Un commento: Djindjic ha rotto il patto, ne ha pagato le conseguenze
Un’interessante commento di Gordana Igric, dell’IWPR. Il nuovo governo democratico era arrivato al potere anche grazie ad un accordo di ‘non belligeranza’ con la criminalità organizzata. Che Djindjic sembrava intenzionato ad interrompere.
In un suo articolo pubblicato pochi giorni prima dell’assassinio del Premier Djindjic Gordana Igric, responsabile del progetto Balcani dell’IWPR (Institute for war and peace reporting), aveva fatto una sorta di premonizione: Djindjic, anche su pressione della Comunità internazionale, sta per iniziare ad agire in modo più intenso contro la criminalità organizzata e contro il mondo ancora restato fedele a Milosevic e questo causerà senza dubbio nelle prossime settimane un’inasprirsi delle tensioni. "Il problema per Djindjic è che quando si troverà ad affrontare queste forze che ha a lungo tollerato (ndr. mafia e criminali di guerra) potrebbe scoprire che in realtà esercitano più potere di lui", concludeva in modo profetico la giornalista. Ora Gordana Igric interviene con un altro commento. Significativamente se il primo era stato scritto da Belgrado quest’ultimo è stato scritto dagli uffici IWPR di Londra. Sicuramente più sicuri per qualcuno che esprime senza censura i propri pensieri. Proponiamo la traduzione di alcuni estratti del suo articolo pubblicato ieri.
Cosa accadrà ora in Serbia e Montenegro?
Durante le scorse settimane è stata l’unica domanda sulle labbra dei cittadini della Serbia: "Chi trionferà nella lotta tra la mafia e Zoran Djindjic?". La risposta è arrivata mercoledì scorso. Ora il governo serbo corre contro il tempo. Se non colpisce duro ed al cuore dei potenti, ricchi e ben armati "rimasugli" del regime di Milosevic, la Serbia ed il Montenegro rischiano di trasformarsi in uno Stato di gangsters, senza futuro.
Questa è l’ultima occasione per il paese di liberarsi della mafia – comprendente l’ex ed il presente capo dei servizi segreti, funzionari di polizia, forze speciali, gangster e criminali di guerra – coltivata e fatta crescere dall’ex uomo forte di Belgrado per contrabbandare, rubare ed assassinare.
L’immediata priorità è di arrivare all’arresto di Milorad "Legija" Lukovic, ex comandante della forza speciale di polizia conosciuta sotto il nome di "Berretti rossi", e con lui dei circa 200 membri della potente mafia di Zemun, che attualmente è quella che minaccia più profondamente lo Stato.
Inoltre gli stessi Berretti Rossi, la maggioranza dei quali è fedele allo stesso Legija, devono essere disciolti e le centinaia di ufficiali di polizia sospettati di essere coinvolti in qualche crimine devono essere allontanati dai corpi di polizia e portati a giudizio. Questo potrà portare a violenza e spargimento di sangue, perché questi ultimi senza dubbio opporranno resistenza, ma se le autorità non percorreranno questa strada l’attuale vuoto di potere verrà riempito dalla mafia, bloccando così le riforme economiche e la cooperazione con il Tribunale dell’Aja – cruciale per la Serbia per ricevere nuovi finanziamenti internazionali – e la repubblica diverrà nuovamente uno stato paria. Il motivo per il quale la Serbia deve affrontare oggi questo stato di crisi è legato al fatto che il sistema messo in piedi da Milosevic non è stato smantellato quando quest’ultimo è stato sconfitto due anni e mezzo fa.
E’ da ricordare che Milosevic sarebbe ancora al potere se alcuni settori della mafia non avessero abbandonato il suo vascello attirati dall’impunità promessa dai nuovi governanti della Serbia.
Risultato di questo è stato un fiorire del sottobosco criminale che il governo non ha neppure cercato di bloccare. In effetti Djindjic era stato addirittura accusato da alcuni rivali di essere coinvolto nelle attività di qualche gruppo criminale.
