarsi sui mercati esteri. Il mercato interno e il commercio tra le aree della federazione si impoveriscono. Crescono forme di nazionalismo economico(6).
– Due casi importanti di rafforzamento dei monopoli per l’export sono quello dell’agroindustria e quello degli armamenti. In campo agroindustriale fu fatta la scelta di puntare sull’export del latte vaccino e quindi sull’allevamento "industriale" dei bovini. In tal modo si favoriva l’attività dei cartelli agroalimentari a scapito di gran parte del mondo contadino e soprattutto dei numerosi piccoli allevatori di ovini delle regioni montane e collinari. In campo militare, la Jugoslavia divenne negli anni ’80 esportatrice di armi spesso verso aree calde, occupando spazi di mercato meno praticabili dai grandi produttori. Le sole esportazioni in Iraq durante la guerra del Golfo con l’Iran ammontano a 800 milioni di dollari tra il 1980 e il 1987. Attorno alla produzione militare e ai traffici di armi si crea un gruppo di interesse e di pressione, una lobby insomma, con una certa influenza nell’apparato statale(7).

2. Gli anni ’90

Alla fine degli anni ’80 precipita la crisi dei regimi comunisti. Il Fmi subentra all’ombrello sovietico come referente finanziario di ultima istanza e garante dell’interesse dell’Occidente verso le nuove democrazie. I responsabili del Fondo Monetario ritengono opportuno sfruttare pienamente il consenso politico dell’89 per rendere irreversibile la svolta verso il mercato. Rispetto all’aggiustamento recessivo degli anni ’80, si comincia a parlare di "aggiustamento con crescita di alta qualità". Ma la terapia proposta all’Est è quella del big bang: stabilizzazione macroeconomica, svalutazione, liberalizzazione, privatizzazione e riforme istituzionali. Gli effetti nei primi anni ’90 sono un crollo produttivo e alta inflazione(8).
Secondo dati dello stesso Fmi(9), fatto 100 il prodotto interno lordo di ciascun paese nel 1989, nel 1995 la Bulgaria è precipitata a 74,3 (ma l’anno peggiore è stato il 1993 con 72,5), la Romania è a 82,7 (ma era scesa a 73,9 nel 1992), la Slovenia è a 56,5, la Croazia a 52,5, la Macedonia a 38,6. Non sono disponibili i dati della Bosnia sconvolta dalla guerra e della Federazione serbo-montenegrina soggetta a embargo Onu. Per quanto riguarda l’inflazione, in tutti i paesi è a due cifre, in qualche anno anche a tre.

Nota: le operazioni finanziarie del Fmi si svolgono in "Diritti speciali di prelievo" (Sdr), una moneta virtuale – "strumento fiduciario di liquidità internazionale" – il cui valore è calcolato sulla base di un paniere di valute tra cui quelle principali. Attualmente ci vogliono circa 1,4 euro, oppure 1,3 dollari, per un Sdr.I dati riportati di seguito sono di fonte Fmi e Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, Undp.

Bulgaria
Tra il 1991 e il 1995 il Fmi ha finanziato la Bulgaria per 753 milioni di Sdr (poco meno di 1 miliardo di dollari) e il paese balcanico ha restituito di capitale e oneri quasi 400 milioni di Sdr. Tra il 1996 e il 2001 le risorse Fmi arrivate sono state pari a 1 miliardo 187 milioni di Sdr (1 miliardo e mezzo di dollari), ma quelle uscite sono ammontate a 980 milioni di Sdr. Complessivamente ora il debito della Bulgaria verso le istituzioni multilaterali si aggira sui 2 miliardi di dollari, secondo solo a quello obbligazionario (quasi 5 miliardi di dollari), che in parte è detenuto dalle banche, mentre i crediti bancari internazionali in corso sono inferiori ai 700 milioni di dollari.
Le operazioni Fmi puntano a «restaurare la stabilità macroeconomica e la fiducia nelle istituzioni e porre irreversibilmente la Bulgaria sulla via dell’economia di mercato» (Accordo 1996-97). «Il programma privilegia una stabilizzazione rapida attraverso una politica di rigore monetario e fiscale». Nell’accordo triennale Extended fund facility del 25/9/1998 si parla di un obiettivo di crescita economica del 4-5% l’anno e anche di migliorare il livello di vita.
Questi programmi hanno sicuramente abbattuto l’inflazione derivante dallo shock dell’apertura al mercato: dal 333,5% del ’91 è scesa al 2,6% nel ’99. Ma sul piano della crescita economica i dati sono negativi: in Bulgaria il tasso medio annuo di crescita pro capite del prodotto interno lordo tra il ’90 e il’99 è pari al -2,1%. Il 15% della popolazione vive sotto la soglia di povertà stabilita in 4 dollari al giorno.

