Balcani Occidentali e integrazione europea: proposta per una strada rapida
Un paper di analisi del centro di ricerca tedesco ESI, per un’integrazione rapida dei paesi balcanici. Con una proposta innovativa: garantire ai Balcani i fondi strutturali come fossero candidati allargamento. E come già si fa per la Turchia
Vogliamo qui presentare una breve analisi dell’istituto di ricerca ESI (European Stability Initiative) sull’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea, dal titolo The Road to Thessaloniki: Cohesion and the Western Balkans.
L’analisi prende spunto dal documento della presidenza di turno greca dell’UE del gennaio 2003, Working Document, Greek Presidency Priorities for the Western Balkans. Il documento greco propone di riflettere maggiormente sul tema della coesione sociale ed economica dei paesi balcanici e di considerare quei paesi alla stregua delle regioni depresse dell’Unione Europea che sono state aiutate dai fondi strutturali, come il sud della spagna o l’Irlanda, che hanno conosciuto – grazie a quegli interventi – tassi di sviluppo elevatissimi.
La proposta del paper dell’ESI è dunque la seguente:
«… al Summit di Salonicco nel giugno 2003 l’Unione Europea formalmente incorpori la "coesione" come principio guida della politica dell’UE allargando il Processo di Stabilizzazione e Associazione per includere forme addizionali di assistenza pre-accessione. Ciò manderebbe un forte segnale ai paesi della regione circa la serietà delle intenzioni dell’UE nell’aiutarli affinché possano entrare in Europa».
La proposta di ESI è quella che si adotti la stessa politica di coesione che fu adottata per le aree deboli dell’Unione Europea mediante i fondi strutturali. Dopo tutto – argomenta l’ESI – le condizioni di debolezza strutturale della regione balcanica occidentale non sarebbero molto diverse da quelle delle aree dell’Unione che hanno beneficiato dei fondi strutturali. Le due caratteristiche che segnano la debolezza dei paesi dei Balcani occidentali sono infatti un accelerato processo di de-industrializzazione e l’esistenza di larghe aree di sottosviluppo rurale:
«Questi due problemi strutturali determinano le principali conseguenze per la governabilità della regione. I governi si devono confrontare con una base di entrate inadeguata per supportare un’amministrazione moderna di tipo europeo. Un risultato è che le risorse disponibili per distribuire qualsiasi forma di protezione sociale, per ammortizzare gli effetti della perdita di posti di lavoro, sono ampiamente inadeguate. Un altro risultato è che le infrastrutture costruite per supportare le esigenze delle industrie socialiste sono semplicemente troppo costose da mantenere per comunità sostanzialmente post-industriali, e portano ad una costante decapitalizzazione dei beni pubblici. In un ambiente caratterizzato da risorse pubbliche inadeguate, c’è una tendenza per i costi a sostenere la pubblica amministrazione ad assorbire una parte sproporzionata del budget, lasciando fuori la distribuzione dei servizi amministrativi e degli investimenti. Questo crea una trappola per lo sviluppo: mina la leggitimità e l’efficienza delle istituzioni pubbliche (con conseguenze politiche pericolose per i nuovi e spesso fragili stati) e scoraggia lo sviluppo del settore privato. C’è un chiaro bisogno per un diverso tipo di assistenza che aiuti a mobilitare le risorse domestiche, piuttosto che sostituire le spese del capitale domestico».
Secondo ESI i problemi sopra menzionati sono proprio gli stessi che si trovarono ad affrontare le aree marginali dell’Unione Europea, tanto che riconoscere questo significa utilizzare le lezioni della politca regionale di coesione, attuata con i fondi strutturali, per trasferire quell’esperienza nella risoluzione dei problemi economici dei Balcani occidentali.
È chiaro che una direzione del genere apre una questione politica di rilievo, poiché richiede il cambiamento delle procedure di accesso all’Unione Europea per i paesi balcanici. Sappiamo bene infatti che la maggioramza di quei paesi non sarà in grado di passare allo di paese candidato senza una sforzo politico ed economico consistente e rapido da parte dell’UE.
C’è un precedente – secondo ESI – che può essere sfruttato per iniziare il ragionamento sull’entrata in tempi rapidi dei paesi balcanici: quello della Turchia. Il caso della Tuchia ha fatto sì che la distinzione fra paesi europei candidati e paesi europei che invece ricadano nell’assistenza che l’UE riserva a tutti i paesi cosiddetti in via di sviluppo si sia sfumata. Nel 1999, infatti, la Turchia ha ottenuto lo status di candidato, ma ha continuato a ricevere fondi di assistenza dalla Direzione generale per gli Affari Esterni, e non da quella per l’Allargamento. La decisione presa a Copenhagen nel dicembre 2002 è stata quella di garantire alla Turchia i fondi provenienti dal budget per l’allargamento, senza però aprire i negoziati fino alla fine del 2004. La Turchia costituisce così una nuova categoria: pre-accesso senza negoziati.
La proposta di ESI è allora quella di far entrare anmche i paesi dei Balcani occidentali in questa nuova categoria. Estendere questa nuova categoria intermedia garantirebbe all’UE alcuni risultati importanti. Il primo sarebbe quello di «fare in modo che la regione non rimanga ancora più indietro nei principali obiettivi di sviluppo dell’integrazione europea». Infatti i paesi balcanici non potranno mai essere candidati credibili senza aver prima risolto i propri problemi economici strutturali. Il secondo sarebbe quello di risolvere le tensioni interne alla regione balcanica dovute ai diversi tempi di entrata nell’Unione dei vari paesi. Pensiamo alla Slovenia che entrerà nel 2004 ma soprattutto alla Croazia che ha già fatto richiesta di entrare. Non appena inizieranno i negoziati per la Croazia, il gap fra quel paese e i propri vicini aumenterà ulteriormente e creerà sicuramente forti tensioni nella regione.
Il paper di ESI – che fa seguito ad un altro documento del novembre 2002 dal titolo Western Balkans 2004. Assistance, cohesion and the new boundaries of Europe. A call for policy reform – ha il merito di aprire in modo autorevole la questione dell’integrazione dei paesi balcanici nell’Unione Europea, e di toglierla dalle secche della "transitologia" e delle ricette fallite del Washington consensus. In esso si pone infatti il problema di considerare la regione balcanica alla stregua di quelle deboli dell’UE, e di pensare alla questione della de-industrializzazione e della crisi di un determinato modello di sviluppo, come ad una sfida comune aldilà della provenienza o meno dal sistema socialista.
Purtroppo tutto il ragionamento è drammaticamente indebolito dall’imminenza della guerra anglo-americana, che avrà conseguenze serissime sul futuro europeo.
Claudio Bazzocchi, Osservatorio sui Balcani