Ma con la condizionalità degli aiuti economici al Paese legata all’estradizione dei criminali di guerra e il rallentamento del cammino europeo legato alla troppo forte presenza mafiosa Djindjic non poteva fare altro che attivarsi contro quelle stesse persone che lo hanno aiutato ad arrivare al potere. Il Premier ha rotto il patto con la mafia e ne ha pagato le conseguenze.
Ed allora cosa sarà del futuro di Serbia e Montenegro?
Nebojsa Covic, vice presidente del governo serbo, sta attualmente ricoprendo pro tempore la carica di Primo ministro e potrebbe emergere come un futuro leader. E’ considerato un competente, un pragmatico ed un politico deciso e con forte personalità. Ha giocato un ruolo significativo nella sconfitta di Milosevic ed ha dimostrato abilità nel risolvere la crisi nel sud della Serbia ( e questo gli ha guadagnato simpatie occidentali).
Ma la sua capacità di combattere la mafia, cosa che sarà obbligato a fare, sarà limitata da un settore giudiziario indebolito e da una polizia la cui fedeltà è in dubbio. Quest’ultima non è infatti mai stata seriamente riformata da quando Milosevic venne scacciato ed alcuni dei suoi capi continuano a prendere ordini dagli ex superiori.
Realisticamente vi è un’unica unità di polizia appena formata e costituita da 1000 poliziotti ben addestrati capace di confrontarsi con successo con la mafia di Zemun e con i Berretti Rossi, ma è attualmente impiegata nel mantenere la pace nel sud della Serbia ed è ancora incerto se verrà richiamata o meno.
Con quest’eccezione il governo è cosciente che non può fidarsi di chi "impone la legge" ed è questo il motivo per il quale, in seguito all’assassinio di Djindjic, è stato dichiarato lo Stato di emergenza in modo da permettere all’esercito di occuparsi anche della sicurezza interna. Le forze armate della nuova Unione Serbia e Montenegro, controllate dalla coliamone di partiti alleati dell’ex Premier, sembrano più adatte ad occuparsi della questione. Nonostante ci siano in circolazione ancora alcuni generali vecchio stampo, l’esercito non è stato sicuramente criminalizzato e corrotto come è invece avvenuto per la polizia e probabilmente può essere più fidato per supportare le decisioni del governo.
La Serbia ed il Montenegro sono davanti ad un bivio fondamentale. Se le forze di sicurezza saranno in grado si circondare i boss mafiosi e di smantellare i Berretti Rossi, allora il Paese potrà finalmente lasciarsi dietro il proprio passato ed occuparsi con il difficile compito di diventare uno Stato europeo progressista e democratico. Se falliranno, allora le prospettive sono quanto meno desolate.
Innanzitutto di bloccherebbe la collaborazione con l’Aja e con essa i finanziamenti internazionali quanto mai necessari.
Sino ad ora Djindjic è stato l’unico politico pronto ad affrontare accuse di tradimento pur di estradare sospetti criminali di guerra all’Aja. Il suo successore è improbabile continui sulla medesima strada almeno che gli indiziati ed i loro sostenitori non vengano sconfitti.
Washington ha condizionato una nuova tranche di sostegno finanziario alla consegna del generale Ratko Mladic entro il 15 giugno. L’Unione europea contemporaneamente ha minacciato sanzioni economiche a meno che non si verifichino rilevanti passi avanti nella collaborazione con il Tribunale ed ha chiarito come la persistenza del crimine organizzato nell’area renderà più difficoltoso il percorso del paese verso l’Unione europea.
In secondo luogo le riforme economiche rischieranno di cessare perché non saranno più percepite come una priorità.
Djindjic ha cercato di forzare i cambiamenti ma le continue discussioni con il suo rivale Kostunica hanno reso il processo penosamente lento. Ed ora, con le autorità serbe intente a combattere la mafia e con nuove elezioni alle porte, è difficile che nell’agenda politica si miri in alto.
Gordana Igric – IWPR
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