Romania
La Romania ha ottenuto dal Fmi nella prima metà degli anni ’90 risorse per 1 miliardo 187 milioni di Sdr (1 miliardo e mezzo di dollari), pagandone indietro 687 milioni, mentre nella seconda metà del decennio, fino al 2001 compreso, ha ricevuto solo 312 milioni di Sdr e ne ha restituiti 812 milioni (oltre 1 miliardo di dollari). Insomma nel periodo più recente il sostegno del Fondo alle "riforme strutturali" del governo di Bucarest si è raffreddato. Ciò nonostante, oltre 2 miliardi di dollari di debiti con istituzioni multilaterali si affiancano all’indebitamento estero col settore bancario privato, che ha superato a fine 2000 i 3 miliardi di dollari.
Già nel dicembre ’95, al momento dell’estensione dell’accordo Stand-by del maggio ’94, i responsabili del Fondo notavano «gli scivoloni» nelle politiche strutturali. In effetti l’inflazione resta elevata e a due cifre (il 45,8% nel ’99), anche se scesa dal 256% del ’93. La privatizzazione e la riduzione dei sostegni alle imprese non sono abbastanza rapide per il Fmi, ma sono sufficienti a mettere in difficoltà decine di migliaia di piccole aziende agricole e industriali che di questi sostegni avrebbero ancora bisogno. L’arrivo del capitale estero, tra cui rilevante quello italiano soprattutto nel tessile-abbigliamento, in aree come Timisoara sembra ancora molto legato ad un sistema di subappalto che sfrutta soprattutto il bassissimo costo del lavoro.
Il prodotto interno lordo pro capite rumeno è sceso mediamente dello 0,5% l’anno tra il’90 e il ’99. Più di metà della popolazione (il 59% a metà del decennio) vive con meno di 4 dollari al giorno.
Albania
In Albania la rapida fase di liberalizzazione seguita alla fine del regime comunista, e sostenuta dal Fmi con 13 milioni di Sdr di linea di credito, precipita nel ’97 nella crisi delle "piramidi finanziarie" che porta il paese sulle soglie della guerra civile. Alla fine del ’97 il Fondo concede a Tirana un credito di 8,8 milioni di Sdr a titolo di «aiuto d’urgenza ad un paese che esce da un conflitto». Nel complesso l’Albania riesce a chiudere il decennio con il segno più: la crescita media annua del prodotto pro capite tra il ’90 e il ’99 è pari al 2,8%.
Ma quasi nessuno investe nel paese. Lo stesso debito estero è modesto e prevalentemente con le istituzioni multilaterali. Gli aiuti arrivano soprattutto dall’Italia. L’Albania regge grazie ad un vivace settore informale che comprende però ampie componenti di mercati illegali, soprattutto in relazione al traffico di migranti e all’economia di guerra ai confini con la ex Jugoslavia (1991-95 e poi nel ’99 con la guerra in Kossovo).

