Kozarac, simbolo del rientro bosniaco-musulmano
Un breve reportage dalla cittadina di Kozarac. Un tempo simbolo della pulizia etnica, ora simbolo del rientro della comunità bosniaco-musulmana. E’ qui che è stata ricostruita la prima moschea della Republika Srpska.
Le scale del minareto salgono ripide e strette e la poca luce che filtra dall’alto è attutita dalle pareti ruvide di cemento armato. Poi una piccola porta su di un balconcino bianco intarsiato di stelle e mezze lune, e di lì, il panorama sulla cittadina di Kozarac, Republika Srpska. Immediatamente di fronte il secondo minareto della moschea. Dal basso sembrano due giovani gendarmi. Eleganti ma esili a far tesoro della fede e dei tetti da poco ricostruiti.
Kozarac come pochi altri posti in Bosnia ha subito la violenza della pulizia etica dei serbo-bosniaci nei confronti della comunità musulmana. Fino a 3-4 anni fa la neve cadeva nell’intimità delle case sventrate, sulle piastrelle dei bagni, nelle camere da letto. Ora i fiocchi raramente riescono a soffermarsi sulle tegole, sciolti ancor prima d’appoggiarsi dal calore del fumo che incessante esce dai comignoli. E poi galli, cani, motoseghe e macchine che percorrono le strade. Rumori che si alzano e riempiono la vallata, abituata per anni ad un’insostenibile silenzio.
In un recente documento sui ritorni in Bosnia Erzegovina, l’ICG ha dedicato uno studio di caso proprio a Prijedor, nella cui municipalità è situata Kozarac. Per comprendere i motivi alla base del successo del processo dei rientri delle minoranze in quest’area e per mettere in risalto le problematiche ancora irrisolte. A seconda della fonte a cui si fa riferimento il numero dei rientranti musulmani in questa municipalità va dagli 8.500 ai 20.000. Se fosse confermata, quest’ultima cifra rappresenterebbe la metà della popolazione bosniaco-musulmana che vi viveva prima delle operazioni di pulizia etnica, iniziate nella primavera del 1992.
Una comunità ben organizzata, relativamente benestante e fortemente decisa a rientrare; la ricostruzione da parte della comunità internazionale di più di 4600 abitazioni; la partecipazione massiccia degli sfollati alle votazioni municipali che ha permesso di eleggere una rappresentanza rilevante nel consiglio della città; l’arresto da parte dello SFOR di molti criminali di guerra. Questi secondo l’ICG gli ‘ingredienti del successo’.
"Qualche anno fa sarebbe stato impossibile per me sedere in un bar in centro" – racconta Anel, fuggito con la famiglia da Prijedor poco prima che iniziassero i rastrellamenti da parte dei militari e paramilitari serbi – "ora invece giro in tranquillità. La situazione è sempre migliore anche se restano ancora cose da fare. Tra queste la ricostruzione della moschea che c’era in centro città". Anel è stato rifugiato negli Stati uniti, dove si è laureato. Ha poi conseguito due master, uno a Bologna ed uno a Trento. Ora è rientrato per costruire qualcosa in quella che sente profondamente come la sua città. "Con alcuni amici stiamo per aprire un’azienda che funga da provider Internet per l’intera municipalità". Le idee sono molte e si accavallano su di un tavolino di un bar, mentre beviamo un caffé. "La mia famiglia ha un piccolo spazio in centro città, attualmente affittato quale negozio. Vorrei rilevarlo ed aprire un piccolo bar dove si possa bere caffè, fatto all’italiana, roba di qualità. Durante l’estate potrebbe essere pieno. Sai quanti bosniaco-musulmani rientrano per le vacanze dall’estero? E certo preferirebbero andare in un bar dei loro che in un bar serbo …".
La comunità musulmana di Prijedor è certamente molto attiva. Lo notano anche i ricercatori dell’ICG, che sottolineano che se il rientro ha avuto successo lo si deve anche al relativo benessere di una comunità che già prima della guerra era emigrata all’estero per lavorare. In particolare a Kozarac, sottolineano quelli dell’ICG. E lo si nota nell’intonacatura e nella pittura delle facciate di molte case. Spesso infatti per anni le case ricostruite rimangono con una facciata dai mattoni a nudo, per risparmiare quello che viene considerato un surplus non necessario. A Kozarac invece molte case vengono terminate fino in fondo.
Certo non mancano le questioni irrisolte. L’ICG ne elenca almeno cinque. Tra queste la scarsa integrazione dei bosniaco-musulmani nelle istituzioni cittadine, la ancora scarsa implementazione della legge sui diritti di proprietà, le relazioni cortesi ma dure tra politici serbi e politici musulmani, ciascuno arroccato su posizioni prettamente ‘etniche’, l’incapacità della magistratura della RS di procedere contro i criminali di guerra. Viene inoltre sottolineato il pericolo di un’autosegregazione della comunità musulmana ‘comprensibile ma poco benaugurate’, si sottolinea nel documento dell’ICG.
"La scuola di Kozarac è stata per cinque anni, forse più, adibita a un centro collettivo e vi venivano ospitati rifugiati e sfollati serbi" – spiega Pero, attivista dell’associazione Zdravo da Ste – "poi è stata sgomberata, ristrutturata e riutilizzata come scuola. Se all’inizio vi andavano bambini sia serbi che bosniaci, quando il rientro è divenuto massiccio i bambini serbi sono stati spostati in altri istituti ricostituendo quindi il monolitismo etnico". La comunità musulmana sta infatti rientrando ma si costruisce le proprie scuole, le proprie associazioni, le proprie istituzioni. Su un modello tra l’altro che non dovrebbe stupire nessuno, molto simile a quello altoatesino e molto distante dalla convivenza che in Bosnia vi era prima della guerra. "Le scuole superiori invece vengono frequentate in città, a Prijedor. Ha iniziato a rientrare a scuola anche qualche insegnante bosniaco-musulmano, ma sono ancora pochi", ricorda Pero, anche lui insegnante in una scuola superiore della città.
Se quindi si è almeno in parte sbloccato il processo dei rientri, molto resta ancora da fare perché vi sia una effettiva integrazione. E molti stimoli, per far questo, riemergono e possono essere trovati nel passato di convivenza che la Bosnia ha senza dubbio vissuto.