Ex Jugoslavia
L’intervento del Fmi nelle repubbliche della ex Jugoslavia è stato ovviamente condizionato dalla guerra che ha sconvolto l’area nella prima metà degli anni ’90 e poi di nuovo alla fine del decennio.
La Slovenia è uscita abbastanza rapidamente dalla guerra ed è considerata un’economia in cui le riforme strutturali sono state fatte. Il Fmi ha concesso solo un prestito di 25 milioni di Sdr nel ’92, tutto rimborsato entro il ’97. Il debito estero del paese è essenzialmente verso le banche private. La Slovenia è cresciuta nel decennio del 2,5% pro capite l’anno in media.
La Croazia invece, coinvolta nella guerra fino in fondo, ha ricevuto sostegno dal Fmi nella prima metà degli anni ’90 per oltre 188 milioni di Sdr (poco meno di 250 milioni di dollari) che ha restituito per 49 milioni di Sdr fino al ’95 e per 120 milioni di Sdr dopo. Dunque non ci sono state troppe remore al Fondo per la posizione di belligerante del paese. Nel ’97 è stato approvato un nuovo accordo di 353 milioni di Sdr, di cui finora versati poco meno di 29 milioni, con l’obiettivo di «consolidare i risultati ottenuti in materia di stabilizzazione e ricostruire il paese devastato dalla guerra». È decollato in particolare il programma di privatizzazioni delle grandi banche. La Croazia è cresciuta negli anni ’90 dell’1% pro capite medio annuo.
La Bosnia Erzegovina aveva ottenuto nel ’92 una linea di credito dal Fmi di 20 milioni di Sdr ma le relazioni finanziarie si sono quasi del tutto interrotte negli anni successivi fino alla fine della guerra nel ’95. Da allora – nuovo accordo per 30 milioni di Sdr – il paese è stato riammesso alle risorse delle istituzioni multilaterali, che costituiscono tuttora gran parte del suo debito con l’estero (1,1 miliardi di dollari). Tra il ’98 e il 2001 la Bosnia ha ricevuto dal Fondo 94 milioni di Sdr (più di 120 milioni di dollari) e ne ha ripagati quasi 45 milioni. La situazione economica è ancora molto precaria.
La Macedonia, rimasta solo relativamente fuori dalla guerra e poi coinvolta in un conflitto interno nel 2000-2001, ha ricevuto dal Fmi prestiti per 45 milioni di Sdr nella prima metà degli anni ’90 e per quasi 25 milioni di Sdr nella seconda metà. Ha ripagato poco meno di 10 milioni di Sdr fino al ’95 e 47 milioni negli anni successivi. I programmi del Fondo parlavano di riduzione dell’inflazione (1995), di «crescita sostenibile a medio termine» (1997), di «crescita reale del 5%» (1998). In realtà il prodotto interno lordo pro capite della Macedonia negli anni ’90 è sceso mediamente dell’1,5% l’anno. L’inflazione in compenso è passata dal 247% del ’93 a valori negativi, cioè ad una deflazione dei prezzi alla fine degli anni ’90.
La Yugoslavia (Serbia e Montenegro) è stata invece tagliata fuori dai rapporti con il Fmi e le altre istituzioni a seguito dell’embargo economico deciso dall’Onu nel 1992. Ma proprio quell’anno aveva ricevuto un prestito del Fondo di quasi 57 milioni di Sdr (74 milioni di dollari). Erano dunque ancora consistenti le relazioni tra il vertice serbo e le istituzioni finanziarie internazionali – Slobodan Milosevic si era a lungo occupato nella sua carriera bancaria nella Beogradska Banka di rapporti col Fmi. La Jugoslavia ha comunque pagato qualche piccola rata del prestito dal ’95. I finanziamenti sono ripresi nel 2000 dopo la caduta di Milosevic. Tra il 2000 e il 2001 il Fmi ha prestato a Belgrado 217 milioni di Sdr (oltre 280 milioni di dollari) mentre la Jugoslavia ha ricominciato a restituire i debiti pregressi: 83 milioni di Sdr in due anni.

Francesco Terreri
Microfinanza srl

Note:
(1) Paul N. Rosenstein-Rodan, "Problems of Industrialization of Eastern and South-Eastern Europe", Economic Journal, giugno-settembre 1943.
(2) World Bank, World Development Report 1988, Oxford University Press, New York 1988.
(3) World Bank, World Development Report 1988, cit. Unido, Industry and Development. Global Report 1986, United Nations Industrial Development Organization, Vienna 1986.
(4) William R. Cline, "International Debt and the Stability of the World Economy", IIE Policy Analyses in International Economics, settembre 1983.
(5) William R. Cline, "International Debt and the Stability of the World Economy", cit.
(6) Stefano Bianchini, "La crisi dello Stato federale in Jugoslavia", Politica Internazionale, aprile-giugno 1991.
(7) Tommaso Giovacchini, "Progetto iambolia", Altrafinanza n. 5, settembre 1995; Francesco Terreri, Produzione, commercio ed uso delle mine terrestri. Il ruolo dell’Italia, Edizioni Comune Aperto, Firenze 1996.
(8) Francesco Bortot, "Il ruolo del Fondo Monetario Internazionale", Politica Internazionale, maggio-agosto 1996.
(9) Imf, World Economic Outlook, vari anni.

Appendice

Creditori e debitori nei Balcani
I dati della Banca dei Regolamenti Internazionali

La Bri pubblica periodicamente nella sua Quarterly Review i dati sul debito estero di tutti i paesi verso le banche, per paese di origine degli istituti bancari.
Le cifre sui paesi balcanici, aggiornate al giugno 2001, rivelano alcuni aspetti della situazione finanziaria dell’area:
– appare una evidente differenziazione tra i paesi che hanno accesso al credito internazionale, sia pur a diversi gradi e condizioni – cioè Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria – e paesi che non hanno una credibilità finanziaria – Bosnia, Macedonia, Albania e Jugoslavia, anche se in quest’ultimo caso le cose potrebbero cambiare in futuro;
– tra i paesi creditori si conferma la preminenza della Germania;
– tuttavia sono ormai diversi gli sfidanti del primato tedesco: in Croazia, grazie alla politica di acquisizioni di Unicredito (Splitska Banka) e di Comit, ora banca IntesaBci (Privredna Banka), l’Italia è diventato il primo paese creditore con oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, sorpassando la Germania; l’Italia è anche il primo prestatore all’Albania; in Romania le banche olandesi sono al "testa a testa" con quelle tedesche; in diversi paesi – Romania, Bulgaria, Croazia – si affacciano i banchieri statunitensi e anche quelli giapponesi.

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